E' stata una lettura piuttosto difficile e pesante, soprattutto per lo stile, frenetico, tutto proteso a trasmettere l'intensità delle sensazioni fisiche provenienti dal mondo esterno, che l'Io narrante registra con grande accuratezza, e questa espressività prevale nettamente rispetto alla trama, abbastanza debole, e anche alla caratterizzazione psicologica dei personaggi. Ho trovato questo stile eccessivamente "estroverso", per i miei gusti, troppo focalizzato nell'espressione degli stimoli fisici, delle azioni, a discapito di una vera rielaborazione interiore del soggetto, dei suoi pensieri, sentimenti, cosa per me fondamentale per la valorizzazione di un personaggio letterario. Questa mancata caratterizzazione inficia anche il fine stesso dell'opera, da un lato autobiografica, dall'altro mirante a essere romanzo di formazione nel quale il protagonista dovrebbe acquisire una presa di coscienza di se', della sua strada esistenziale e professionale, ma in realtà sembra mancare una vera e propria manifestazione di una maturità psicologica, anche in virtù del finale piuttosto aperto. Può essere utile un confronto col Giovane Holden: entrambi i romanzi sono accomunati dal flusso di coscienza, ma se, nel caso del Giovane Holden, gli stimoli fisici provenienti dall'ambiente esterno sono più che altro l'innesco, l'occasione per attivare una catena di associazioni mentali composte da pensieri, riflessioni ricordi soggettivi dell'Io narrante, in Celine questa rielaborazione soggettiva è molto meno presente, in favore di un rapporto con l'ambiente fisico molto più diretto, immediato e "oggettivo", per il quale gli stimoli esterni si susseguono allo stato "grezzo", uno dopo l'altro, senza un vero e proprio intervento filtrante del mondo interiore del protagonista. Personalmente, preferisco di gran lunga lo stile di Salinger. Tuttavia questo stile così estroverso, quasi "futurista", marinettiano, può, per chi predilige quella tipologia, risultare esaltante, inoltre ho trovato interessante l'ambientazione storica della Francia dei primi del Novecento, in cui grandi folle accorrono esaltate ad assistere alla presentazione di nuove invenzioni tecnologiche. Si notano bene le aspettative sociali di grande fiducia e ammirazione, tipica della cultura positivista, verso i progressi scientifici tecnologici (e' l'epoca delle gradi Esposizioni), parzialmente deluso dall'esperienza delle guerre mondiali, in cui emerge il potenziale distruttivo di un progresso tecnico non accompagnato da guide e riferimenti etici di forte stampo umanistico e spirituale.