La prima manche è giunta al termine, adesso votate chi vi ha rapito di più con le parole!!
1. Claudia
Allo zoo del club del libro
Nello zoo del Club del Libro c'è una grande confusione,
ogni tipo di animale ha la propria opinione,
per fortuna c'è chi un ordine può dare
è il custode Guido, solo lui li può placare.
Il custode, sorridendo, mi dice: benvenuta è te che attendo!
Suvvia non farmi più aspettare,
son tutti birbanti quelli con cui abbiamo a che fare!
Nel nostro giro ti illustrerò
animali rari che son qui da un po', questo posto sono io che l'ho fondato
E ad ogni animale ormai sono affezionato!
Ma il conoscerli bene non mi rende di parte
alcuni son fave e li avrei volentieri messi in disparte!
Iniziando il giro ti faccio una proposta, indovinali tutti e io tre crediti metto come posta!
Com'è che dici? Ganzo! mi metto di impegno
credo anche che mi servirà un bel po' di ingegno.
Iniziamo il giro che s'ha a ire,
mi viene subito da dire,
ma al chiaro di luna non posso non augurarti buona fortuna.
Devo dire che l'ingresso è già un po' strano
si sente subito un gran baccano.
Che baccano! Che clamore! è un animale che fa questo rumore?
Non del rumore ti dovrai preoccupare, ma della sua musica che a tutto lo zoo fa ascoltare!
Questo è uno scimpanzé vesuviano
e ormai da tempo non tiene un libro in mano...
lo riconosco lo stesso da come si gratta la nuca!
Non può essere altri che Mario Luca.
Bravissima, il primo lo hai già indovinato, proseguiamo il giro chi sarà il prossimo fortunato?
Alla prossima gabbia possiamo andare e qui un suggerimento ti voglio dare:
non sempre si capisce ciò che ella dice,
parla una lingua diversa la nostra fenice.
Che meraviglia una fenice, ma che sguardo serio da direttrice!
Non ho dubbi però sono certa, questa è Beatrice!
Perbacco hai indovinato! Sarà lo sguardo torvo ad averti consigliato? Ma guarda li accanto, vedi che bei pappagalletti?
Stan sempre insieme, son perfetti! Sembrano tanto innamorati e non mi inganni,
quelli sono Francis e Giovanni!
Omai sei pratica di qua,
ma vediamo se riconosci anche le novità!
In questa gabbia non far rumore,
è un vecchio gallo tutto furore!
Al passato è troppo legato
e senza un classico si sente spaesato.
Aspetta un po' non casco nel tuo tranello
è senza dubbio Lorenzo l'utente Novello.
Trarti in inganno è complicato
ma non mi arrendo, sono ostinato!
Guarda lì in alto che animale strano!
Ti fermo subito, quello è Emiliano.
Un po' strano certo può sembrare
ma solo perché il falco Lara tra suoi artigli tortuga fa volare.
Anche le vecchie glorie hai ricordato!
Comincio a pensare che con te son spacciato,
ma ho molte carte nelle mie mani, dimmi: cosa vedi tra i tulipani?
Vola felice in mezzo alla natura,
la rispetta e non ne ha paura.
Ci penso un po', non sono sicura. Comincio a temere la brutta figura...
Quest ansia mi rende un po' isterica!
Ci sono, quella farfalla è Erica.
Anche questa volta hai indovinato
ma il meglio per la fine ho conservato!
Nella gabbia che vedi, ci son tre animaletti
tre scimmie felici che saltan sopra i tetti.
Son tutte donne dai lineamenti perfetti,
quindi non posson esser altri che Stesy, Elle e Zia Betty!
Ormai più non me la prendo,
ho già capito che sto perdendo.
Il prossimo animale è un leprotto curioso, permaloso ma anche tanto generoso
e non posso rimproverarlo perché troppo focoso.
Ho capito di chi parli, è da un po' che di nascosto ci viene dietro
e dopo tutto quello che hai detto non può che esser Pietro!
Di animali ne abbiam già visti tanti
ma ne mancan due e son due elefanti.
Qui c'è poco da indovinare è il cuore che la risposta mi fa dare,
ma anche la mente che grazie al forum si è aperta,
quegli elefanti sono Katya e Roberta!
Ma questi animali sono tutti diversi,
come li tieni così uniti e non dispersi?
È facile chiedon solo versi!
Il loro interesse, lo condivido anch'io
ed è per questo che il forum è loro quanto mio!
Sono un po' triste, il mio viaggio è terminato!
Suvvia che sciocchezze, è appena iniziato!
Ricorda però lo zoo è anche itinerante
e presto a Catania conquisterà trionfante!
2. Lorenzo
C’era una volta - e forse ci sarà ancora - un mondo libero: libero nello Spazio, libero dal Tempo. Come i sogni, che non hanno confini. O come l’amore, che si crede eterno.
Ma chi sogna - o chi ama - libero non è, perché appartiene al mondo reale, ove tutto ha un inizio, e tutto ha una fine ...
La Bella Addormentata, tuttavia, confondendo i piani, s’era persuasa d’essere immortale. E lo stesso aveva fatto anche il Principe, che aspirava a condividerne la sorte.
