Ho terminato la lettura di 
Uno chalet tutto per me, di Elizabeth Von Arnim. Poiché il tema richiama quello di 
Generazione perduta, che rientrerebbe di diritto in questa sezione, inserisco qui il mio commento.
Estate 1919. Oppressa da una profonda tristezza causata dagli orrori della guerra, Elizabeth si rifugia nel suo chalet svizzero. Arriva sola, l'animo rabbuiato dalle pesanti perdite subite e consapevole della malvagità umana, nella casa tra i monti che fino a pochi anni prima riecheggiava della presenza e delle risate di numerosi amici. Vuole ritrovare la gioia di vivere, scuotersi dall'apatia, tornare ad amare la natura, ad apprezzare i fiori e i panorami incantevoli che la circondano. Non è un'impresa facile, ma lentamente comincia a riaccendersi in lei una sottile vena di energia. Anche per il suo compleanno è sola. Concede ai domestici un giorno di libertà e si accinge a dedicarsi a qualche lavoro pesante che la costringa a non pensare, quando le arriva un regalo inatteso: due donne inglesi, reduci da un'escursione e in cerca di una pensione dove trascorrere la notte, giungono per caso allo chalet. Elizabeth le invita a pranzo, poi per il tè, quindi a rimanere con lei per alcune settimane. E dalla loro presenza nascerà la promessa di una nuova felicità. Pieno di scene divertenti e intriso della solita lieve ma spietata ironia che contraddistingue lo stile di Elizabeth von Arnim, "Uno chalet tutto per me", scritto in forma di diario, ci offre una serie di pensieri profondi sull'importanza del preservare la vita e sull'insensatezza della guerra. (IBS)
E’ il secondo libro della Von Arnim che leggo quest’anno e devo dire che lo stile di questa scrittrice mi piace molto: ha un tocco leggero, ironico e garbato, capace di rendere la lettura sempre facile e scorrevole. Eppure - a mio avviso - non è mai superficiale. Perché sa anche commuovere e far ridere, pur senza mai oltrepassare il senso della misura e del decoro.
La trama di questo libro è decisamente esile, poiché il punto focale è soprattutto uno stato d'animo, quello della protagonista, che probabilmente è anche emblema di un'intera generazione: quella passata attraverso la Prima Guerra Mondiale. L’autrice infatti non indugia in un racconto dettagliato della proprie vicissitudini, per dar sfogo invece - attraverso una riuscita contrapposizione di ricordi, sensazioni ed immagini paesaggistiche - alla disperazione e allo smarrimento di chi senza ancora rendersene conto è sopravvissuto ad una catastrofe, lasciando poi alla sensibilità del lettore il compito di farsene partecipe. Ed io ho apprezzato molto questa scelta, perché contribuisce a dare un più ampio respiro a quello che altrimenti rimarrebbe un semplice diario personale.
Ma nel diario non v’è solamente il grido di dolore di un animo malato e sofferente. Molto spazio è dato invece anche alla convalescenza ed alla guarigione, tanto che il libro si chiude allegramente con una ritrovata serenità ed una rinnovata fiducia nella bontà dell’animo umano. Ed è una sensazione che dentro di me alla fine mi son sentito di condividere con la protagonista. E il solo fatto che un libro oggi riesca a fartela provare fa sì - secondo me - che valga la pena di leggerlo. Non sarà un capolavoro, ma un segno lo lascia comunque.
Voto: 7
PS: Riporto una citazione che ho trovato molto divertente: 
La vita, ci dicono, si è sviluppata per gradi dal protozoo al filosofo, e questo sviluppo, ci assicurano, è senza dubbio un progresso. Purtroppo tutto questo ce lo assicura il filosofo, non il protozoo.