La prima cosa che mi preme sottolineare è che io non propongo soltanto libri strani. Ho proposto anche romanzi classici e quasi noiosi, in cui pochi personaggi fanno cose e trovano una risoluzione. E tuttavia, se
Liotrine e Liotrini votano soltanto le mie proposte più eccentriche, forse dovrei accettarlo e limitarmi a quelle.
Dunque, in un buio pomeriggio di dicembre, i membri della
Marcia degli Elefanti si riuniscono nella cantina di Piazza Scammacca, piacevolmente isolati dai rumori del locale e circondati da bottiglie di vino, così che non pochi considerano l’idea di darsi all’alcol: discutiamo
Le figlie di Saffo, “romanzo” d’esordio della scrittrice statunitense Selby Wynn Schwartz. Siamo in diciassette: in nove abbiamo letto il libro per intero, alcuni ne hanno letto solo metà, e Giorgia non ci ha neanche provato.
Le virgolette nella definizione del libro non sono casuali, perché uno dei primi punti su cui discutiamo è proprio la sua categorizzazione:
è o non è un romanzo? ci chiediamo. La scrittrice ha un dottorato in Letterature comparate e ha evidentemente svolto molte ricerche sulle artiste (scrittrici, poete, pittrici, attrici et cetera), attive perlopiù in Italia e in Francia tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, e che si sono ispirate a Saffo in un modo o nell’altro. Da Sibilla Aleramo e Lina Poletti fino a Vita Sackville-West e Virginia Woolf, passando per Natalie Barney ed Eleonora Duse, queste donne sono tutte oggetto e soggetto di indagine. E il libro riflette tutto ciò: organizzato in una serie di
vignette in cui queste protagoniste vanno e vengono, senza un chiaro filo narrativo e senza una vera unità di racconto. Per queste ragioni, a molt3 di noi, tra cui Nicoletta, è sembrato più un saggio poetico che un romanzo vero e proprio. Marco ribatte che il libro è comunque un romanzo, le cui protagoniste sono rappresentate dal
noi narrante delle
figlie di Saffo nel titolo, e l’arco narrativo è da riferirsi a tutte loro in quanto collettività, invece che alle singole artiste nominate. In questo senso, per quanto sperimentale e inusuale, questo potrebbe considerarsi un romanzo.
Un secondo quesito posto da Martina è il perché la struttura dell’opera sia così frammentata – le risposte che ci diamo sono molteplici: in primo luogo, essa riflette il modo in cui l’opera di Saffo ci è giunta (ed è giunta alle sue
figlie); in secondo luogo, come accennato in diverse citazioni, la vita qui si svolge tra le righe, così come faceva la vita delle donne, soprattutto se femministe e lesbiche, in un periodo in cui legalmente non esistevano e di loro non si parlava. Allo stesso modo, Marco nota che spesso ci sono scene ambientate sulle isole, che oltre a ricordare Lesbo, possono anch’esse essere lette come un’analogia del modo in cui in cui le protagoniste possono vivere ed esprimere se stesse, in giardini e salotti protetti ma isolati.
Ed è proprio questo che è stato apprezzato quasi da tutte, l’affresco del luogo e del periodo storico, che l’autrice dipinge mettendo insieme tutti i racconti, le biografie, le scene accennate, oltre allo stile ricercato e poetico. Il libro tiene a specificare l’importanza del raccontare le vite delle donne, e soprattutto del dare una voce a una categoria di persone che è stata spesso ai margini.
Saffo definisce, dunque, una forte componente identitaria: rappresenta l’essere lesbiche (o bisessuali), poete, e il voler cercare nella poesia e nella vita la bellezza e il godimento. Lesbo si contrappone a Cassandra, che rappresenta l’uccello del malaugurio della politica e degli uomini oppressori, spesso volutamente tagliati fuori da queste storie.
E allora perché, mi chiederete, se non avete letto il libro,
è stato tanto divisivo? Molt3 di noi l’hanno trovato eccessivamente dispersivo e un po’ noioso, e l’avrebbero apprezzato di più se si fosse concentrato su meno donne e avesse avuto un filo narrativo più chiaro, che ne avrebbe reso la lettura più scorrevole e meno ostica.
Perché sicuramente si tratta di una lettura densa e piuttosto complessa: per goderne a pieno si consiglia di cercare nomi, storie, quadri, fotografie a intervalli regolari. Forse è un libro da studiare, diciamo, oltre che (o più che) da leggere, ma è sicuramente un libro da godersi come ipertesto.In fin dei conti, al contrario del
noi narrante delle
Figlie di Saffo, non parlo per tutte e tutti, ma è un libro che può lasciare molte citazioni affascinanti, riflessioni, accenni a storie che non conoscevamo, e quel senso un po’ contraddittorio di speranza, per il percorso svolto collettivamente come donne e persone, pur accettando la piccolezza delle nostre vite rispetto ai sogni che avevamo già più di cento anni fa. E poi i dipinti di Romaine Brooks, le performance di Sarah Bernhardt, la casa di Eileen Gray, le lettere di Vita e Virginia, oltre a decine di poesie…
Durante il prossimo incontro discuteremo
La casa del sonno di Jonathan Coe, proposto da Giorgia.