Pertanto, anche nei momenti di veglia, entrambi si comportavano come se il tempo non esistesse: vivevano così, alla giornata, senza rimpianti per il passato e senza preoccupazioni riguardo al futuro, verso cui nutrivano solo rosee aspettative.
Un bel giorno, però - tanto inaspettatamente quanto inevitabilmente - il Fato si decise a bussare anche alla loro porta, a dimostrazione che avevano fatto male i conti.
Che fine poi abbiano fatto, non è lecito sapere: ognuno è appunto libero di trarre le conclusioni che più gli aggradano.
Coloro che hanno sempre i piedi ben piantati a terra, ovviamente, immagineranno quei due poveri illusi costretti alfine a rivedere le proprie convinzioni e a riconoscere il loro tragico errore.
Ma a noi, con la testa tra le nuvole, piace pensare diversamente. E che su una cosa, almeno, essi non si fossero del tutto sbagliati. E cioè che i sogni non muoiono mai.
Basta crederci …
KISS ME
- una favola dark -
I
Una sera di maggio, poco dopo il tramonto, Lorens ed Estella passeggiavano in giardino, in attesa di quei fuochi artificiali che avrebbero celebrato una delle loro tante ricorrenze.
Nonostante la primavera inoltrata, un vento gelido spirava da occidente, sibilando tra le fronde e sospingendo un cumulo di neri nuvoloni, che presto avrebbero offuscato il cielo sopra le loro teste.
Lontani bagliori lasciavano ormai presagire l’arrivo di un temporale.
A un tratto, un brivido percorse le loro schiene.
- Tutto bene? - , domandò lui.
- Oh sì … - rispose lei. – Sto bene: ho solo un po’ freddo … - .
Non vi fu tempo di scambiare altre parole: uno scoppio annunciò l’inizio dello spettacolo, e i due innamorati tacquero.
Ma pur restando in silenzio, più volte, nel corso della serata, tornarono a guardarsi: allora timidamente sorridevano, quasi a rassicurarsi.
Quei sorrisi celavano un sottile turbamento: nessuno osò però confessare all’altro ciò che realmente aveva provato, quando quel brivido lungo la schiena era passato …
II
Sul finir dell’estate, una ragazza camminava lungo le scogliere poste ai margini del mondo, sola con i suoi pensieri.
Clima e paesaggio s’intonavano perfettamente al suo animo inquieto.
Sopra di lei il cielo, grigio, era rigato da un’insistente pioggerellina, che sembrava volesse penetrarle nelle ossa. Sotto di lei il mare, in burrasca, urlava e biancheggiava, come in una famosa poesia.
- Ehilà! - chiamò una voce.
Laggiù, quasi sul bordo del precipizio, la fanciulla non scorse nessuno; eppure qualcuno continuò a parlarle. Così ella ascoltò, quasi si trattasse della propria coscienza.
- Mia cara Estella: il Tempo passa per tutti … - si sentì dire - e nessuno può sfuggire al proprio Destino. E anche tu dovrai rassegnarti. A meno che … - .
Ed ecco che qualcosa luccicò in mezzo alle rocce. Chinatasi per raccogliere, la ragazza si ritrovò tra le mani una piccola fiala, contenente un liquido trasparente. Sembrava fosse acqua.
- E’ un elisir - spiegò quindi la voce. - Chi lo beve, vivrà per sempre! - .
A quelle parole, Estella ritrovò di colpo l’allegria. Rideva ed esultava, saltellando qua e là.
- Che bello, che bello! Grazie, grazie mille … - gridava. - Ora mi sento nuovamente felice! E … ce n’è dell’altro? Ma cosa dico: non importa! Lo dividerò con … - .
- No, attenta: non lo fare! – fu l’ammonimento. - Non esistono altre fiale: solo questa, e basterebbe appena per uno soltanto. Cerca dunque di farne buon uso … - .
Il soffio del vento, che s’alzò minaccioso, pose quindi fine al dialogo, portandosi via uno dei due interlocutori e costringendo l’altro - col cuore gonfio e sotto una pioggia battente - a volgere mestamente i passi verso casa.
III
A casa, Estella trovò Lorens in preda ad una strana agitazione.
- Ero in ansia per te - disse lui, con voce tremante. - Dove sei stata? Temevo d’averti perduta … - .
La fanciulla non rispose, ma da quelle parole intuì come l’animo dell’innamorato fosse angustiato dalle sue stesse, indicibili, paure.
Desiderò allora consolarlo. E proteggerlo. Perciò, abbracciandolo forte, disse: - calmati: ora sono qui. E non tormentarti: andrà tutto bene … - .
Sentì allora di aver maturato un’improvvisa decisione.
Con la scusa di doversi cambiare gli abiti bagnati, salì in camera, recuperò una penna e scrisse velocemente poche righe su un bigliettino, che poi nascose - insieme alla boccetta che aveva ancora stretta in pugno - nello scrigno dei gioielli, che per antica abitudine teneva chiuso a chiave.
Quindi, con ritrovata serenità, si preparò per la cena, indossando per l’occasione uno dei suoi migliori sorrisi. L’immagine riflessa nello specchio confermò: era bellissima …
A tavola, gli innamorati riuscirono finalmente a mettere da parte tristi presagi e cattivi pensieri, dedicandosi unicamente a loro stessi. Trascorsero una serata incantevole, come da tempo non succedeva.
