Sabato, 06 Settembre 2025

"L'unica regola è che non ci sono regole" di Reed Hastings, Erin Meyer

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29/01/2022 11:46 #57442 da guidocx84
Sono aperte le discussioni sul primo libro del percorso di lettura: "L'unica regola è che non ci sono regole. Netflix e la cultura della reinvenzione" di Reed Hastings, Erin Meyer (352 pagine;  VERSIONE CARTACEA VERSIONE DIGITALE ).

Non è mai esistita, prima d'ora, un'azienda come Netflix. E non solo perché ha rivoluzionato l'industria dello spettacolo, o perché è in grado di fatturare miliardi di dollari l'anno, o perché le sue produzioni sono viste da centinaia di milioni di persone in quasi 200 paesi. Quando Reed Hastings ha avviato la sua attività, che nel 1997 consisteva nel vendere e noleggiare dvd per corrispondenza, ha infatti sviluppato principi radicalmente nuovi e controintuitivi: a Netflix, gli stipendi sono sempre più alti dei concorrenti. A Netflix, il punto non è lavorare tanto. A Netflix, i dipendenti non cercano di accontentare il capo. Questa originale cultura della libertà e della responsabilità ha permesso di crescere costantemente e di innovare fino a creare il colosso di oggi. In questo libro per la prima volta Reed Hastings, con l'autrice bestseller Erin Meyer, descrive la geniale filosofia alla base del suo progetto e della sua vita, e narra storie inedite su tentativi, passi falsi ed errori compiuti, offrendo l'affascinante e completa immagine di un sogno che non smette mai di reinventarsi.

«Heaven goes by favor. If it went by merit, you would stay out and your dog would go in.» Mark Twain

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30/01/2022 19:22 - 30/01/2022 19:25 #57468 da guidocx84
Eccomi! Apro le danze! 
Anche se febbraio ancora non è iniziato, dato che solitamente sono un po' lento a leggere , avendo visto che il libro è 352 pagine ho pensato che fosse opportuno iniziare a leggerlo un po' prima (mi perdonate vero? ), anche perché quando leggo questo genere di saggi solitamente tengo anche un diario di bordo in cui riporto le principali note e considerazioni su cui rifletto durante la lettura. Un prontuario da poter rispolverare all'occorrenza anche a distanza di anni.
Sono certo che la discussione sul Forum ci darà tanti spunti di riflessione. Intanto sono qui per raccontarvi le mie prime impressioni, con la speranza di invogliarvi e portarvi a bordo con me in questo primo viaggio! 

Inutile dire che ho aspettative altissime nei confronti di un libro che titola che l'unica regola è che non ci sono regole 
La curiosità è tanta e infatti, pur leggendo la sera tardi prima di dormire, per adesso non mi sono addormentato sul Kindle come avviene di solito 

Reed Hastings, amministratore delegato di Netflix, e Erin Meyer, autrice americana e professoressa alla INSEAD Business School, nota per uno studio che analizza l'impatto delle differenze culturali nazionali sul business (The Culture Map: Breaking Through the Invisible Boundaries of Global Business), lavorano a quattro mani e confezionano il libro che andremo a discutere.

Di cosa parla questo libro? Parla di come una società come Netflix (non credo abbia bisogno di presentazioni...), che oggi conta migliaia di dipendenti e sedi distribuite in tutto il mondo, sia riuscita a crescere così velocemente creando una cultura del lavoro molto particolare, oserei dire quasi "futuristica" per certi versi, basata su due semplici parole che però dietro nascondono un mondo (che proveremo a svelare leggendo il libro): LIBERTA' e RESPONSABILITA' (Freedom & Responsibility).

Tra le prime frasi che mi hanno colpito nel capitolo introduttivo:

Se concedete ai dipendenti più libertà invece di sviluppare procedure per impedire loro di esercitare la propria capacità di giudizio, prenderanno decisioni migliori e sarà più facile farli sentire responsabili. Questo crea anche una forza lavoro più felice e motivata, oltre a un’azienda più agile.

