Graziella!!!!

Non so perché tu mi abbia dato questa lezione ma sappi che cira quaranta anni fa andai in barca a vela con un mio cugino in una giornata di burrasca. La barca preso velocemente il largo si capovolse e affondò lontano dalla costa (dove quel tipo di barca non sarebbe potuta andare) e rimanemmo in acqua per un paio d'ore in quanto la corrente non ci permetteva di raggiungere la riva al nuoto. Un motoscafo con degli alpini alla guida ci avvistò e ci portò in salvo. Ci portarono alla capitaneria di porto che ci fece una tale reprimenda che me la ricordo ancora.
Da allora non sono mai più andato in barca a vela.

Tragico epilogo Pier, ma io mi ero completamente dimenticata di raccontarti una mia "Avventura" in barca a vela navigando dalla Sardegna (Porto di Palao) alla Corsica, costa orientale, fino a Basita, nel mese di settembre. (Importante il mese, perché lì quando c'è aria tira il grecale, che è un vento antipatico)
Sono arrivata in un fine settimana a Palao per fare da prodiere e da aiutante a un mio amico che doveva portare la sua barca a vela di poco più di otto metri, verso un ricovero presso Bocca di Magra in Toscana.
La barca era stata fabbricata in Inghilterra, e adatta più all'oceano, qui da noi sul Mediterraneo, era lenta e ti dirò, per andare aveva bisogno di molto vento, e comunque quando andava la prua sembrava che inciampasse nelle onde.
Partiamo verso sera, sole e venticello, così cambiamo il fiocco medio con il Genoa, fiocco ampissimo che raccoglie molto vento e fa andare la barca più veloce. Arrivati però alle
Bocche di Bonifacioil vento si è notevolmente rafforzato, tanto da dover cambiare il fiocco (quello spettava al prodiere che ero io) una manovra non simpatica dato che si faceva allora tutto a mano, e metterne uno più piccolo. Il vento rinforzava sempre di più, e così, in navigazione abbiamo dovuto "Terzarolare" la randa, cioè ridurla. Dopo le bocche ci siamo fermati per la notte in una cala presso la Rondinara. Abbiamo gettato l'ancora e ci siamo messi prua a vento. Durante la notte si ballava un po' ma abbiamo dormito bene, ogni tanto il mio amico andava a controllare le cime delle ancore e controllava se queste non arassero sul fondo. Alla mattina siamo ripartiti, il vento era diminuito, ma il mare aveva le onde tutte incrociate, il cielo era grigio e noi soli in mezzo all'immensità, il vento era il grecale.
Così dovendo costeggiare la costa, ed avendo il vento "sul naso" l'unica era avanzare con lunghi bordi di "bolina" che vuol dire che devi navigare al largo per un bel po' per poi rinavigare verso la costa, procedendo sempre in questo modo. si dice fare dei lunghi bordi.
Certo si perde un sacco di tempo ed è anche noioso, facevamo un bordo per uno. Si avanzava poco, lo scafo ho già detto era molto pesante e il rapporto velatura scafo era sballato.
Si poteva accendere il motore, però questo era piccolo e fuori bordo, inadatto a spingere agevolmente una barca così pesante.
Arrivò sera, il vento era quasi calato, il buio ormai incombeva e non si vedeva nulla.
Il mio amico guardava verso terra, cercando di scorgere le luci di Solenzara o anche dopo, dove diceva esserci un porto privato. Ho saputo dopo che il mio amico era fortemente miope e portava le lenti a contatto, ma da lontano ci vedeva veramente poco. Infatti chiedeva sempre a me: "cosa vedi Graziella?" Io aguzzavo gli occhi ma in quel buio non si vedeva nulla.
Il pericolo era quella di avvicinarci troppo alla riva sabbiosa rischiando di incagliarsi nel fondo.
La barca non era dotata neppure di un ecoscandaglio, che ci avrebbe segnalato tale pericolo.
Il mio amico mi diede in mano un gran torcia e mi disse guarda si dovrebbe vedere la costa, dovremmo essere vicini.
Io guardai, ma quello che vidi mi tolse per un attimo il respiro e la parola. Volevo gridare ma non mi usciva nulla: vidi illuminata dalla luce della potente torcia, la riva, la spiaggia a una distanza di 50 metri. E mentre finalmente riuscii a ritrovare la voce e a parlare, contemporaneamente sentimmo il tipico rumore della deriva che entrava quasi con dolcezza della sabbia. Il mio amico era un tipo veloce, capì subito la situazione, portò la barra del timore "tutta a dritta" mi ordinò di tenerla assolutamente in quella posizione e attaccandosi alle sartie che reggono l'albero e sporgendosi con tutto il peso in fuori cercando di far sbandare la barca per disincagliarla, riprendemmo prua verso il largo, con un'ondina miracolosa che ci permise di disincagliarci. Passammo tutta la notte in mare mettendo in moto il motore da sei cavalli, e con turni di veglia e di guida al timore, di tre ore in tre ora all'alba arrivammo a Bastia. Appena entrati in porto e sistemata l'imbarcazione il motore cedette: lasciammo la barca in porto e tornammo a casa con una nave passeggeri che ci portò a Genova.