E quando in casa si spense l’ultima candela, s’accesero le stelle, a illuminare la nottata.
Erano così vicine, che sembrava si potessero toccare con un dito …
IV
Certe giornate d’autunno regalano, talvolta, cieli striati d’azzurro ed insperati sprazzi di sole.
Quella sembrava proprio una di quelle giornate, che invogliano a passeggiare tra i boschi.
I due fidanzati, quasi dimentichi delle recenti malinconie, camminavano allegramente tenendosi per mano, inspirando aria pura nei polmoni ed ammirando tutt’intorno le varie sfumature di colori che il paesaggio offriva.
D’un tratto la ragazza ebbe un’idea: - giochiamo a nascondino? -. Il ragazzo l’assecondò volentieri.
Così, voltandosi, cominciò a contare: - 1 … 2 … 3 … - , mentre Estella, velocemente, correva a nascondersi tra gli alberi.
Giunto a 100, Lorens cominciò le ricerche: i dolci richiami di lei, le sue risate cristalline, il crepitio delle foglie secche sotto la suola delle scarpe, servivano da orientamento.
Ma non appena gli sembrava di averla finalmente scovata, eccola dileguarsi nuovamente, zigzagando tra gli alti tronchi di quella fitta selva.
La inseguì a lungo, finché – già cominciava ad imbrunire – la stanchezza prevalse. Decise allora di por fine al gioco, dichiarandosi vinto. Ma della fanciulla, ormai, s’erano perse le tracce: scomparsa, svanita, perduta!
- Estella, Estella! - Nella profondità della foresta riecheggiava ora un disperato appello, cui però nessuno rispose.
Poi l’oscurità avvolse tutto, e fu solo silenzio.
V
Procedendo a tentoni, Lorens riuscì finalmente ad imboccare il sentiero che conduceva fuori da quell’intricato groviglio di rami e di foglie e che s’inerpicava su, per una collina.
In cima sbucò in una piccola radura, cinta da alti cipressi e da un muro in mattoni, interrotto da un cancello in ferro battuto.
Appoggiando una mano, il giovane spinse lievemente l’inferriata, che cigolando s’aprì.
Sotto la fioca luce lunare, inizialmente, non riuscì a distinguere altro che l’ombra delle croci piantate a terra. Ma poi, ritta e immobile di fronte ad una lapide, gli parve di scorgere anche un’altra figura. Fece un passo avanti, poi chiamò: - Estella! - . Ma non ebbe risposta.
Col cuore in gola avanzò allora ancora un altro poco, riducendo progressivamente le distanze, finché non si trovò giusto alle sue spalle. - Estella … - sussurrò appena.
Solo allora la figura si voltò, mostrando il suo viso.
Sì, non s’era sbagliato: era proprio lei! Bianca come un fantasma, le labbra atteggiate a mesto sorriso e gli occhi velati di lacrime: ma si trattava pur sempre d’Estella!
- Cosa fai qui sola? - chiese lui, in tono supplichevole. – Su, andiamo: vieni via! E’ tardi: dobbiamo tornare a casa … - . Ma ella, senza parlare, scuoteva la testa, in segno di diniego.
Egli tentò perciò di prenderla per mano, ma questa – improvvisamente - svanì al suo tocco. Poi, lentamente, svanì anche tutto il resto.
Fu in quell’istante che Lorens lesse il nome della fanciulla inciso sulla lapide. Non aveva avuto nemmeno il tempo di dirle addio ...
VI
Non rassegnandosi alla scomparsa dell’amata, Lorens continuò ad inseguirne il fantasma per ore, perlustrando ogni angolo del cimitero, invocando ripetutamente il suo nome.
Poi la pallida luna, nel cielo, venne celata da una nube di passaggio.
Allora, nell’oscurità della notte, il ragazzo si sedette presso la tomba dell’innamorata, vagheggiando un impossibile ritorno.
Infine – deluso e stremato – abbracciò la fredda pietra, chiuse gli occhi e s’addormentò, precipitando nel mondo dei sogni …
VII
Alle prime luci dell’alba accadde nuovamente qualcosa di strano.
Lorens era ancora sdraiato nei pressi di quella tomba su cui tante lacrime aveva versato, da inumidire la terra. Lì, durante la notte, erano spuntati alcuni fiori, dai tenui colori e dal dolce profumo, che avevano finito con l’intrecciare i loro steli fino a comporre una ghirlanda.
E proprio su quella ghirlanda, riaprendo lentamente gli occhi, l’innamorato rivide … Estella!
Se ne stava adagiata, lunga e distesa, cerea in volto, gli occhi chiusi e le labbra serrate. Pareva stesse dormendo ...
- Svegliati amore, svegliati … ti prego! – gridò Lorens, balzando su immediatamente e scuotendole il braccio. Ma ella non si mosse, non si volse e non rispose: una statua di marmo.
Il giovane volle ancora una volta illudersi, immaginando che bastasse un po’ di calore, per rianimarla. Si chinò quindi a baciare la fronte dell’amata, prendendole al contempo una mano, per riscaldarla tra le sue.
