Questo Natale mi hanno regalato un libro, un libricino minuscolo e bellissimo, di un autore che amo profondamente. Il titolo è
Mille candele danzanti, l'autore è
Christian Bobin, ed è da molto, moltissimo tempo che voglio parlarvi di lui. Aspettavo di trovare le parole giuste, per convincervi a dargli una possibilità, ma non sono arrivate e invece è arrivato questo libro. L'ho letto e mi sono detta che non potevo aspettare un secondo di più. Ancora non trovo le parole però, così ho deciso di lasciar fare a lui e di riportarvi alcuni incipit...
Mille Candele Danzanti
All'inizio non si legge. Al sorgere della vita, all'aurora degli occhi. Si divora la vita con la bocca, con le mani, ma non ci si sporca ancora gli occhi di inchiostro. Agli inizi della vita, alle sorgenti primarie, ai ruscelli dell'infanzia non si legge, non si ha l'idea di leggere, di chiudere dietro di sé la pagina di un libro, la porta di una frase. No, all'inizio è più semplice. Più folle, forse. Non si è separati da niente e niente ci separa. Si è in un continente senza limiti veri e questo continente sei tu, te stesso. All'inizio ci sono le terre immense del gioco, le grandi praterie dell'invenzione, i fiumi dei primi passi e ovunque, tutt'intorno, l'oceano della mamma, le onde battenti della voce materna. Tutto questo sei tu, senza rotture, senza strappi. Uno spazio infinito facilmente misurabile. Al suo interno, niente libri. Non c'è posto per una lettura, per il lutto ammirato di leggere. Del resto, i bambini non sopportano di vedere la madre intenta a leggere. Le strappano di mano il libro, reclamano una presenza intera, e non quella presenza incerta, corrotta dal sogno. La lettura entra nell'infanzia ben più tardi. Bisogna innanzi tutto imparare a farlo e sono una sofferenza i primi tempi dell'esilio. Si apprende la propria solitudine lettera dopo lettera, col dito sul cuore, sottolineando ogni vocale col sangue rosso. (...)
Francesco e l’infinitamente piccolo
"Il giovane partì insieme con l'angelo e anche il cane li seguì” E' una frase che sta nella Bibbia. E' una frase del libro di Tobia, nella Bibbia. La Bibbia è un libro fatto di molti libri, e in ciascuno di questi libri vi sono molte frasi, e in ognuna di queste frasi molte stelle, olivi e fontane, asinelli e alberi di fico, campi di grano e pesci e il vento, dovunque il malva del vento della sera, il rosa della brezza mattutina, il nero delle grandi tempeste. I libri d'oggi sono di carta. I libri di un tempo erano di pelle. La Bibbia è il solo libro d'aria: un diluvio d' inchiostro e di vento. Un libro insensato, che ha perduto il suo senso, perduto nelle sue pagine come il vento nei parcheggi dei supermercati, fra i capelli delle donne, negli occhi dei bambini. Un libro impossibile da tenere fra le mani tranquillamente, per una lettura calma e distaccata: spiccherebbe immediatamente il volo, spargerebbe la sabbia delle sue frasi fra le dita. Si prende il vento fra le mani e istantaneamente ci si arresta, come al principio di un amore, appagati: ho trovato - ci si dice -, era ora finalmente, qui mi fermo, a questo primo sorriso, a questo primo incontro, a questa prima frase che per caso era là…
L’uomo che cammina
Cammina. Senza sosta cammina. Va qui e poi là. Trascorre la propria vita su circa sessanta chilometri di lunghezza, trenta di larghezza. E cammina. Senza sosta. Si direbbe che il riposo gli è vietato.
Quello che si sa di lui lo si deve a un libro. Se avessimo un orecchio un po’ più fine, potremmo fare a meno di quel libro e ricevere notizie di lui ascoltando il canto dei granelli di sabbia, sollevati dai suoi piedi nudi. Nulla si riprende dal suo passaggio e il suo passaggio non conosce fine.
Sono dapprima in quattro a scrivere su di lui. Quando scrivono hanno sessant’anni di ritardo sull’evento del suo passaggio. Noi ne abbiamo molti di più: duemila. Tutto quanto può essere detto su quest’uomo è in ritardo rispetto a lui. Conserva una falcata di vantaggio e la sua parola è come lui, incessantemente in movimento, senza fine nel movimento di dare tutto di se stessa. Duemila anni dopo di lui è come sessanta. È appena passato e i giardini di Israele fremono ancora per il suo passaggio, come dopo una bomba, onde infuocate di un soffio.
Se ne va a capo scoperto. La morte, il vento, l’ingiuria: tutto riceve in faccia, senza mai rallentare il passo. Si direbbe che ciò che lo tormenta è nulla rispetto a ciò che egli spera. Che la morte nulla più di un vento di sabbia. Che vivere è come il suo cammino: senza fine.
Louise Amour
Mi sono innamorato di Louise Amour ancora prima di conoscerla: il suo nome, più abbagliante del chiarore lattiginoso delle alcee o della pellicola d’oro con cui i monaci ricoprivano il legno delle loro icone, era apparso accanto al mio nella rubrica Profumi su Rose di Francia, rivista confidenziale a cui mi aveva fatto abbonare la mia passione per quel fiore. I nostri nomi, separati da una semplice virgola, avanzavano verso il lettore come sposi sotto una volta di carta patinata.
Più viva che mai
L’evento della tua morte ha polverizzato tutto in me. Tutto eccetto il cuore. Il cuore che tu mi hai fatto e continui a farmi, a modellare con le tue mani di scomparsa, a placare con la tua voce di scomparsa, a illuminare con il tuo riso di scomparsa.
Ti amo: non so scrivere altro, non trovo che quest’unica frase da scrivere, sei tu che m’hai insegnato a scriverla, sei tu che m’hai insegnato a pronunciarla come si deve, con enorme lentezza, staccando ogni parola, con una lentezza di molti secoli, quella lentezza adorabile che ti era propria quando dovevi dedicarti a cose pratiche, fare una valigia, rassettare la casa, sei la donna più lente che io abbia mai conosciuto, la più lenta e la più veloce, quarantaquattro anni della tua vita sono passati come un baleno molto lento tutt’a un tratto inghiottito dal buio.
Se cercate qualche altra informazione su Christian Bobin la trovate
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