Trama: C’era una volta, ai piedi dell’Himalaya, una valle dominata da un’enorme montagna coperta di neve, la cui vetta era sempre avvolta dalle nubi. Gli abitanti della Valle veneravano la montagna, danzavano per lei, su di lei cantavano e raccontavano storie. In cambio la Grande Montagna, Mahaparbat, proteggeva la gente e provvedeva ai bisogni di tutti, regalando flora e fauna dalle proprietà miracolose: rare specie di funghi, frutti squisiti, miele profumatissimo e soprattutto una noce dagli infiniti usi medicinali. Nessuno degli abitanti della Valle aveva mai osato scalare la montagna – se lo avessero fatto, avrebbero rotto il fragile equilibrio fra uomo e Natura – così come a nessuno straniero era mai stato concesso di raggiungere le sue pendici. Un giorno, tuttavia, la Grande Montagna comincia a fremere e palpitare, crepacci si aprono profondi nel cuore della Valle. Un esercito di Anthropoi, dotato di armi terribili, si sta avvicinando. E viene per restare. Forse è un sogno, forse un ricordo, forse una favola nera… eppure tutto appare così vero. In questo piccolo libro Amitav Ghosh torna con grazia e semplicità ai temi che hanno segnato la sua carriera di scrittore – le tragedie del colonialismo, lo sconvolgimento che il cambiamento climatico porta con sé – per consegnarci un apologo sul tempo presente e la nostra generazione, un racconto che è anche un monito nei confronti dell’essere umano e della sua insensata voglia di oltrepassare ogni limite. «Il racconto di Ghosh mescola magia e realtà e ci chiede di ripensare il nostro rapporto con la natura prima che sia troppo tardi». The Hindu «Ne La montagna vivente Amitav Ghosh traccia la storia di un’umanità che precipita verso l’apocalisse ambientale a forza di voler scalare vette proibite». The Third Pole «In parte sogno, in parte ricordo, La montagna vivente è una favola per il nostro presente». Tint Journal
Ciao a tutti, quest’anno ho letto anche questo brevissimo racconto di appena 64 pagine.
È una sorta di favola nera che ha lo scopo, cito testualmente, “di portare il lettore a riflettere sulla tematica ambientale, sul cambiamento climatico, la sopraffazione delle grandi potenze mondiali, il colonialismo e la mancanza di buon senso dell'essere umano.”
La storia inizia con un club del libro che funziona un po’ come il nostro Tema dell’anno. Ogni anno a turno scelgono un tema e lo approfondiscono nell’arco dei 12 mesi tramite una selezione mirata di titoli.
L’argomento che viene scelto è l’antropocene, una parola sconosciuta ai due lettori che incontriamo all’inizio del libro e che si mettono subito alla ricerca di titoli interessanti.
Ad un certo punto uno dei due lettori di cui non ricordo il nome, legge una storia che la turba parecchio e nei giorni successivi fa un sogno strano che le ricorda una storia che le raccontava la nonna. A quel punto non è più sicura che si tratti solo di un sogno, ed è talmente scossa da questa cosa che decide di andare dall’analista il quale le consiglia di mettere tutto su carta.
La storia a grandi linee è questa: c’è questa Grande Montagna che non fa mancare nulla alle varie tribù che abitano lungo le sue pendici. La Montagna produce un frutto miracoloso che copre una grande quantità di usi medici e che quindi fa gola a molti che non abitano nella montagna. Solo che gli estranei non sono autorizzati ad accedere alla Montagna, così comincia una sorta di conquista da parte degli estranei convinti che la montagna contenga grandi ricchezze tipo minerali e metalli.
Una citazione che mi ha colpito riguardo a questa parte è questa: “avevano stabilito che, dal momento che noi non facevamo uso delle ricchezze della montagna, loro avevano pieno diritto di impadronirsene e di prendere tutto ciò che volevano.”
Raggiunto il loro obbiettivo, gli estranei mettono al bando tutte le cerimonie, i canti, le danze e in generale tutta la storia culturale, folkloristica degli abitanti della montagna. Riescono talmente tanto nel loro intento che alla fine nessuno si ricorderà più delle loro tradizioni e cercheranno disperatamente qualcuno che abbia ancora memoria del loro passato.
Altro punto importante è che gli estranei riescono a distogliere l’attenzione delle tribù e portarla dalla montagna in sé, che i vari villaggi veneravano, alla scalata della montagna. Non importa più niente se non scalare la montagna anche a costo di provocare danni agli altri. Infatti “Il peso degli scalatori aveva smosso la neve sulle pendici più basse. Di conseguenza, frane e valanghe devastanti si erano abbattute sulla nostra valle, falciando gli abitanti dai villaggi.”
La scalata della montagna ha annebbiato la mente a tutti, nemmeno loro sanno perché lo stanno facendo, anzi lo fanno per imitazione, perché pensano “se lo fanno loro che dicono di essere super intelligenti, perché non dovremmo farlo noi??”
Concludo con una citazione che secondo me racchiude il senso del racconto:
“Comprendemmo che a quanti guidavano la scalata non era mai importato nulla della Grande Montagna; non aveva mai significato nulla per loro. L’unica cosa che gli stava a cuore era essere più in alto di noi; dimostrare che erano sempre nel giusto, e noi sempre in errore. E se anche l’avessero voluto, non potevano smettere di salire: arrampicarsi era come una droga, i loro corpi non riuscivano a farne a meno. Del resto, come avrebbero potuto tornare indietro? Il loro orgoglio, che era immenso, gliel’avrebbe impedito, perché avrebbe significato rinnegare il passato e il loro modo di pensare e di scalare.”
È una lettura veloce e piena di riflessioni, magari potete dedicargli un’oretta e farmi compagnia in questa discussione.. sono curiosa di sapere cosa ne pensate.