Leggendo il libro scopriremo qual è la ricetta che Netflix ha adottato per ottenere quanto sopra.

Credo che la lettura sia utile e consigliata sia per imprenditori interessati a creare una cultura del lavoro innovativa nella propria azienda/startup ma anche per chi lavora come dipendente (la maggior parte di noi), per imparare a guardare più in là del nostro naso, per fare autocritica, per comprendere cosa possiamo fare come singoli per portare valore nella nostra azienda e nei rapporti interpersonali con i nostri colleghi e perché no, magari anche per ambire a posti di lavoro migliori se non siamo soddisfatti del nostro.

Continuo la lettura ma nel frattempo vi lascio con un video che riassume un po' di elementi che troveremo più avanti... a presto! 


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31/01/2022 15:07 - 31/01/2022 15:10 #57494 da enrico
Grazie Guido per averci proposto la lettura di questo libro: ""L'unica regola è che non ci sono regole" di Reed Hastings e Erin Meyer".

Chiunque abbia vissuto in un’organizzazione aziendale ha avuto esperienza di quella “forma di vita” particolare che non assomiglia alla vita di tutti i giorni. La narrativa ha sempre mostrato un certo imbarazzo a parlare di quella quota di tempo che passiamo nelle organizzazioni: quasi un terzo dei giorni della nostra vita adulta. Un giorno dopo l’altro. Allora possiamo ricorrere alla saggistica. Mi farà piacere utilizzare questa lettura per un confronto con la comunità del Club del Libro, fatta da grandi lettori di narrativa e con la comunità dei Project Manager con cui mi è capitato spesso di conversare, partendo dalla saggistica aziendale.Il libro mi sembra indicato sia per chi voglia sapere di più sulle organizzazioni, sia per chi, della vita aziendale, voglia cogliere delle trame narrative. Ad esempio il contrapporsi dei poteri, la genesi dei comportamenti, i riti e  miti.

Il libro, parlando di Netflix, ci porta in un altrove che assomiglia poco alle esperienze aziendali che ciascuno di noi ha vissuto. Un altrove utopico che si auto-racconta, situato oltreoceano (in qualche headquarter californiano) ma che si irradia a livello planetario nelle forme di un’economia che prende il controllo del nostro tempo e della nostra attenzione. Potremmo parlare anche di Google, di Amazon o di Facebook (oggi Meta) ed estendere le riflessioni che ci suggerisce Netflix: aziende che, ingaggiandoci come utenti, sono le più capitalizzate del mondo. Aziende che, per ingaggiarci a miliardi come utenti incantati, cercano di ingaggiare e addensare, tra i (pochi) dipendenti, le menti più brillanti disponibili sul pianeta.

Ho detto “forma di vita” pensando all’accezione che ne dà, nelle “Ricerche filosofiche”,  Wittgenstein, con la parola /Lebensform/ che designa la totalità delle pratiche o modi di agire, che sono esercitati da una comunità. Potremmo chiamarli degli “script”. Schemi interiorizzati secondo i quali i membri di una comunità vivono la loro vita o che danno loro un orientamento. La totalità di questi modelli dà una forma alle diverse espressioni della vita. Il concetto di Lebensform lo potreste trovare anche in Habermas, che ci parla anche di un Lebenswelt, un “mondo della vita” retto da regole, ma ci perderemmo in investigazioni filosofiche forse sproporzionate alle pretese del libro. Un libro che, tra l’altro, si presenta col programma che l’”unica regola è non avere regole”. Wittgenstein e Habermas sorriderebbero di un tale enunciato con le caratteristiche del paradosso logico.Il libro proposto è fatto di storie organizzative, spesso degli sketch, degli schizzi di situazioni critiche a lieto fine. Storie da un’utopia che si proclama realizzata e che fa a pugni con le distopie a cui ci ha abituati la letteratura nel raccontare le forme di vita dentro le aziende, dai russi a Kafka, dalla fantascienza, al Fantozzi di Villaggio.