Solo in quel momento s’accorse ch’ella teneva le dita serrate in un pugno. Le allargò allora delicatamente, ad una ad una, finché qualcosa, tintinnando, cadde al suolo: una piccola chiave ... Ma non fece in tempo a raccoglierla, che il corpo della fanciulla si dissolse un’altra volta, come un sogno nell’aria del mattino.
Altro non rimase che quella piccola chiave.
Osservandola, stranito, Lorens si ritrovò a congetturare le ipotesi più disparate, arrivando anche ad immaginare che potesse aprire uno scrigno colmo di ricchezze.
Sorrise allora amaramente: quale tesoro l’avrebbe mai ricompensato per la perdita del suo amore?
VIII
Sarebbe difficile spiegare come Lorens fece a ritrovare la strada di casa: fatto sta che rincasò.
Chiusa la porta alle spalle, non mangiò nulla ma si buttò sul letto: avrebbe voluto dormire per sempre. Ma non riuscì a prender sonno.
Continuava a ripensare a quel ch’era successo, accusando se stesso per essersi prestato a quel gioco infantile ch’era stato preludio alla scomparsa della ragazza.
E intanto rigirava tra le dita quella stupida chiave, che sembrava non avesse alcuna utilità.
Ma ad un tratto, ecco che l’occhio cadde sullo scrigno degli ori, posto lì, in bella vista, accanto alla specchiera.
Si tirò su di scatto, s’avvicinò al portagioie ed infilò la chiave nella serratura: clic, e il coperchio s’aprì.
Rovistando, tirò fuori anellini, collanine, braccialetti ed orecchini in quantità, fin quando - sul fondo - ritrovò prima la boccettina, che pose momentaneamente da parte, poi il bigliettino, che cominciò invece avidamente a scorrere con gli occhi.
C’era scritto così: “Amore, un Destino terribile incombe su di noi ... Ma non temere: tu lo vincerai! Ecco il mio regalo per te, purtroppo l’ultimo ... E’ un elisir. Bevilo: vivrai per sempre! - .
Il resto lo lesse tra le lacrime, che cadendo bagnavano il foglio …
IX
Trascorsero alcune settimane, arrivò l’inverno. Dietro ai vetri appannati di una finestra, nel silenzio della casa, Lorens osservava tristemente i resti di un mondo in decomposizione, che aveva vissuto tempi migliori.
Oh quant’era diverso, ora! Cieli plumbei, rami rinsecchiti, gelide brinate, fiori appassiti …
Il quadro era poi incorniciato da una spettrale foschia, che avanzando inesorabilmente inghiottiva ogni cosa, facendola sparire per sempre in un eterno, squallido grigiore.
Unica nota di colore, le foglie rosse cadute dagli alberi, che trasportate dal vento insanguinavano qua e là la campagna: tutto stava morendo, nulla sarebbe sopravvissuto.
Solo un uomo, in mezzo a tanto sfacelo, poteva ancora sperare di salvarsi, grazie al miracoloso elisir, che l’avrebbe reso immortale …
Eppure, nonostante sentisse già la fine vicina, ancora indugiava, mentre si sforzava di stimare quanto potesse valere una vita priva di sogni …
X
Infine, sospinta dalla tramontana, arrivò anche la neve.
Ma non quella soffice, bianca e leggera; bensì una di diversa natura, ghiacciata, sporca e appuntita, che batteva rumorosamente sui vetri e avrebbe graffiato il viso.
Fu allora che Lorens fece la sua scelta. Si coprì ben bene, prese con sé l’elisir e uscì di casa. Con l’intenzione di non farvi mai più ritorno …
Ripercorse la via che conduceva da Estella, in collina, per abbracciarla un’ultima volta. Ma scopertosi invecchiato, non riuscì a compiere l’intero tragitto.
La sua corsa terminò così - ironia della sorte - nel bosco ove s’era smarrita la fanciulla.
Lì, ai piedi dell’albero della conta, Lorens si sedette, prese in mano la fiala, l’agitò ben bene, ne spezzò il collo allungato e … riversò a terra il contenuto, irrimediabilmente.
Quindi chiuse gli occhi, attese la notte e s’addormentò, sotto una coltre di neve. E quel che successe poi, si può solo immaginare …
XI
In un nuovo giorno di primavera, sul far dell’imbrunire, un ragazzo dormiva sdraiato alle radici di un albero.
Non l’avevano svegliato, durante le ore diurne, né la brezza mattutina, né il canto degli uccelli, né i raggi del sole morente, che andava tramontando all’orizzonte.
A un tratto, però, dal folto della foresta si levò l’eco di una voce familiare, che scandiva alcuni numeri: - 1 … 2 … 3 … - .
Di questa sequenza, l’orecchio del giovane captò inizialmente solo alcuni frammenti sconnessi: - … 25 … 49 … 67 … - .
Pian piano, però, la mente si concentrò su quel suono, che l’aveva distolta da un lungo letargo.
- … 88 … 89 … 90 … - . I numeri continuavano a susseguirsi in rapida successione.
- … 97 … 98 … 99 … - , e al 100, finalmente, Lorens si destò: il conteggio era terminato.
Non fece però nemmeno in tempo a rendersi conto della situazione, che la risata di una fanciulla e un fruscio di foglie calpestate attirarono la sua attenzione.
