Sabato 19 settembre il gruppo dei Letturati di Roma è tornato a riunirsi dopo la pausa estiva nuovamente nella cornice di Villa Borghese, e per la prima volta mi sono assunta il compito di riportare fedelmente le nostre impressioni (“È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo” cit…Ahahahahahhah).
Accerchiati da una manifestazione ippica, da famigliole con “deliziosi” pargoli urlanti, da
new entries e dalle immancabili lamentele di Alessandra (che pare consideri la quasi totalità del genere umano alla stregua di uno sciame di zanzare fastidiose

), abbiamo intrapreso una costruttiva discussione in merito ad uno dei libri più famosi del premio Nobel
Ernest Hemingway,
Addio alle armi (proposto da Gaspare).
Ricordiamo che settembre è tradizionalmente il “mese del mattone” per i Letturati, vale a dire che a luglio si propongono soltanto libri di autori ai quali è stato assegnato il premio Nobel e il prescelto tra questi viene letto e discusso dopo le vacanze estive.
La trama in breve: il protagonista del romanzo è il giovane Frédérick Henry (in esso si possono riconoscere innumerevoli affinità con l’autore), un soldato americano autista di ambulanze che partecipa alla Grande Guerra sul fronte italiano. Nel 1917 viene ferito ad una gamba e, ricoverato nell'Ospedale Maggiore di Milano, conosce e si innamora dell’infermiera britannica Catherine Barkley. Il resto lo lascio a coloro che vorranno intraprendere questa lettura e/o magari vedere uno dei film che ne sono stati tratti.
Scrivevo poco fa in merito al fatto che il protagonista della storia ha molto in comune col giovane Hemingway: anche quest’ultimo, infatti, partecipò da volontario alla prima guerra mondiale in qualità di autista di ambulanze, anche lui riportò delle ferite ed anche lui conobbe e visse una storia d’amore con un’infermiera. Per di più pure lui assistette come Frédérick alla disfatta di Caporetto e all'orrore della guerra.
Addio alle armi, testo nel quale emerge con chiarezza la rapidità e l’assenza di orpelli della scrittura dell’autore americano, è reputato ancora oggi un romanzo pacifista, uno dei primi testi cui è stato tributato il merito non solo di non aver idealizzato il conflitto mondiale, ma anche di aver permesso al lettore di immedesimarsi nel clima di sfiducia, degrado, violenza e orrore della guerra grazie ad un perfetto stile cronachistico.
Una delle scene più toccanti dell’intera vicenda, a parere di noi Letturati, è quella nella quale il giovane americano si trova ferito sulla barella nell'ambulanza e sopra di lui c’è un compagno che perde sangue. Quando Frédérick non sente più il sangue cadere intuisce che è morto.
Non servono tante spiegazioni né tante parole ad Hemingway per farci entrare in quel momento di reale dolore e angoscia, per consentici di immedesimarci nei panni di un giovane che continua a combattere insieme ai compagni spronato solo dall'alcool, ed arriva finalmente a comprendere come non ci sia nulla di eroico, di mitologico o di affascinante nella brutalità e nell'orrore della guerra.
La parte che è stata apprezzata di meno da noi Letturati è stata sicuramente quella dei dialoghi tra Frédérick e Catherine, ritenuti forse un filo troppo semplicistici e zuccherosi, e la rappresentazione di quest’ultima, una donna completamente sottomessa ed asservita all'uomo che ama, quasi priva di una personalità indipendente da quella del ragazzo (perché, è bene ricordarlo come abbiamo fatto nel corso dell’incontro, la Grande Guerra è stata soprattutto un conflitto nel quale dei ragazzini sono stati trattati alla stregua di carne da macello).
Il libro di Hemingway (che iniziò a scriverlo quando la moglie era incinta e stava per partorire, per poi rielaborarlo decine di volte ed infine pubblicarlo nel 1929) fu al centro di una severa censura in Italia durante gli anni del Fascismo, tanto che ne fu vietata la diffusione fino al 1945, poiché considerato lesivo dell’onore delle Forze Armate nella parte in cui veniva descritta la disfatta dell’esercito nostrano a Caporetto nel 1917 e la diserzione del protagonista.
Addirittura Fernanda Pivano (la quale rimarrà amica di Hemingway per tutta la sua vita e ne scriverà una biografia) venne arrestata a Torino nel 1943 da due ufficiali delle SS per aver tradotto clandestinamente l’opera.
Addio alle armi (che è denso di frasi bellissime, come quella che pronuncia il protagonista fuggendo dall'Italia, desideroso di “fare una pace separata”) ha diviso i Letturati, ma ci ha dato comunque modo di parlare e di approfondire argomenti come la sindrome da stress post-traumatico riportata da tanti reduci (ai quali forse Hemingway è stato tra i primi autore a dare voce sia in quest’opera che nel toccante Fiesta), il pacifismo e la condizione femminile all'epoca del Nobel americano.
Come al solito c’era il sottofondo spiacevole di lamenti e critiche espressi da Alessandra e Anna (era tutto un: “Ma quanto è insulsa Catherine?”, “Ma Catherine ha solo paura di ingrassare?”, “Ma Catherine non ha carattere”), ma per fortuna la natura che circondava i Letturati ha consentito di ridurre gli stessi ad un rumore insignificante

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Spero che questo mio primo resoconto sia di gradimento al popolo de Il club del Libro: in caso contrario prendetevela (ovviamente) con Alessandra, perché è stata lei ad affidarmi questo compito

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Il prossimo appuntamento con le avventure dei Letturati è fissato ad ottobre con
La campana di vetro di Silvia Plath: modererà per la prima volta Sergio, e nel frattempo vi auguro come sempre di fare delle buone letture, e perciò di leggere libri diametralmente opposti a quelli che piacciono alla cara Alessandra..Ahahahahahahah.
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Ero sempre imbarazzato alle parole «sacro», «glorioso» e «sacrificio» e dall'espressione «invano»… Alla fine soltanto i nomi dei luoghi avevano dignità…Parole astratte come «gloria», «onore», «coraggio» o «santo» erano oscene accanto ai nomi concreti dei villaggi”.
Addio alle armi-
Eernest Hemingway