Mi piacerebbe trovare, tra i grandi lettori del Club del libro, altri lettori che vogliano leggere il libro nella chiave del rapporto tra “utopie organizzative”, dove l’umanità è al centro e il business prospera, e “realtà organizzative”, dove, un giorno dopo l’altro, il tempo del lavoro assume i colori grigi della frustrazione, della noia, della fatica cognitiva. Il sudore della fronte biblico che, nell’economia dell’immateriale, diventa disagio emotivo e, di frequente, insuccesso. Mi chiedo (e chiedo agli altri lettori del volume) se Netflix può considerarsi utopia organizzativa realizzata? Nuove "forme di vita", nuovi mondi possibili si presentano negli anni venti del primo secolo del terzo millennio.

Il libro di Reed Hastings ed Erin Meyer, ci aiuta a fare luce sul futuro.
 
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31/01/2022 15:24 #57497 da Spadera
Netflix sa come si racconta una storia. È mitologica quella della sua nascita. Ai tempi di Blockbuster, un cliente dimenticò di restituire Apollo 13 per sei settimane e si ritrovò a pagare una multa di 40 dollari. Allora decise di fondare un’azienda che non facesse sentire stupidi i consumatori guadagnando con le multe. Quel cliente era Reed Hastings, un ingegnere di Boston che aveva insegnato matematica nello Swaziland, prima di laurearsi a Stanford. L’azienda, che oggi conta 193 milioni di abbonati, nacque nel 1998: era il primo negozio di noleggio dvd online al mondo.
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31/01/2022 15:30 #57498 da Spadera

Un libro che, tra l’altro, si presenta col programma che l’”unica regola è non avere regole”. Wittgenstein e Habermas sorriderebbero di un tale enunciato con le caratteristiche del paradosso logico. 

Un paradosso logico, direbbero, probabilmente. E pure un altro grande del secolo scorso, che pure ha dato tantissimo al genere umano, un giorno ebbe ad affermare: "Impara le regole come un professionista, in modo da poterle rompere come un artista." (Pablo Picasso) Siao sicuri che più che di un paradosso non si tratti "semplicemente" di un punto di vista differente?

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31/01/2022 22:14 #57518 da Spadera
Reed Hastings è uno che va diritto al sodo. Nell'introduzione al libro è subito chiaro uno degli aspetti più importanti dell'approccio aziendale di Netflix: non importa quanto un'organizzazione sia grande e strutturata; il valore più importante di qualsiasi azienda sono le persone. Ed è attraverso questo valore che si genera altro valore. Persone che non necessitano di controllo continuo e regole ferree da rispettare ma di un contesto. Un contesto che poi altro non è che un perché. Un significato. Un senso al proprio operato. Hastings afferma che "Netflix è diversa. È una cultura in cui la regola è la mancanza di regole." Ma è davvero così banale quest'affermazione? È sufficiente eliminare le regole per creare un'azienda di successo di tali dimensioni? 
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02/02/2022 18:30 - 02/02/2022 19:25 #57601 da enrico
scrive Spadera:

Netflix sa come si racconta una storia.

Chi meglio di Netflix sa raccontare una storia che ci tiene avvinti? Immagino che, della propria storia, ne farà un film o una serie. 
Ad esempio, nel libro si parla di Ted Sarandos, ed è subito mitologia.