Gli occhi caddero allora casualmente su un cuore inciso in un tronco, e improvvisamente egli ricordò tutto: chi fosse, dove fosse e cosa avesse perduto …
Ma per uno strano scherzo del destino, quel che credeva d’aver smarrito per sempre pareva adesso nuovamente a portata di mano.
Quel luogo, un tempo spettrale ed ora rigoglioso, pareva in effetti intimamente pervaso dallo spirito di Estella,che aleggiava nell’aria, brillava con le stelle e si rifletteva nella luna.
Seguendone le tracce attraverso sentieri già noti, Lorens si ritrovò così ben presto fuori dal bosco, ai piedi di quella leggera salita, che conduceva in collina.
La ragazza, però, era già in cima, e senza voltarsi ai suoi richiami, scomparve alla vista, avvolta in una romantica penombra.
XII
Col cuore che batteva forte in petto, Lorens corse su per la collina, raggiungendone rapidamente la cima contornata dai cipressi.
Si ripresentò così al cancello del cimitero, che aprì senza esitazione, spingendo con forza l’inferriata.
Conosceva ormai il luogo ed aveva già vissuto quel momento: nulla avrebbe più potuto spaventarlo,
se non il timore di perdere l’amata una seconda volta …
Sotto la bianca luce lunare si diresse subito là, ove ricordava d’aver veduto il fantasma della fanciulla e proprio lì, ai piedi della lapide, ritrovò Estella, distesa su una ghirlanda di fiori.
Le palpebre abbassate, il colorito roseo, i lineamenti rilassati, e le labbra socchiuse, pronte per essere baciate …
Lorens si chinò su di lei, appoggiò le sue labbra su quelle di lei, e mescolò il suo sapore a quello di lei, dal gusto dolcissimo …
Pian piano la bella addormentata si risvegliò: - Lorens … - , disse lei, - Estella … - disse lui.
Al ragazzo, che quasi ancora non credeva ai suoi occhi, la ragazza cercò subito di raccontare lo strano sogno - o forse l’incubo - che aveva fatto, ma la memoria - inaspettatamente - fece cilecca:
quel sogno era svanito per sempre. Ma ormai non aveva più importanza.
Mentre però s’apprestavano a far ritorno casa, Estella ebbe improvvisamente un’illuminazione.
- Ehi, - esclamò allegramente: - ma allora ho vinto io, il gioco? - .
- No, - ribatté Lorens, sorridendo: - ho vinto io, perché alla fine ti ho trovata … - .
E mentre così diceva, si voltò per dare un ultimo sguardo alla lapide, ma non vi lesse niente …
XIII
Una sera di maggio, al volgere di un ennesimo anniversario, Lorens ed Estella passeggiavano in giardino, in attesa dei fuochi artificiali che avrebbero celebrato quel giorno di festa.
Nel dolce tepore primaverile, un leggero venticello spirava da oriente, sussurrando tra le fronde e sospingendo qualche bianca nuvoletta, che innocua attraversava il cielo, passando sopra le loro teste.
Orizzonti sereni lasciavano presagire che la bella stagione non si sarebbe guastata.
A un tratto, un brivido percorse le loro schiene.
- Tutto bene? - , domandò lui. - Oh sì … - rispose lei. - Ho solo espresso un desiderio … - .
- Quale ? - , egli chiese.
- Che questo istante non finisca mai - , ella disse. - Non sarebbe bello, se potessimo vivere per sempre? - .
Egli non rispose, ma abbracciandola teneramente le tenne a lungo il viso sul suo petto, nascondendole la visuale.
Ella non poté così vedere uno spettacolo di una bellezza struggente: la luminosa scia di una stella cadente, che venne a squarciare il buio della notte imminente. Durò solo un istante: poi tutto si spense.
FINE
3. Bruny
Lei sapeva perfettamente che stava sfidando la sorte rimanendo in quella casa di campagna isolata dal resto del mondo. Un tempo le aveva regalato momenti di pace, di tranquillità e di gioia. Ormai da sei anni non era più così, le trasmetteva solo paura! Quando la mattina usciva per andare al lavoro era come un uccellino che cinguettava allegramente, ma la sera era come un coniglio in gabbia. Perché non fuggiva con tutte le sue cose?
Lei era testarda, orgogliosa e sapeva che scappare non risolveva il problema. Era estremamente buona, non voleva far del male, preferiva riceverlo piuttosto che scatenare l'ira! Però una notte, solamente una, le cambiò il modo di vedere le cose.
Si quella bruttissima notte comprese che non poteva continuare così, che non sarebbe cambiato il suo carnefice.
Lei si svegliò con un dolore forte al collo, senza respirare; in un istante elaborò cosa stava succedendo. Prese la lampada sul comodino e ....boom....una volta ...e poi boom.... e Lui cadde in terra. Lei riprese fiato e si sentì libera, si alzò. Sapeva che l'avrebbe ammazzata. Lui si alzò.
L'ha prese per i capelli e la scaraventò a terra..e in quel momento Lei lo guardò e vide la pazzia nei suoi occhi, l'ira. Sembrava il Diavolo! Mentre Lui la stava colpendo di nuovo si sentì un Urlo acuto, forte! Allora lui si bloccò, rimase in mobile; la voce continuava a gridare e piangere, Lui scappò. Aveva fatto un'altra vittima, aveva terrorizzato un piccolo cucciolo che chiedeva aiuto. Lucifero si rese conto che aveva un testimone.
