Finito il libro (bellissimo!), commento con le riflessioni che la lettura mi ha suscitato.
Il punto centrale del libro, posto nevralgicamente sul fulcro della narrazione, è ovviamente l'essere dimezzati. A questo proposito, vorrei citare le parole dello stesso Calvino sul tema:
Quando ho cominciato a scrivere Il visconte dimezzato, volevo soprattutto scrivere una storia divertente per divertire me stesso, e possibilmente divertire gli altri; avevo questa immagine di un uomo tagliato in due ed ho pensato che questo tema [...] fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti [...]. A me importava il problema dell'uomo contemporaneo [...] dimezzato, cioè incompleto, "alienato".
Se ho scelto di dimezzare il mio personaggio secondo la linea di frattura "bene-male", l'ho fatto perché ciò mi permetteva una maggiore evidenza d'immagini contrapposte, e si legava a una tradizione letteraria già classica (per esempio Stevenson), cosicché potevo giocarci senza preoccupazioni.
Il punto è talmente centrale che Calvino fa dire al Medardo Buono:
Non io solo, Pamela, sono un essere spaccato e divelto, ma tu pure e tutti. Ecco ora io ho una fraternità che prima, da intero, non conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e le mancanze del mondo.
Il pretesto del dimezzamento del protagonista apre una forte diatriba di carattere morale: da una parte, infatti, l'essere dimezzati si colloca come la via regia per acquisire saggezza e maturità, ed è paradossalmente il Gramo a dircelo:
Così si potesse dimezzare ogni cosa intera [...] così ognuno potesse uscire dalla sua ottusa e ignorante interezza. Ero intero e tutte le cose erano per me naturali e confuse, stupide come l'aria; credevo di vedere tutto e non era che la scorza. Se mai tu diventerai metà di te stesso, e te lo auguro, ragazzo, capirai cose al di là della comune intelligenza dei cervelli interi. Avrai perso metà di te e del mondo, ma la metà rimasta sarà mille volte più profonda e preziosa. E tu pure vorrai che tutto sia dimezzato e straziato a tua immagine, perché bellezza e sapienza e giustizia ci sono solo in ciò che è fatto a brani.
Ma anche il Buono un po' più avanti ribadisce lo stesso punto:
O Pamela, questo è il bene dell'essere dimezzato: capire d'ogni persona e cosa al mondo la pena che ognuno e ognuna ha per la propria incompletezza. Io ero intero e non capivo, e mi muovevo sordo e incomunicabile tra i dolori e le ferite seminati dovunque, là dove meno da intero uno osa credere.
Il Gramo, in assenza del lato empatico ed emotivo, riesce a ragionare più lucidamente (potremmo dire che diviene "tutto cervello", tant'è vero che riesce a far costruire, su suoi progetti, le macchine di tortura e impiccagione più ingegnose mai viste).
Il Buono, in assenza dell'intrusività negativa del Gramo, riesce a dare libero sfogo alle sue volontà di aiuto e di generosità che probabilmente ha sempre sentito dentro sè ma che non ha mai potuto realizzare appieno a causa dei freni posti dal Gramo.
La presunzione dei due Medardi di possedere la chiave di lettura a tutto mi ha dato una forte suggestione: quante volte ci arrocchiamo la presunzione di vedere le cose per intero, quando invece ne conosciamo solo una piccola parte? E facciamo delle scelte sulla base di quella piccola porzione che crediamo essere la realtà? Così il Gramo e il Buono prendono le loro decisioni: in modo parziale, poco oculato, incompleto.
E questo ci porta all'altro lato della questione, come afferma lo stesso autore in un commento al suo libro:
[...] che queste due metà fossero egualmente insopportabili, la buona e la cattiva, era un effetto comico e allo stesso tempo anche significativo, perché alle volte i buoni, le persone programmaticamente buone e piene di buone intenzioni, sono terribili scocciatori.
Il Gramo diviene inviso alla popolazione per le sue azioni malvagie senza senso, tant'è vero che pianificano di ucciderlo per l'esasperazione. Il Buono viene ugualmente detestato da tutti, perché la sua eccessiva prodigalità verso le pie intenzioni impediscono alle persone di divertirsi (vedasi i lebbrosi), di badare ai propri interessi (vedasi gli ugonotti), banalmente di vivere in modo intero (cosa che chiaramente il Buono non comprende appieno). Servono entrambe le metà per riuscire ad avere davvero quella saggezza che entrambi credono di possedere, e la riunione soddisfa questa condizione.
Un punto importante viene toccato, a mio parere, dalla discussione tra il Buono e la vecchia Sebastiana, che non sembra vedere la divisione tra i due Medardi, incolpando entrambi delle azioni dell'altra metà. In particolare, rispetto al Buono, ho trovato significativo questo passaggio:
- [...] Tu hai regalato la tua stampella al vecchio Isidoro.
- Sì, quello sono stato proprio io ...
- E te ne vanti? Gli serviva per bastonare sua moglie, poveretta ...
- Lui m'ha detto che non poteva camminare per la gotta.
- Faceva finta ... E tu subito gli regali la stampella ... Ora l'ha rotta sulla schiena di sua moglie e tu giri appoggiandoti a un ramo forcelluto ... Sei senza testa, ecco come sei!
Il passaggio mi ha colpito perché ci rimanda un messaggio piuttosto chiaro: le buone azioni senza capacità critica non solo non servono a nulla, ma possono rivelarsi anche estremamente controproducenti.
Anche la riflessione sull'amore è importante, a mio parere, all'interno del libro: il Gramo e il Buono, infatti, si innamorano della stessa ragazza, Pamela, ma la amano in modo differente, parziale, secondo le loro attitudini. Il Gramo la ama in modo brutale, violento; la vuole recludere nel suo castello per averla tutta per sè, perché:
Io faccio del male come tutti lo fanno; ma, a differenza degli altri, io ho la mano sicura.
Il Buono, di contro, ama Pamela in modo gentile, delicato, e sembra offrire una prospettiva migliore rispetto al Gramo; ma in realtà anche lui ha un amore incompleto e brutale, perché le dice:
Se verrai con me, Pamela, imparerai a soffrire dei mali di ciascuno e a curare i tuoi curando i loro.
Dunque il Buono desidera Pamela come specchio della sua prodigalità verso gli altri, ignorando le reali intenzioni e attitudini della ragazza (tant'è vero che il Buono insiste nel leggerle i libri quando lei non è per nulla interessata).
In entrambi i casi, Pamela è più un oggetto che una persona da amare, e dunque entrambi ci offrono la visione di un falso amore, che non accoglie l'altro ma che vuole conformarlo a sè. Solo il Medardo completo riuscirà ad amare Pamela e ad essere un buon marito per lei, perché potrà rapportarsi da persona completa ad un'altra persona completa, con le sue sfaccettature e contraddizioni.
Chiudo questa mia lunga dissertazione citando la presentazione sulla mia edizione, che riporta i significati dietro ai personaggi esplicitati dallo stesso Calvino. Lo metto come spoiler per non rovinare nulla agli altri, visto che questo nei commenti precedenti si è rivelato un punto caldo:
Non vedo l'ora di proseguire con "Il barone rampante", adesso l'aspettativa è alta.
Ci si sente nel prossimo topic!