Scrive Charlotte Edwardes sull'Evening Standard del 9 maggio 2019:

"Se Netflix dovesse realizzare una miniserie su Ted Sarandos, il suo chief content officer multimilionario, sarebbe sicuramente iniziata con lui da bambino negli anni Sessanta, seduto a gambe incrociate davanti allo sfarfallio blu di uno schermo TV in un quartiere povero di Phoenix, in Arizona, intorno a lui il caos di quattro fratelli che soffia come un tornado. Passava ore così, il palinsesto televisivo la sua unica routine. Di notte, tra le 22:00 e le 2:00, quando la casa era buia, era incollato al televisore - I Love Lucy, The Jack Benny Show, Andy Griffith - .... Dormiva a malapena cinque ore a notte (lo fa ancora). Nella sua adolescenza ha trovato lavoro in una videoteca e, durante le lunghe e vuote ore diurne, ha iniziato a frugare tra i 900 film che offriva. Ha sviluppato una conoscenza enciclopedica del cinema e della TV, oltre a un buon istinto per ciò che piaceva alla gente (qualcuno una volta lo ha definito un "algoritmo umano"). 

Credo che dal libro mitopoietico di Read Hastings emerga un'ossessione per la capacità di tutti i dipendenti (non solo del mitico Sarandos che sceglie le storie da trasformare in film) di sapere solo e unicamente quello che il cliente vuole, quello che al cliente piace. Tutto il resto non conta, ad esempio quello che il boss vuole o che al boss piace. Una missione e una visione che va ben oltre la customer experience ( esemplificata dall'apologo delle videocassette di Blockbuster) verso l'immedesimazione totale col cliente. Tanto che i principi adottati in azienda paiono trasformare ogni dipendente in un "algoritmo umano" capace di catturare dal di dentro quello che ciascuno spettatore vuol vedere e provare. 
Il libro vuole proporre tale modello a tutte le altre aziende. Nella convinzione che, in un'economia della personalizzazione, ciascuno deve avere esattamente quello che desidera.  Peccato che, come diceva Oscar Wilde a George Bernard Shaw,  “c’è una sola cosa peggiore di non poter ottenere quello che si desidera. Ottenerlo!”
Mi domando se questo paradosso del desiderio e della soddisfazione valga non solo per i clienti, ma anche per i dipendenti. Insomma, se vale per il genere umano. La felicità è solo nel dare alle persone quello che chiedono? Qualunque cosa esse chiedano.
 
Ultima Modifica 02/02/2022 19:25 da enrico.

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02/02/2022 19:16 - 02/02/2022 19:38 #57602 da enrico
Rispondo a Francesco Spadera che,a proposito della "regola di non avere regole" scrive

"Impara le regole come un professionista, in modo da poterle rompere come un artista." (Pablo Picasso) Siamo sicuri che più che di un paradosso non si tratti "semplicemente" di un punto di vista differente?

Le regole sono affini ai vincoli che l'artista si sceglie. Ad esempio dipingere su una superficie, o scrivere in versi. Dentro questi vincoli c'è di tutto, dall'imbianchino a Picasso, dal poeta dilettante a Montale. Alcuni artisti hanno esercitato il proprio talento creativo in modo straordinario dentro un sistema stretto di vincoli o regole. Altri hanno creato nuove regole.
Netfix ambisce ad assurgere all'olimpo dei creatori di nuovi paradigmi, dei "game changer", dei disrupter,, e lo fa portandoci, come dice Spadera, in "un punto di vista differente". Dal vertice di una nuova gerarchia di regole, le regole gerarchicamente sottostanti saranno diverse. Ma saranno sempre regole.

Un principio che guida Netflix (ma anche Amazon, Facebook-Meta, Google, e tutti quelli che si contendono il tempo e l'attenzione di miliardi di esseri umani) è quello del piacere dell'utente. Un principio che mette in secondo piano ogni regola autoreferenziale volta alla coerenza interna dell'organizzazione. Ogni energia è spesa soltanto se si conforma ai comportamenti e ai desideri del potenziale utente. Ne nasce lo sfrondamento di miriadi di regole volte a garantire la coesione interna dell'azienda. E il sopravvivere di una nuova generazione di regole valide per l'economia di oggi.

