Cosa spinge un gruppo di uomini e donne che non si conoscevano prima d'ora a ritrovarsi insieme, mese dopo mese, attorno ad un tavolo per parlare della loro comune passione che li tiene uniti? È il libro, è l'amore sconfinato per la lettura, è la voglia di discutere di ciò che si è appena letto insieme agli altri, condividendo così idee, pensieri, sensazioni. E questo accade mese dopo mese anche qui a Palermo con il nostro Gruppo di lettura.
Ci siamo rivisti mercoledì 16 ottobre dopo appena un mese, volato via velocemente, con i nostri nasi infilati nelle pagine odorose di carta e inchiostro da stampa, e nello stesso posto dell'incontro di settembre per commentare insieme
Storia di mia vita di Janek Gorczyca, il libro che abbiamo scelto di leggere questa volta. Siamo Peppe, Francesco, Luciano, Alberto (tornato dalla Svizzera nella sua Palermo per una breve vacanza), Lavinia ed io. Tutti abbiamo letto ovviamente il libro, anche se non a tutti è piaciuto. La particolarità del volume che ci colpisce è il linguaggio usato dall'autore per raccontarsi, una specie di
italia-vo, l'italiano degli slavi, l'italiano che tutti noi pensiamo parlino i cittadini dell'Est europeo quando si ritrovano qui da noi. Il libro racconta la vita dell'autore, un polacco arrivato per caso a Roma nel 1992 e non andato più via. Ma Janek non corrisponde affatto al prototipo degli slavi che ci siamo costruiti nella nostra mente. Ce li immaginiamo infatti con la canottiera, i grossi baffoni piegati all'ingiù e la bottiglia di birra perennemente tra le mani, se maschi, oppure procaci badanti e colf che si prendono cura dei nostri anziani e delle nostre case, se donne. Ma Janek, dicevamo, è diverso. È vero che non ha fissa dimora, dorme in strada, in edifici occupati o da amici (sì, anche italiani...), ma ha pure un lavoro, una compagna, un cane, intrattiene buoni rapporti con le forze dell'ordine e la comunità romana, parla diverse lingue, legge libri e tiene pure un diario, poi diventato il libro che abbiamo tra le mani. Leggendolo ci accorgiamo che egli è fondamentale un uomo buono, che riesce sempre a trovare i soldi per curare la compagna ammalata o aiutare un altro senza fissa dimora che non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena o trovare un posto decente per dormire; che appena esce dal carcere, dov'è finito a causa dell'alcol, pensa subito a comprare del pollo arrosto per il suo cane, perché "capisce che non è stato abbandonato". A lui succede di tutto, ma la colpa spesso è dell'alcol, della sua dipendenza da esso, da cui non riesce però a liberarsi e che porterà pure alla morte l'amata. Si tratta forse di un alibi psicologico, come suggerisce Lavinia, per scaricare altrove la responsabilità delle proprie azioni, ma è comunque una triste realtà.
La lingua usata da Janek nel libro per raccontare e raccontarsi non è piaciuta a tutti; qualcuno di noi la considera infatti difficile, faticosa, addirittura artefatta, eppure potrebbe rappresentare una
neo lingua, l'
italia-vo, il nuovo italiano imparato per strada. È una scrittura secca, quella di Janek, asciutta, stringata, che non prova neppure ad abbellire o infiocchettare i fatti per presentarceli più edulcorati. Quelli sono e quelli vengono raccontati, senza togliere o aggiungere nulla di più. Dal suo racconto Janek non esce perdente, affatto. Egli vive alla giornata e affronta i problemi man mano che sorgono, ma li guarda in faccia sfidandoli; egli non è neppure un emarginato, epperò vive sempre
border line; non è affatto un tenero, anzi si considera appartenente all'
élite dei senza fissa dimora, disprezzando gli altri che stanno peggio di lui. Ma ci mette sempre il cuore in quello che fa.
Consigliamo di leggere
Storia di mia vita? Alcuni di noi pensano di sì, altri no, ma leggerlo ci permetterà di aprire una finestra sul mondo di Janek e dei senza fissa dimora, su un'Italia diversa da come ce l'immaginiamo o la viviamo, con linguaggi nuovi e narrazioni altre. Si tratta di un romanzo? È letteratura? Chissà. Quello che è certo è che si tratta di storia di vita vissuta. E tanto basta.
E dopo tanto dibattere, Peppe, Francesco, Luciano, Alberto, Lavinia ed io abbiamo fatto onore ai piatti ordinati e soprattutto alle patatine fritte artigianalmente