Lei era scampata alla morte, e finalmente aveva capito tante cose, per Lei e per il piccolo che aveva messo al mondo. Ora doveva chiedere aiuto, perché nessuno cambia....
Si era diventata più forte...era rinata..... Così....
4. Pierbusa
A Stephen King che mi ha aiutato ad affrontare i miei demoni.
All’amicizia.
A mio fratello Manilo e a Leo.
PRIMA PARTE
Maggio, giornata calda di una primavera precocemente estiva, una leggera brezza viene dal mare e porta l’odore denso delle alghe sbattute sulla battigia. Fuori dalla finestra dell’aula si percepisce il ribollire delle onde che si infrangono sulla spiaggia sabbiosa. Tutto quello che le divide dalla scuola è qualche metro di sabbia, un parapetto in mattoni cementati, una strada e un marciapiede. Poi l’edificio scolastico.
Giornata di interrogazioni, Stefano era pronto ad andare di sua volontà e per questo motivo si era preparato con molta cura, ci teneva a fare bella figura e se possibile avere anche un bel voto, un bel regalo di compleanno per sua madre che proprio quel giorno compiva gli anni.
«Qualcuno che si offra volontario oggi?» il maestro Giorgio Amore guarda con un ghigno appena celato dietro i folti baffi verso la classe.
Tutti a guardarsi le scarpe, i bottoncini del grembiule, la punta della penna.
Poi, una mano si leva dalla seconda fila. Un ragazzetto occhialuto, magro, capelli corvini quasi slogandosi una spalla sembra indicare il cielo.
«Stefano!» il maestro si ripulisce sotto la cattedra il dito indice appena tolto dalla narice sinistra. «Stefano, non è che tu ne abbia proprio bisogno, vorresti avere otto in pagella anziché sette?»
«S-ssss-se f-fosse p-p-possibile, s-s-sì!» il voltò gli si imporporò sia per lo sforzo sia per il timore, quasi terrore che gli incuteva il maestro Amore. Anzi il “professore Amore”. Anche se insegnava in una terza, quarta e quinta elementare lui voleva essere chiamato “professore” e non “maestro”.
Il professore, ci adeguiamo in questa breve storia all’appellativo da lui richiesto, non aveva proprio voglia di interrogare Stefano quel giorno, sapeva al cento per cento che era preparato e sapeva che sarebbe stata una fatica immane ascoltarlo per via di quel dannatissimo tartagliamento che lo caratterizzava. E, inoltre, non aveva proprio voglia di dargli un otto visto che quel voto l’aveva promesso a Claudia Scurdati la cui madre era stata così carina a portargli per tutto l’anno ortaggi e frutta. Tanto è vero che un po’ di roba l’aveva dovuta regalare anche a sua sorella che peraltro l’aveva molto gradita. Certo non poteva far torto alla signora Scurdati di due otto in geografia nella stessa classe. In effetti, ripensandoci, la madre di Stefano Palmeri non gli aveva regalato un bel niente con la scusa che suo figlio andava benino pur avendogli chiesto se per caso il marito che navigava all’estero non avesse per caso trovato un bell’accendino a Singapore. Certo Stefano studiava, si impegnava e non era il peggiore della classe, ma vogliamo mettere tutta la fatica che gli costava ogni sua interrogazione?
«Palmeri vieni qua vicino alla cattedra.»
Stefano si alzò, allontanò pian pianino la seggiola per non far tropo rumore, si distese in due rapidi movimenti il grembiule e rischio di cadere a faccia in giù inciampando in una delle stringhe della sua cartella che nel frattempo Lorenzo Cannata aveva spostato. Risate generali.
«Basta adesso! Il primo che ride ancora gli metto due in condotta!» urlò il professor Amore, lui per primo era riuscito a stento a reprimere una risata.
Stefano nel frattempo aveva guadagnato la posizione a sinistra del maestro, di fronte a lui l’ampia finestra col panorama marino.
«Dimmi i capoluoghi regionale siciliano e i capoluoghi di provincia.» estrasse un fazzoletto vi soffio potentemente, guardò compiaciuto la materia risultante da quell’operazione e se lo rimise in tasca.
«Dunque il ca-ca-ca…» risatine di sottofondo.
«Capoluogo, su avanti Stefano!» il professore Amore era paziente come un affamato davanti a una tavola imbandita.
«Si pro-pro-fe-s-s-ore, il ca-ca-poluogho re-gi-gi-onale si-si-si-ciliano è Pa-pa-pa-p…» risate a stento trattenute con le mani davanti alla bocca dai suoi compagni.
«Pa-pa-lermo!»
«Bravo! Giusto. E i capoluoghi provinciali? Partendo dalla nostra provincia?»
«L-la-la-la…»
«Si trullallero trullalà» fece eco Lorenzo Cannata ridendo fragorosamente e mostrando una bocca con qualche dente storto.
«LORENZOOOO!!!» il nostro professore se c’era una cosa che sopportava meno del tartagliamento di Stefano erano le battute di Lorenzo Cannata ragazzo tanto spiritoso quanto poco incline ad impegnarsi in qualcosa di diverso dal raccontare barzellette sconce. Quel ragazzo stava ai libri come i cavoli a merenda. Dovette sforzarsi proprio per non ridere appresso a lui!