La "densità di talenti" che un'azienda come Netflix riesce a ingaggiare, la fa assomigliare a una bottega creativa. Ma le dimensioni da bottega sono adatte in tutti i settori industriali? L'economia delle grandi piattaforme ha reso possibile creare delle imprese costituite da un manipolo di semidei ingegneri, creativi, geeks (tecnofili) e shrinks (strizzacervelli) in grado di creare miliardi di dollari di valore e distribuirlo senza intermediazione umana, attraverso piattaforme globali completamente automatiche.

E' lo strapotere dei lavori "scalabili", quelli che non vengono retribuiti a ore di lavoro ma in base al potenziale di vincere, nel gioco della competizione globale, tutta la posta. Il rider di Amazon fa un lavoro "non scalabile", pagato a consegna; l'ingegnere della bottega di Bezos, che abilita tecnologicamente un nuovo mercato (luogo in cui avvengono gli scambi) fa, invece, un lavoro "scalabile".

La domanda che mi pongo è: la regola che non ci sono regole, può essere una regola per ogni tipo di attività umana? Mi piacerebbe avere l'opinione dei lettori del Club del libro: la nuova gerarchia di regole sviluppata da Netflix è adatta al funzionamento di una impresa tradizionale?

Leggete il libro, vale la pena, e fatemi sapere che ne pensate.
 
Ultima Modifica 02/02/2022 19:38 da enrico.

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02/02/2022 21:31 #57605 da guidocx84

Mi chiedo (e chiedo agli altri lettori del volume) se Netflix può considerarsi utopia organizzativa realizzata? Nuove "forme di vita", nuovi mondi possibili si presentano negli anni venti del primo secolo del terzo millennio.


Secondo me sì, e sono certo che leggendo il libro ne avremo la conferma. Talmente realizzata da non poter più essere considerata un'utopia, bensì un nuovo modello a cui potersi ispirare per creare una cultura aziendale maggiormente in linea con i nostri tempi, agile ed in grado di adattarsi velocemente al contesto mutevole in cui opera.

È sufficiente eliminare le regole per creare un'azienda di successo di tali dimensioni?


L'eliminazione delle regole, da quanto ho capito, non sarebbe sufficiente per creare un'azienda di successo (credo che questo valga in generale, indipendentemente dalle dimensioni dell'azienda). Anzi, l'eliminazione delle regole fine a sé stessa forse genererebbe caos e problemi di natura organizzativa molto seri. Credo che il titolo del libro, da questo punto di vista, possa rischiare di essere addirittura fuorviante. Di sicuro è d'impatto (d'altronde un buon titolo deve saper catturare l'attenzione dei lettori...) 

Come vediamo già nell'introduzione, le azioni intraprese dall'azienda non si limitano all'eliminazione delle regole. Anzi, per poter giungere all'eliminazione delle regole, si concentrano principalmente su aspetti forse ancora più importanti. Le fondamenta che consentono l'eliminazione graduale delle regole sono:

1. Densità di talento. Persone che si comportano in modo approssimativo, non professionale o irresponsabile vengono evitate o licenziate, per evitare di dover mettere in atto politiche e procedure di controllo e gestione delle stesse. Persone altamente performanti rendono minima la necessità di controlli. "Più denso è il talento, maggiore è la libertà che potete offrire."
2. Sincerità. "I dipendenti di talento hanno moltissimo da imparare l’uno dall’altro". In questo caso parliamo di cultura del feedback (durante il nostro percorso di lettura avremo modo di approfondire molto l'argomento). "I dipendenti migliorano tutti in ciò che fanno, mentre diventano implicitamente responsabili l’uno nei confronti dell’altro, riducendo ulteriormente il bisogno di controlli tradizionali".

Fatto questo si può iniziare gradualmente a ridurre i controlli, a guidare con il contesto e non con il controllo.

