Grazie alla partecipazione al raduno ho ritrovato un po' di coraggio per tentare nuovamente la proposta dei libri del mese. 
Cat. 1 - Storico: Il medico di corte (Per Olov Enquist) 416 pag.
“Tu sei un sentimentale, amico mio, un San Francesco tra i poveri di Altona. Ma ricordati che sei un illuminista. Devi guardare lontano. Oggi, tu vedi solo gli esseri umani davanti a te, ma guarda oltre. Sei una delle menti più brillanti che conosca, e una grande missione ti attende… Potresti applicare le tue teorie nella realtà. Nella realtà.” È così che Johann Friedrich Struensee, giovane medico tedesco, idealista, impregnato di idee illuministe, taciturno e schivo, viene convinto ad accettare l’incarico di medico personale, e poi Primo Ministro, del re di Danimarca Cristiano VII, quel re diciottenne intelligente e sensibile, che scambia lettere con Voltaire, e che una mostruosa educazione  conduce volutamente sull’orlo della follia, perché si perpetui il vuoto di potere di cui la Corte ha bisogno per mantenere il proprio. È il 1768: per quattro anni la Danimarca conosce una rivoluzione che anticipa, senza sangue, senza terrore, le conquiste della Rivoluzione francese di vent’anni dopo. Dalla libertà di pensiero, di stampa, di culto, alle più avanzate riforme sociali fino al progetto di eliminazione della servitù della gleba: in seicentotrentadue decreti Struensee, intellettuale ignaro dei giochi della politica, firma la propria rovina, aprendo la strada a quella reazione che Guldberg, pietista assillato dalla missione di salvare la Danimarca dal peccato, non farà che pilotare. Ma è innamorandosi della regina che Struensee decreta la propria condanna. Quella Caroline Mathilde, giunta smarrita quindicenne dalla corte inglese a Copenaghen come sposa del re, che diventa in poco tempo, con la scoperta della passione e dell’eros, una donna libera, viva, conscia del proprio potere e capace di usarlo con lucidità. Una rivoluzione che ha il suo momento magico nella breve felicità di una passione. I meccanismi del potere, il dilemma dell’intellettuale davanti all’azione, il “guardare lontano” senza più riuscire a “vedere vicino”, laicismo e fondamentalismo, la forza liberatoria dell’eros e l’ossessione della purezza, la luce della ragione e il suo lato oscuro, la follia e il desiderio: gli ingranaggi della storia riportano sempre in scena lo stesso dramma, ma nella danza della morte in cui sono trascinati i personaggi, resta sospeso nell’aria il suono di un flauto, la musica della libertà e dell’amore, l’ostinato sopravvivere delle idee che non si lasciano decapitare.
Cat. 2 - Contemporaneo: Otto mesi a Ghazzah Street (Hilary Mantel) 334 pag.
Arabia Saudita, Gedda, Ghazzah Street. Uno strano posto. Un luogo senza passato, un luogo di passaggio dove nessuno si ferma per più di qualche anno e dove la gente, in casa, tiene le sue cose negli scatoloni. Anche la terra e il mare, laggiù, sono in continuo mutamento: ci sono ville costruite da pochi anni con vista sul mare che oggi si affacciano su un muro. Frances Shore è una cartografa, ma quando il lavoro di suo marito la porta in Arabia Saudita si ritrova come una prigioniera sperduta, incapace di orientarsi nelle zone oscure del paese. Il regime che impera è corrotto e inflessibile, molti degli stranieri che incontra non sono che avidi faccendieri in cerca di denaro accompagnati dalle mogli e i vicini musulmani si muovono furtivi ma hanno occhi per ogni cosa. Le strade non sono il posto adatto per le donne, e Frances – il marito Andrew è spesso assente – si ritrova confinata nel suo appartamento cercando di dare un senso a tutto ciò. Ma la battaglia è ardua. Le giornate diventano un susseguirsi di vuoti e di silenzi, interrotti soltanto dagli inspiegabili rumori provenienti dal piano superiore, che però, a quanto le è stato detto, dovrebbe essere disabitato. Quello dell’appartamento al piano di sopra diventa un mistero tutto da sciogliere, che obbligherà la protagonista a scontrarsi con le mille contraddizioni di un mondo infernale: un mondo asfittico, fatto di sofferenze celate, silenzi strazianti, segreti inconfessabili. Un mondo di cui le donne sono vittime ma anche complici.
