Avevo buonissime sensazioni su questo libro, complice anche il paese protagonista dei racconti di viaggio di Cees Noteboom, il
Giappone!
Ricordo che quando componemmo il percorso di letture con Greta pensai: "non vedo l'ora di leggere questo libro" e finalmente il momento è arrivato!
Sono quasi al 40% della lettura e devo dire che le buone sensazioni sono più che confermate:
questo libro è splendido!
L'autore, che avevamo già conosciuto a
marzo 2013
, scrive benissimo, non annoia mai e riesce a bilanciare bene il racconto di ciò che ha visto con quelle che sono state le sue emozioni scoprendo il paese del sol levante. In alcune di queste emozioni mi rispecchio totalmente. Infatti, il ricordo del mio viaggio in Giappone (2018) fortunatamente è ancora vivido in me e leggere questi racconti di viaggio mi sta consentendo di tornare un po' lì con la testa. Tokyo, Nikko, Osaka, Nara, Kyoto, sono solo alcuni dei luoghi che ho visitato e che tramite l'abile penna di Noteboom sto tornando a vivere.
La magia, la spiritualità, le persone, il cibo... più in generale la
cultura giapponese: impossibile non restarne ammaliati!
Lo dice uno che era molto scettico e che ha rimandato per anni quel viaggio. Il Giappone è tanto piccolo ma racchiude in sé un mondo sconfinato che noi occidentali non riusciremo mai a comprendere totalmente. L'autore stesso, a tal proposito, cita nel suo libro uno scritto di un giornalista americano (Lafcadio Hearn), il quale scrive:
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Sul Giappone sono già stati scritti mille libri, ma a parte le pubblicazioni artistiche e le opere a carattere prettamente specialistico, non se ne contano più di venti realmente importanti. Questo deriva dall'inimmaginabile difficoltà di concepire e capire ciò che si trova sotto la superficie della vita giapponese. E per i prossimi cinquant'anni non potrà essere pubblicato alcun libro che racconti e spieghi del tutto quella vita e la società giapponese dall'interno e dall'esterno, dal punto di vista storico, sociologico, psicologico ed etico. L'argomento è così vasto e complesso che nemmeno una generazione di studiosi riuscirebbe ad esaurirlo, così ostico che il numero di studiosi disposti a dedicarvi il loro tempo sarà sempre esiguo."
Chi è stato in Giappone non potrà non ritrovarsi nelle parole di Noteboom quando, riferendosi al più antico tempio giapponese, scrive:
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Questo è il tempio più antico del Giappone, ma non provo alcuna emozione, o meglio, non per la sua antichità, è piuttosto la sacralità del luogo che sento dentro come un brivido".
Credo che con pochissime parole abbia rappresentato esattamente ciò che si prova visitando i templi giapponesi, buddisti o shintoisti, è indifferente.
Il concetto si estende a tutti i templi che ho visitato in Giappone. Sono tutti molto simili e non si caratterizzano, come le grandi cattedrali cristiane, per la loro sfarzosità o per la complessità e ricercatezza architettonica o per i tesori, i dipinti, le statue, le tombe o le reliquie che racchiudono.
Eppure quando li visiti provi un'emozione particolare, per me diversa da quella che ho provato entrando in grandi chiese cristiane come la cattedrale di York, San Pietro a Roma o Notre-Dame a Parigi.
Il senso di sacralità di cui parla Noteboom è quasi più "puro" perché non è condizionato da elementi esterni. Non so se mi sono spiegato.
Credo che questo dipenda anche dai giapponesi che frequentano i templi (oltre che dai templi stessi e dalla loro collocazione, spesso immersa nella natura). Guardare i loro rituali ti permette di entrare in armonia con il luogo. Purificazione delle mani, inchini, battiti di mani, le preghiere scritte sui fogliolini, ecc. A seconda della loro fede, i rituali cambiano ma non cambia il senso di spiritualità che si prova visitando i templi.
Il libro fornisce anche spunti di riflessione interessanti, ad esempio io ne ho colto uno leggendo l'estratto che riporto di seguito.
Mi ha fatto pensare a come sia cambiato il viaggio ed il nostro modo di viaggiare grazie alle moderne tecnologie.
Quello che faccio io non si può quasi più chiamare viaggiare, non si scopre più niente, si digita, controlla, smentisce e conferma, immagini e idee vengono confrontate con la "realtà", ciò che in ultima istanza vado a fare è vedere se il Giappone esiste davvero [...].
In effetti il mondo ormai è interamente conosciuto. Non intraprendiamo più viaggi di esplorazione e spesso, quando arriviamo in un luogo, ci siamo molto documentati prima di arrivarci. Portiamo con noi guide che ci indirizzano e ci supportano durante la visita ma effettivamente ciò che dice l'autore è vero: stiamo confrontando la realtà con quanto ci è stato raccontato. Il senso della scoperta è difficile da ricreare e quindi diventa ancora più importante secondo me l'aspetto emotivo del viaggio, quello che nessuno può raccontarti perché strettamente personale.
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Credo che uno possa restare a contemplare questo luogo per un minuto, un'ora o un giorno, certi per tutta la vita. Più mi attardo, più diventa indescrivibile la sensazione che provo a guardarlo - come se fossi risucchiato, come se mi librassi sopra il giardino, come se, fisicamente, io stesso entrassi a farne parte. Mi rendo conto che non me ne voglio andare, che mi giro, torno indietro, mi risiedo. E adesso, a distanza di così tanto tempo, di ritorno da altri paese e più lontani, o da qualche altro luogo nel tempo, mi ritrovo nella mia stanza con una cartolina ordinaria, infedele, un po' sbiadita, una foto scattata da un'angolazione sbagliata, e al di là della contraffazione e della lontananza senso ancora come quel giardino mi attiri dolcemente."