Questo determina un circolo virtuoso perché eliminare i controlli crea una cultura di Libertà e Responsabilità, che attrae i talenti migliori e rende possibili ancora meno controlli. Questo porta l’azienda ad un livello di velocità e innovazione che la maggior parte delle aziende non può eguagliare.

L'approccio raffigurato nello schema sottostante consiste in tre cicli ripetuti di densità di talento -> sincerità -> eliminazione delle regole che mi ricordano un approccio di tipo incrementale, dove ogni incremento introduce un miglioramento organizzativo consistente.

La domanda che mi pongo è: la regola che non ci sono regole, può essere una regola per ogni tipo di attività umana? Mi piacerebbe avere l'opinione dei lettori del Club del libro: la nuova gerarchia di regole sviluppata da Netflix è adatta al funzionamento di una impresa tradizionale?


Su questo sto iniziando ad interrogarmi anch'io via via che procedo con la lettura del libro.

Netflix presume che tu abbia una straordinaria capacità di giudizio, una soluzione a quasi ogni problema e pone le persone prima delle procedure. Si aspetta però che le persone lavorino ad un livello altissimo, altrimenti si vedono mostrare rapidamente la porta (ricevendo una generosa liquidazione).

Ho trovato un'intervista relativa al famoso " Keeper test " che aiuta a rendersi conto del contesto.

Mi domando come un approccio del genere possa essere attuato nel nostro Paese senza che l'azienda incorra in sanzioni o in problemi di natura giuridica con il lavoratore licenziato. Nel nostro ordinamento giuridico del lavoro non penso che sia previsto l'allontanamento di un lavoratore che nel tempo non si dimostri "sopra la media"... 

Non credo che l'approccio descritto possa essere adatto a tutte le imprese o attuabile ovunque ma ritengo che singole parti dell'approccio descritto da Netflix possano essere tranquillamente estrapolate ed attuate in contesti anche tradizionali al fine di renderli "meno tradizionali", di svecchiarli.

Ad esempio, la cultura del feedback, della sincerità, della trasparenza organizzativa, se insegnata, promossa e attuata a tutti i livelli aziendali, può sicuramente portare benefici considerevoli, anche se non finalizzata all'eliminazione delle regole.
Su questo credo che ciascuno di noi, indipendentemente dalle idee dell'azienda in cui opera, possa fare qualcosa, sperimentando la cultura del feedback nella vita di tutti i giorni, nei rapporti con i propri colleghi.

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04/02/2022 12:33 - 04/02/2022 12:50 #57664 da enrico
Rispondo a GuidoGuido,

grazie al tuo contributo, siamo subito giunti ad un punto chiave del libro:

Come si fa a mantenere alta la “densità di talento” in una organizzazione?

Una domanda che sottintende che, in una organizzazione,  il talento sia sinonimo di “alta performance” e che, altresì, sia ben chiaro cosa sia e come si rilevi (o misuri) un’alta performance. La differenza tra un “talentuoso” e un “high-performer”, è che la seconda definizione si riferisce a uno specifico contesto in cui esiste una valutabilità della performance (che è un fenomeno multifattoriale, cioè che è composta dal grado di raggiungimento di molteplici obiettivi, i quali dipendono da molteplici specificità di ciascuna organizzazione e del mercato in cui opera).

Per semplificare, un talento creativo può non produrre alta performance in un contesto ripetitivo (che richiede meticolosità) o in un contesto ostile (che richiede resilienza). Viceversa per un talento nella meticolosità in un contesto che richiede creatività. Assodato il carattere contestuale della performance si passa al tema di come si “misuri” tale performance. Una volta rilevata la performance, il passo successivo è cosa farne della valutazione.

E giustamente citi il Keeper Test, e ci porti al nodo del modello Netflix.

Ho apprezzato molto il filmato prodotto da Netflix in cui ci si premura di dimostrare che il Keeper Test non sia ansiogeno “scary”.