«Scusi professore!» fece lui sbiancando in volto dopo l’urlo del maestro con fare fintamente imbarazzato.
«Dunque Stefano, dicevi?» ritirò fuori il fazzoletto di prima asciugandosi la fronte.
Stefano a quel punto sapeva che doveva ricorrere ai suoi soliti trucchi per cercare di dire qualcosa di intellegibile e in tempi che il suo professore Amore poteva ritenere accettabili. Doveva prima di tutto evitare come la peste che all’inizio della frase da pronunciare vi fossero certe sillabe come “La” o “Ca” o “Pa”.
«Ragu-s-s-a è il nostro ca-ca-po-po-poluogo.»
«Bravo, adesso dimmi tutti gli altri nell’ordine che vuoi tu”.
Stefano, attese, cerco di concentrare le sue forze e soprattutto guardò negli occhi Caterina Laguardia che lo stava guardando tremante e ansiosa dal folto dei suoi nerissimi riccioli. Sapeva che gliela poteva fare se si estraniava da quell’aula se solo non pensava al professore Amore a quello stronzo di Lorenzo e si concentrata solo su Caterina sui suoi begli occhi neri, i suoi capelli ricci, il suo sorriso e alla passeggiata lungo la spiaggia che facevano quasi ogni giorno ritornando a casa da scuola.
«Stefano, non le sai?»
«S-s-si pro-pro-fes-s-sore l-le s-so»
«E allora concentrati e dimmele!»
«Ragusa, Siracusa, Catania, Messina, Enna, Agrigento, Trapani, Palermo»
Nell’aula vi fu un attimo di incredulo silenzio, il professore Amore lo guardava a bocca spalancata, prima che Caterina vincendo la sua grande timidezza applaudisse: «Bravo Stefano, bravissimo!!!», pochi istanti e a quell’applauso si unirono tutti gli altri compagni di classe eccetto Lorenzo che faceva finta di scarabocchiare sul quaderno. Stefano dal canto suo era orgoglioso e felice dell’approvazione di Caterina.
«Ragazzi basta!!! Non siamo allo stadio, è così strano che Stefano conosca i capoluoghi di provincia siciliani?»
Caterina alzò la mano.
«Cosa c’è adesso?»
«Vo-volevo dire che ho…abbiamo, applaudito perché Stefano ha detto tutti quei nomi senza balbettare per niente, a parte che li sapeva tutti.»
«Ohhhh ha parlato miss amorino-cuoricino-smack.smack!» bisbigliò Lorenzo provocando un mormorio ridanciano che rimbombò nella grande aula. Il professor Amore preferì sorvolare sulle solite scemenze di Lorenzo anche se le aveva sentite benissimo e già stanco di quell’interrogazione, del tartagliamento e di quello spiritosone, non rispose nemmeno a Caterina e mandò a posto un raggiante Stefano. Certo non gli avrebbe messo otto. La signora Scurdati poteva stare tranquilla e magari portargli un po’ di zucchine palermitane con cui sua moglie Andreina, sposata in seconde nozze, era tanto brava a fargli la pasta.
Stefano sedendosi in seconda fila al suo posto accanto a Caterina, ancora congestionato in volto e con le ascelle infracidate le fece un sorriso. «Gr-grazie Ca-ca-terina».
A Caterina a cui veniva la pelle d’oca quando Stefano tartagliava sul suo nome, sempre poi sulla prima sillaba, come al solito non disse nulla, aggrottò solo un po’ fronte e spalancò gli occhi. «Ma sei stato veramente bravo!»
«S-s-solo pe-pe-perché pe-per una v-v-olta non ho ta-ta-tartagliato?» disse lui ravviandosi un ciuffo inesistente.
Caterina ci pensò un momento.
«No, anche, soprattutto, perché hai saputo dire tutti quei nomi in fila, io non li avrei saputi dire così bene e veloce come te!»
Era una palese bugia, ma a Stefano non interessava. Caterina avrebbe potuto anche insultarlo e prenderlo in giro o schiaffeggiarlo a lui importava solo dei suoi riccioli neri e del suo sorriso.
FINE PRIMA PARTE DI TRE
(La seconda parte - forse - il prossimo mese)
5. Bibi
A SUD-EST CI SARA' DI CERTO IL MARE
Doveva scrivere una storia per un gioco da fare insieme ad alcuni suoi amici. Non aveva nessuna idea. Decise di mettersi in gioco ugualmente.
Aprì il quaderno dalla copertina tempestata di fiori, sembravano lillà e non ti scordar di me. A lei però piacevano i papaveri, perché crescevano ovunque ed erano rossi, come la stragrande maggioranza delle cose che nel mondo ci fanno bene e male allo stesso tempo. Prendi l’amore, che non sia per forza quello degli innamorati, no,l’amore in generale: è mai esistito un amore che non ha mai sanguinato? No, di certo.
Decise di mettersi in gioco, aprì il quaderno fiorato e guardò i quadretti.
La penna non la prese, non era ancora il suo momento. Sapeva che l'avrebbe fatta aspettare. Quello era il momento dei quadretti: fissarli, studiarli, cercarci dentro una storia. Li scrutava silenziosa allo stesso modo in cui i gatti studiano il nulla, perché sanno che è proprio lì che andrà a cascare la preda. Gli occhi fissi, acquosi, attenti.
