C’era una volta un gruppo di lettura che si riuniva ogni mese e in cui i resoconti venivano pubblicati entro un paio di giorni. O perlomeno, questo prima che venisse scelto un libro proposto da me…
Con un paio di settimane di ritardo, eccomi qui a scrivere il resoconto de “La spia che venne dal freddo”, del buon John Le Carré, un romanzo di spionaggio ambientato principalmente tra Berlino e Londra intorno a fine anni ‘50 e inizio anni ‘60. Cercherò di evitare spoiler, ma qualcosa necessariamente trapelerà.
Alla riunione eravamo presenti io, Claudia, Giorgia, Matteo, Vincenth, Noemi e la new entry Arianna.
In generale, il libro è piaciuto a tutti. Arianna era l’unica a non essersi appassionata, ma vabbè [shrug]. Da segnalare una sorprendente e insperata concordanza di pareri tra me e Claudia..!
Per quanto riguarda la lettura, ad alcuni la prima parte del libro è sembra un po’ lenta e confusionaria, perché comunque non si capisce bene cosa stia succedendo, cosa è reale e cosa è inscenato dai personaggi. Una volta chiarita un po’ la situazione, la seconda parte del libro mi sembra sia risultata più coinvolgente. Matteo diceva che ad un certo punto “aveva capito”, ma non ho capito bene cosa avesse capito

Io e gli altri siamo stati un po’ meno perspicaci e siamo rimasti piacevolmente sorpresi. (O forse solo io, e sto proiettando la mia impressione sui ricordi mancanti.)
L’aspetto etico dello spionaggio, per come raccontato da Le Carré, è stato oggetto di ampie discussioni (segue un misto tra una mia analisi e quello che mi ricordo che hanno detto gli altri). In particolare, per metterla nelle parole del protagonista, il fatto che lo spionaggio ha come unica regola quello di ottenere i risultati ci ha in un certo senso “turbati”. In questo modo, è possibile giustificare tutto in nome del fine: dalla manipolazione di innocenti, all’omicidio degli stessi, all’associazione con personaggi dalla dubbia morale. Tutto diventa lecito se permette di raggiungere lo scopo. Io ho trovato molto interessante come entrambe le parti in causa (inglesi e tedeschi dell’est) cerchino in qualche modo di giustificarsi: i comunisti vedono nel sacrificio del singolo il normale svolgimento di una Storia in cui non c’è spazio per l’individualismo; gli inglesi, per bocca del “capo” dei servizi segreti, si pongono di contro come difensivisti: se i nemici usano certi metodi, è necessario rispondere con gli stessi metodi, per quanto deplorevoli.
A proposito del suddetto “capo”, in inglese “Control” (da “operational control”, che sarebbe il suo ruolo), abbiamo scoperto che in italiano viene chiamato “Controllo” o “Super”, a seconda della traduzione. “Super” è terribile, secondo me.
Ci sarebbero altre cose su cui abbiamo discusso ma poi rivelo troppo. Fatevi un favore e leggete il libro
Il libro votato per il prossimo mese (cioè, tra un paio di settimane) è “Scrubland’s noir”, categoria giallo.