Provate a porvi, nella vostra organizzazione di appartenenza, la domanda chiave del Keeper Test:

"Se una persona del vostro team dovesse lasciare il lavoro domani, cerchereste di fargli cambiare idea? O accettereste le sue dimissioni, magari con un po' di sollievo? In quest'ultimo caso, dovreste dar loro subito una buonuscita e cercare una "stella", qualcuno per cui sareste disposti a lottare per tenerlo con voi".


Domande del genere sono dei “trigger” decisionali che fanno parte di alcune scelte di fondo dell’azienda. In questo caso la scelta di fondo di chi tenere a bordo e di chi far scendere dalla nave è una scelta che l’azienda decide di decentralizzare, affidando alla saggezza diffusa delle persone invece che ai capi, il ruolo della selezione dell’equipaggio.

Uno dei top manager più ansiogeni (e più performanti) della storia, Jack Welch della General Electric, aveva fatto accettare un modello decisionale chiamato “rank and yank” che, disposte le performance dei dipendenti in una gaussiana, prevedeva di scremare l’organizzazione, licenziando il 15 % dei “low performer”. Il nuovo afflusso di rincalzi, avrebbe rimescolato le carte e, al giro successivo, si sarebbero buttati giù dalla nave il 15% degli scarsi. Tale meccanismo “darwinista” di scrematura garantiva un continuo miglioramento della “densità di talenti” della General Electric.

Il modello “scary” della curva a campana, ha avuto un grande successo dagli anni ’80 del secolo scorso agli anni ’10 di questo secolo. Poi, in un mondo più politically correct, l’idea è andata apparentemente in disgrazia sostituita (ufficialmente), persino in General Electric,  da meccanismi meno rozzi.

Una domanda che porrò ripetutamente durante la lettura del libro è:

ma sono le nuove “regole-non regole” di Netflix a generare il successo dell’azienda o è il successo dell’azienda a generare queste nuove regole?

Ma la domanda potrebbe essere anche:

Netflix avrebbe avuto successo anche con regole diverse? Come, ad esempio, quelle ferree di Jack Welch.

Do per esatta la risposta che la nuova filosofia organizzativa sia alla base del successo di Netflix.
Ma questa assunzione (di cui non sono convinto) fa sorgere altre domande.

Siamo davvero in presenza, in Netflix, di un meccanismo non darwiniano di accrescimento della densità dei talenti?
Oppure si tratta di un più sofisticato meccanismo di selezione del più adatto, in cui la scelta di chi buttare giù dalla nave è più efficace?

Non sto prendendo posizione contro il darwinismo nelle organizzazioni, così come non sto prendendo posizione col darwinismo presente nelle logiche dei mercati. Né sto ideologicamente attaccando i fondamenti della meritocrazia. Lascio a ciascuno di assumere la propria posizione su questi temi di fondo che non possiamo banalizzare.

Fornisco la mia risposta, non ideologica. Si, siamo in presenza anche in Netflix di un meccanismo darwiniano. Ed è normale che sia così, Netflix vive in un ambiente di ipercompetizione e, dunque, se cresce ha più merito di chi non cresce. Per avere più merito, essendo le organizzazioni fatte di persone, ha dipendenti con maggiore merito delle altre aziende (maggiore densità di talento).

Ma tutto questo, da lettore del libro e da spettatore dei filmati che Netflix produce per annunciare al mondo l’”utopia organizzativa” realizzata, mi lascia con un sapore di artificiale in bocca.

Il produttore di serie televisive capaci di toccare i cuori e le sensibilità di tutti i pubblici del mondo, in segmenti del mercato dell’intrattenimento molto specifici, è ancora una volta testimonianza di un vecchio assunto del marketing: che la strategia, il marketing e la comunicazione “esterni” (rivolti ai clienti) non possono essere in contraddizione con la strategia, il marketing e la comunicazione “interni” (rivolti ai dipendenti).
Le due vision, quella esterna e quella interna, non possono che essere coerenti perché la macchina del successo funzioni.

