Utz : un titolo alquanto misterioso, per un racconto veramente sorprendente ed ammaliante. Non proprio agilissimo, negli sviluppi dell’azione, ma comunque caratterizzato da una bellissima prosa, impreziosita da un’ottima traduzione.
Potrà sembrare forse strano che proprio io sia rimasto incuriosito - rimanendone persino incantato - da un romanzo e da un autore relativamente recenti. Ma la data di pubblicazione, risalente a quasi quarant’anni fa, mi ha fornito una valida giustificazione: in fondo, si tratta pur sempre d'un libro del secolo scorso ...La storia, ispirata a quanto pare a vicende realmente accadute, è sintetizzata dallo stesso Chatwin in una lettera ad un amico: "si tratta di un uomo che si è rovinato la vita aggrappandosi alla sua meravigliosa collezione di statuine di Meissen tra gli orrori della seconda guerra mondiale e i primi anni dello stalinismo".
Ma sarà poi corretto affermare che quell’uomo – Kaspar Utz – si sia davvero rovinata la vita? Solo in parte, direi. Perché quella mania – anzi, adorazione – per la porcellana ha su di lui un duplice effetto: da un lato costituisce effettivamente una prigione, perché impedisce al protagonista di stringere sinceri e profondi rapporti d’amore e/o d’amicizia, tenendolo avvinto ad un mondo di pura fantasia (le statuine richiamano e riproducono infatti lo splendore delle corti settecentesche, a cui Utz vorrebbe tornare); dall’altro, tuttavia, rappresenta una salvifica via di fuga alla barbarie culturale del regime nazista prima, sovietico poi, cui la Praga di Utz si trova sfortunatamente a sottostare. Si scoprirà così che per un animo sognatore, che vive esclusivamente della (e nella) sua collezione, persino la barbarie può essere relegata a mero “rumore di fondo”.
In Utz, inteso sia come protagonista, sia come romanzo, c’è molta erudizione (vi sono lunghi passaggi dedicati alla storia ed alla fabbricazione della porcellana, nonché ai risvolti mistici e quasi taumaturgici ad essa collegati), ma anche molta malinconia, per un passato che non può realmente rivivere, per una libertà costantemente ostacolata e per una bellezza ormai irrimediabilmente deturpata. Ed è questa malinconia di fondo a venare di poesia un racconto che, nei suoi capitoli conclusivi, assume anche i tratti del “giallo”, con il narratore che cerca di ricostruire gli ultimi giorni di vita di Utz per tentare di scoprire che fine abbiano fatto quelle preziose statuine. Il finale è forse improbabile, ma è certamente l’aspetto meno importante.
E' una lettura che mi sentirei di consigliare, ma solo a chi ama le storie in cui nulla - apparentemente - accade.