«Niente» sussurrò a se stessa.
Si rese presto conto che erano quadretti ostili, egoisti.
Erano muti, attenti a stare ben in ordine, schierati uno accanto all'altro. Immobili.
Lei però, di ostilità, egoismo, silenzi, ne aveva la testa piena, tanto che pensava che ormai la sua mente si fosse trasformata in una nuvola.
C’erano stati giorni in cui ogni movimento percettibile intorno alla sua persona diventava protagonista indiscusso di un foglio bianco. Adesso no. Lei, era circondata dai fogli bianchi. Tutto era bianco.
Anche la sua mente era bianca.
Una nuvola; la stessa consistenza, la stessa forma, la stessa andatura.
Tutto era bianco e sterile.
Si alzò, chiuse con forza il quaderno, s'immagino i quadretti strillare per lo spavento, lo chiuse bene nell'ultimo cassetto, ci mise sopra altre riviste, cartacce, pagine vecchie piene di parole che, lettera dopo lettere, come una dolce catenella avevano formato mille storie.
Fece sparire il quaderno, il più lontano possibile dagli occhi e guardò la penna, voleva prenderla, provare a fissare anche lei, provare ad ascoltarla. Non lo fece. La lascio lì; chiusa, col tappo a puntare il sud-est, come l'ago di una bussola che lei di certo non avrebbe saputo utilizzare.
Decise che non avrebbe scritto nessuna storia se prima non ne avrebbe vissuto una vera.
«Sud-est» continuava a ripetere a se stessa. «A sud-est ci sarà di certo il mare». Lei non ne aveva la certezza assoluta, ma decise che quel giorno a sud-est ci sarebbe stato il mare. Decise, in tutta fretta, che la sua storia l’avrebbe trovata lì.
Acqua, panino. Basta. No aspetta, prendo anche questo e prendo anche il quaderno. Parlava alla sua mente con la voce sottilissima del pensiero. Infilò tutto velocemente nel suo zaino blu e parti in direzione sud-est in sella alla sua bicicletta.
Non aveva pensato alla distanza, se ne preoccupò quando già pedalava da un pezzo. Non sapeva con esattezza quanti chilometri separavano la sua abitazione dal mare. Si ricordava solo che era facile raggiungerlo e che la strada non era troppa.
Era l'inizio dell'autunno, la giornata era tiepida e soffiava un venticello che a tratti pungeva la pelle. A lei piaceva l'autunno. I suoi colori, la metamorfosi lenta della natura. Pensava che quella giornata era perfetta per andare a caccia della sua storia.
La corsa in bicicletta fu bellissima, le piaceva l’adrenalina che le aveva procurato, pedalava e sorrideva, sorrideva e pedalava e nel frattempo si sentiva un po’ matta.
Vedere il mare la fece urlare di gioia, era eccitatissima, non per il mare, quello lo vedeva spesso, ma per quello che aveva fatto. Aveva preso quattro cose ed era patita così, senza progetti.
Mentre prendeva fiato, col naso puntato verso l’azzurro infinito, la debole voce del suo pensiero cominciò a farsi un discorso tutto da sola.
Mi fanno paura le persone che si prendono troppo sul serio. Diceva.
Si precludono l’occasione di sbagliare per poi imparare, o si prendono la briga di credere davvero che così
facendo riusciranno nella loro mitica impresa.
Stesso discorso per i programmatori di avventure.
Aboliscono le cause dei capitomboli all’anima: la sorpresa, l’ignoto, l’incerto, lo stupore.
La follia di un imprevisto.
Se l’hanno chiamata vita e non programmazione, un motivo ci sarà.
E sono certa sia qualcosa da non sottovalutare. Diceva.
E adesso? A sud-est c’era andata, il mare l’aveva trovato. E la sua storia?
Prese il quaderno che aveva portato con lei, si mise ad osservare le onde che, leggere, generavano una schiuma bianchissima. Decise che non c’era fretta, che poteva prendersi tutto il tempo di cui aveva bisogno.
Restò immobile finché le giunture delle gambe glielo permisero.
«Niente» si disse ancora una volta.
La storia che cercava non era nelle onde del mare, né nell’orizzonte e nemmeno nella schiuma bianca, negli uccelli che dipingevano il cielo.
La storia che cercava si stava dirigendo verso di lei, e lei, occupata a cercarla nei minimi dettagli di quella giornata autunnale non se ne era ancora accorta.
CONTINUA
6- Emilyjane
Ricerca
Titubante sulla soglia dell'esistenza
mi accingo a piangere sangue raggrumato
lastre di ghiaccio che opprimono il petto
fiocchi di luce che mi abbacinano.
Silenzi che turbano il quieto vivere,
sprazzi di verde vivacità inebriante
nel buio discesa come un fulmine aguzzo
odo il frastuono di echi che si spezzano,
rimbomba il vuoto di una bolla sospesa
sospinta fra anfratti nei meandri del passato.
Cristalli dolorosi di trepida attesa
mani voraci che rubano pezzi,
immagine riflessa in uno specchio incrinato
gomitolo dimenticato in un angolo grigio