L’azienda che ha lanciato con successo planetario la fiction distopica di “Squid Game”, acclamata come metafora critica dell’orrore del darwinismo sociale, non può non accorgersi che lo sketch dei 5 dipendenti che conversano del “Keeper test” contiene l’ipocrisia di fondo che non si stia parlando di “business as usual” ma di qualcosa di diverso che riguarda la felicità di quei dipendenti, scelti accuratamente con un giusto assortimento di genere e di razza. Come a dimostrare che Netflix sia un grande, equo e solidale distributore di felicità nel mondo. Compresi i propri dipendenti, ciascuno dei quali è innamorato della missione di dare felicità al mondo con il proprio contributo.



Non voglio dire che l’utopia non sia desiderabile. E’un’utopia a cui vogliamo credere. Così come vogliamo liberarci degli incubi delle distopie. E credo anche che in un’azienda tutto questo si sia sempre fatto e sempre si farà: creare dei quadri di valori con noi risonanti, visioni utopiche, missioni di progresso economico, culturale e sociale.

Credo però che una riflessione a freddo vada fatto sulla natura di quel concetto di “densità di talento”. E, di conseguenza, sul Keeper test che ne è conseguenza.

La violenza della valutazione del capo nella General Electric di Jack Welch, laddove il capo può essere un grandissimo stronzo, è emotivamente molto peggiore del giudizio, che ha le forme costruttive del feeback,  della comunità in cui si lavora?

Le perniciose reazioni di attacco/fuga che un meccanismo di valutazione-selezione, innesca nel nostro cervello primordiale, sono finalmente superate nell’utopia organizzativa che viene qui presentata?

Sono i risultati di business a provare che le cose sono effettivamente così? Oppure sondaggi periodici di “benessere organizzativo” e classifiche delle imprese “Best Place to Work”?

Abbiamo chiesto ai dipendenti che sono scesi dalla nave, cosa nel pensano della loro esperienza? Oppure siamo nella fiction?


Non ho certezze, né informazioni in merito. Chiedo a tutti voi. Nel frattempo continuo la lettura del libro.
Ultima Modifica 04/02/2022 12:50 da enrico.

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Avatar di mulaky mulaky - 24/08/2025 - 14:02

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Avatar di guidocx84 guidocx84 - 26/07/2025 - 10:53

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Qualcuno vorrebbe leggere il romanzo "Lady Macbeth" di Isabelle Schuller? :D

Avatar di mulaky mulaky - 17/07/2025 - 08:32

Ciao Yuman, ho visto che hai già scritto nella sezione del gruppo di Torino. Speriamo di vederti anche sul forum ;)

Avatar di Yuman4 Yuman4 - 15/07/2025 - 22:02

Buonasera, mi sono appena trasferito a Torino. Mi piacerebbe partecipare. Dove e a che ora si tiene l’appuntamento di luglio/agosto e che libro verrà discusso. Grazie

Avatar di mulaky mulaky - 13/07/2025 - 17:10

Ciao Ludofrog, per contattare il gruppo di Lecce, scrivi in questo TOPIC

Avatar di ludofrog95 ludofrog95 - 13/07/2025 - 15:06

Ciao a tutti! Chi posso contattare per avere delle info sui prossimi incontri dei Pasticciotti Letterari? Grazie ✨

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    GigiMala GigiMala Mercoledì, 03 Settembre 2025 07:35
    La genialità di Bukowski emerge da questo romanzo che a me pare abbia il sapore della sfida. L'autore ...
     
  • I viaggi di Gulliver
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    Sabrienza Domenica, 31 Agosto 2025 18:21
    Salve! Mi piacerebbe partecipare al prossimo incontro a Catania con alcuni amici che come me hanno ...
     
  • Dentro il libro - La paura secondo John Williams
    Ornitorinco Ornitorinco Sabato, 02 Agosto 2025 23:29
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