Il romanzo giallo "Le ninfee nere" del mese di aprile, mi hanno, per forza di cose, riportato al pittore Claude Monet e alla sua permanenza durata ben 29 anni, fino alla sua morte. a Giverny.
Monet basce a Parigi nel 1840 e muore a Gverny nel 1926, alla bella età di 86 anni.
Nel 1890, ormai ricco e famoso, acquista la proprietà di Giverny dove si trasferisce definitivamente. Allievo di Boudin, come altri impressionisti Monet andava in cerca di "panorami" da dipingere restando "on plain aire". A un giornalista che gli chiedeva di mostrargli il suo atelier, Monet rispondeva: "che in una camera non si poteva dipingere" e indicando con un gesto la Senna e la campagna disse: "Ecco il mio atelier".
Dipingere la realtà, la natura, gli uomini, le acque, i cieli. Questo era quello che voleva dipingere questo pittore del naturalismo.
Dipingere "En plain air".
Nel romanzo di Bussi, nel personaggio del vecchio James sembra di rivedere Monet che andava in giro per la campagna di Giverny con quattro e più cavalletti.
Nel 1897 Monet si dedica allo studio delle Ninfee che dipinse per 29 anni fino alla sua morte. Ne dipingerà 250, tra i quali anche i "grandi pannelli decorativi degli ultimi anni.
Negli anni '70 Monet si trova in grandi difficoltà economiche e viene soccorso più volte dagli amici.
In questi anni pittura e scrittura si incrociano:
"Il paesaggio è utilizzato dai pittori, per suscitare degli stati d'animo interiori e la loro rappresentazione che ne deriva è il risultato di questo processo di elaborazione ultima. Lo stesso meccanismo è adottato dagli scrittori; M Proust, ad esempio, è un maestro nel lasciare che il filo conduttore del romanzo vaghi tra l'interno e l'esterno, tra la memoria e la realtà, tra la suggestione e la ragione. Non vi è più la possibilità di poter essere oggettivi, come avevano creduto di poterlo essere i naturalisti, e per la cultura francese dell'ultimo ventennio, l'io diviene il diaframma tra interno ed esterno sul quale conviene concentrarsi.
L'autore della Recherche rimane ammaliato di fronte ai paesaggi invernali di Manet, sono sue queste parole:
"Tutto risplende [...] questo disgelo è come un miraggi; non si percepisce differenza fra ghiaccio e la luce del sole; tutti questi frammenti galleggianti irrompono nel clamore del cielo spazzolandolo via: lo splendore degli alberti è tale che non sapresti dire se derivi dal rossore autunnale o da una qualche essenza interna alla loro specie; alla fine non sai più cos'è che stai guardando, se il letto di un fiume o il chiaro di una foresta (Proust, alla Ricerca del tempo perduto)
Ecco l'intrecciarsi per omogeneità fra prosa, poesia e pittura, in questo periodo d'ora peer la ultura francese fra il 1860 e la fine della belle epoque.
"ESSERE! ESSERE E' NIENTE. ESSERE E' FARSI".
(Da "Come tu mi vuoi" di Pirandello)