Cat. 3 - Saggi: Fissando il sole (Irvin D. Yalom) 251 pag.
«La tristezza mi entra nel cuore. Io ho paura della morte». Così quattromila anni fa Gilgamesh, l’eroe babilonese, commentava la morte dell’amico Enkidu. La paura della morte ci perseguita da sempre. C’è chi la manifesta indirettamente, magari in un sintomo che non ha apparentemente nulla a che fare con essa; c’è chi la esplicita, come Gilgamesh, con tragica consapevolezza; c’è chi ne è a tal punto paralizzato da non potersi abbandonare ad alcuna felicità. Come un’ombra oscura, la paura della morte entra nel cuore di ogni uomo, in ogni epoca, sotto ogni condizione. Al punto tale che non vi è stato scrittore degno di questo nome che non l’abbia affrontata e descritta. Irvin Yalom l’affronta anche lui in questo libro, ma non per aggiungere un suo compendio di riflessioni alle illustri opere del passato. Il libro è piuttosto una ricognizione che nasce dal confronto personale con il problema della morte, confronto offerto dal dialogo con i pazienti e dalla frequentazione delle opere di quei pensatori che hanno tracciato la via per avere la meglio sul terrore della morte. L’esperienza mostra come sia davvero arduo vivere ogni istante consapevoli di dover morire. «È come cercare di fissare direttamente il sole: si riesce a sopportarlo solo per poco». Di qui i rituali compulsivi per attenuarne il terrore: la proiezione nel futuro attraverso i propri figli, la fede in un salvatore, la strenua lotta per diventare importanti e famosi. L’angoscia della morte è però sempre in agguato, «occultata in qualche abisso nascosto della mente». Che cosa fare? Come misurarsi con essa? Più che Freud, Jung e gli altri grandi psichiatri della fine del diciannovesimo e dell’inizio del ventesimo secolo, sono i filosofi greci classici, in particolare Epicuro, a indicare, per Yalom, la via. È attraverso il pensiero di Epicuro – un filosofo lontanissimo da quella concezione di abbandono alla sensualità con cui viene generalmente tramandato – che l’idea della morte, anziché portare alla disperazione e a una vita priva di scopo, può essere una awakening experience, un’esperienza di risveglio, «una consapevolezza che conduce a una vita più piena».
Cerco di motivarvi le mie scelte.
Il primo libro è già stato proposto da Novel per lo stesso mio motivo ovvero abbiamo visto il bellissimo film Royal affair e ci siamo innamorati di questa storia e di questi personaggi. Oltrettutto questo scrittore svedese ha scritto molti bei libri e vorrei leggerli tutti, perciò almeno da questo vorrei cominciare. 

Il secondo libro invece è scritto dall'unica donna ad aver visto il prestigioso Man Booker Prize ed è da molto che aspetto di leggere una sua opera, avrei voluto proporvi Wolf Hall ma è il primo di uno trilogia dedicata a Cromwell e inoltre so che i libri lunghi qui racimolano pochi voti.
Il terzo infine è un autore di cui ho sentito parlare benissimo, uno che sa sconvolgere le emozioni; inoltre ho una motivazione personale per aver scelto proprio questo libro a discapito degli altri più conosciuti: ho un ricordo di me bambina a piangere disperata sul letto di mia madre mentre le chiedevo perché bisogna morire...senza un motivo particolare ero angosciata da questa prospettiva e devo dire che ancora oggi se penso che abbiamo una data di scadenza mi ritrovo sconvolta e bloccata e vorrei vedere se questo libro può aiutarmi.
Le proposte non sono ancora approvate perciò aspettate il via dei moderatori per votare.