Quando nel 1940 Dino Buzzati pubblica Il deserto dei tartari, nostro Libro del Mese di Dicembre 2025, forse non immagina che il suo romanzo, intriso di un senso sottile di immobilità e malinconia, diventerà nel tempo un prisma attraverso cui leggere epoche diversissime. Il giovane ufficiale Giovanni Drogo, destinato alla Fortezza Bastiani, vive infatti in una dimensione fatta di giorni che si assomigliano, di promesse rimandate, di una vita a metà: e questa sospensione, così profondamente umana, risuona oggi più che mai nella nostra contemporaneità.
Una fortezza come metafora del tempo che scorre
La Fortezza Bastiani è un luogo ai confini del nulla, un avamposto remoto che custodisce un confine che forse non è mai stato minacciato da nessuno. Qui Drogo attende l'arrivo del nemico – i misteriosi tartari – come come occasione di riscatto, riconoscimento, compimento della propria esistenza. Ma l'attesa si dilata, si consuma, e diventa la vera protagonista del romanzo, più dei personaggi stessi.
Buzzati descrive un tempo lento, ciclico, che logora senza violenza, che spinge i personaggi verso una sorta di rassegnazione profonda. È la malattia dell'abitudine: vivere aspettando che qualcosa succeda, senza rendersi conto che la vita sta accadendo proprio mentre si aspetta.
Dalla Fortezza al mondo di oggi: le "vite in stand-by"
Leggere Il deserto dei tartari significa interrogarsi sul valore dell'attesa e sulla paura di sprecare la propria esistenza. Un tema che, nell'epoca contemporanea, torna con forza in più ambiti.
In un mondo governato dalla competitività, dalla performance e dall'idea che la vita debba sempre essere riempita fino all'ultimo minuto, il romanzo di Buzzati ci ricorda la fragilità di questa tensione: la paura che le occasioni non arrivino, o che quando arrivano sia troppo tardi, è una sensazione sempre più diffusa tra i giovani adulti di oggi. Le "occasioni decisive" che Drogo aspetta sono simili a quelle che molti inseguono: un lavoro che dia identità, una relazione che dia stabilità, un progetto che dia senso. E, come nel romanzo, spesso l'immobilità non è imposta, ma autoimposta: la difficoltà di cambiare percorso, di abbandonare una strada intrapresa per abitudine o per paura.
Nell'era dei social network la gratificazione immediata convive con un'attesa costante: notifiche, risposte, feedback, conferme. La Fortezza Bastiani diventa allora metafora anche della nostra schermata luminosa, che promette continuamente qualcosa di imminente ma che spesso si rivela una promessa vuota.
Il fascino tragico del fallimento tardivo
Uno degli elementi più potenti del romanzo è il finale: quando finalmente il "nemico" sembra arrivare, Drogo è ormai troppo malato per combattere. L'occasione attesa tutta la vita gli si manifesta proprio quando non può più coglierla. È la resa di un uomo che ha consumato le proprie energie nell'attesa stessa.
È un finale che provoca domande scomode. Quanto tempo della nostra vita è speso a immaginare un futuro ideale che non arriva mai? Quante scelte rimandiamo, convinti che ci sarà tempo per recuperare?
Buzzati e l'attualità del "non accorgersi di vivere"
La forza del romanzo sta nella sua capacità di parlare alla condizione umana universale: l'incapacità di vivere pienamente il presente.
Drogo non vede mai davvero ciò che gli sta attorno; vede soltanto ciò che spera accadrà.
È una dinamica sorprendentemente contemporanea: viviamo spesso proiettati in avanti, verso una versione di noi stessi futura, idealizzata, che inevitabilmente si allontana man mano che la inseguiamo.
Il romanzo ci ricorda che la vita non ha un unico "momento decisivo", un'unica grande prova che ci riscatta. È fatta di una serie di piccole scelte quotidiane, di deviazioni, di abbandoni necessari. La tragedia di Drogo è quella di non avere il coraggio di abbandonare la fortezza quando sarebbe ancora possibile farlo.
Il deserto dei tartari come romanzo sul lavoro e sulle istituzioni
C'è anche una lettura più sociale e moderna: la Fortezza Bastiani è un'istituzione rigida, che incatena i suoi uomini con rituali, formalità, piccole gerarchie che si autoalimentano. È un luogo di lavoro che non offre reali prospettive, ma che allo stesso tempo è difficile abbandonare.
Quanti oggi restano in ambienti professionali stagnanti, convinti che prima o poi la "vera possibilità" si presenterà? Quante carriere sono costruite su una fedeltà che non porta né soddisfazione né crescita?
In questo senso, il romanzo è sorprendentemente vicino ai dibattiti contemporanei sulla "quiet quitting", sulla ricerca di un equilibrio tra realizzazione e benessere, sulla fuga da luoghi che prosciugano l'energia vitale.
Un romanzo che ci chiede di scegliere
Il deserto dei tartari continua a essere letto non solo perché racconta una storia suggestiva e malinconica, ma perché offre un monito sempre attuale: la vita non è un'attesa infinita.
Buzzati ci invita a chiederci: quali sono le nostre fortezze? Quali deserti stiamo scrutando, sperando che qualcosa arrivi? E soprattutto: quando decideremo di tornare a vivere, davvero?
In un'epoca di vite sospese, di accelerazioni digitali e di ansie di realizzazione, il romanzo ci ricorda l'importanza di riconoscere il presente, prima che sia troppo tardi.
(articolo a cura di Elisa Kirsch)
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Commenti
Decisamente un libro che sa regalare numerosi spunti di riflessione e metterci di fronte ad uno specchio con cui scrutare noi stessi e ragionare su cosa siamo, cosa vorremmo diventare e in che direzione stiamo andando.
È sempre un piacere leggerti.
Grazie!