A SUD-EST CI SARA' DI CERTO IL MARE
Terza parte
Lei cominciò a correre verso la direzione in cui l’uomo era scomparso.
L’unico rumore che riusciva a percepire era quello del suo cuore pulsare sordo nelle orecchie seguito dal suo respiro affannato.
C’era un muretto basso, a tratti sgangherato e corroso dall’aria salmastra del mare. Si accovacciò dietro il muretto, rimase qualche minuto ad ascoltare, a cercare di captare qualche rumore sospetto; riuscì a cogliere lamenti.
Rimanendo protetta dal muretto sbirciò velocemente verso la stradina stretta che conduceva alle abitazioni. Era deserta.
“Devo trovare quell'uomo”. Disse.
Cominciò a muovere qualche passo incerto verso le abitazioni, utilizzava i lamenti per orientarsi meglio. Era un labirinto di viuzze e traverse strette e incrociate tra loro. Non era facile arrivare all'origine del punto.
Capì che era vicina quando vide le tracce degli pneumatici incollate sull'asfalto. Cominciò a correre verso l’unica direzione disponibile: un’unica stretta traversa illuminata totalmente dai raggi del sole e circondata da numerosissime piante di gelsomino. I piccoli fiori bianchi sbucavano dappertutto, colpiti dai raggi del sole brillavano quasi come delle lucciole e l’aria era carica del loro odore intenso. Era incantevole.
C’era un’unica porta, era spalancata, e i lamenti provenivano da quella direzione.
Lei dimenticò l’incanto di quell’istante e si precipitò dentro.
Non fu necessario entrare. Sulla soglia della porta giaceva un cane, più avanti un cucciolo si dimenava avanti e indietro, facendo la spola tra cane e uomo, come se lui, piccolo, incapace di qualsiasi azione, fosse l’unico in grado di tenerli in vita, solo con il suo andirivieni. Tutto attorno era la calma più assoluta. Non un mobile fuori posto. Non una sedia spalancata a terra. Non un vetro rotto.
L’uomo, appoggiato ad una parete lercia si teneva una spalla. Non era privo di sensi ma il dolore lo aveva stordito.
Lei si accovacciò accanto all'uomo prendendole il volto fra le mani, il cucciolo le rotolava in modo buffo fra i piedi uggiolando. Si fermò a guardarlo e la dolcezza dei suoi piccoli occhi tondi era nauseante in mezzo a tutto quello squallore.
«Mi dispiace» sussurrò l'uomo. «Morirai di freddo, non sono riuscito a prendere niente di asciutto.»
Lei si lasciò cadere a terra, abbracciandosi le ginocchia incapace di qualsiasi azione utile.
«Non sto proprio male» disse l’uomo come se l’unica cosa necessaria fosse rassicurare lei. «Mi hanno colpito ad una spalla, il proiettile è uscito, non mi ha beccato nemmeno l’osso, ma è atroce. Mi ha salvato la vita… Un’altra volta.» L’uomo guardava il corpo del cane inerme, aveva gli occhi lucidi stracolmi di dolore misto a gratitudine. Un’immensa quantità di gratitudine.
Lei si asciugò gli occhi con la manica della felpa impregnata di salsedine. La morte del cane, il tentativo del cucciolo di rianimare sua madre -ne era certa adesso, dopo aver visto il modo in cui la natura aveva deciso di colorare il manto delle bestiole con gli stessi colori-  l’uomo ferito, la sua avventura trasformata in una disavventura… Non era in grado di sopportare tutte quelle dure emozioni, lei che era abituata a vivere al sicuro nel suo mondo di carta e inchiostro.
«Mi dispiace…» silenzio. «Stavo cercando una storia. Non sapevo tu fossi un brav’uomo. Ho paura degli estranei. Non sarei scappata se avessi saputo. Ti avrei tenuto compagnia mentre mangiavi, se avessi saputo…»
«Oh, avanti, sarei scappato anch’io di fronte a me stesso alla tua età.» silenzio. «Devi aiutarmi. Dopo ti racconterò una storia che se vuoi sarà la tua storia.»
«Cerco una storia che ho davvero vissuto e quella di oggi è perfetta, grazie.» Lei afferrò il braccio sano che l’uomo aveva puntato verso l’alto e lo aiutò a tirarsi su.
Insieme fecero una fasciatura alla bell'e meglio, scavarono una fossa nel minuscolo giardinetto sul retro della casa che l’uomo usava come orticello, vi posero dentro il corpo del cane e l’uomo diede l’ultimo saluto alla sua ultima compagna di vita.
«Mi ha salvato la vita due volte. La prima cinque anni fa, quando mi ha ridato la vita, ma la mia piccola non è stata in grado di darmi la libertà. Era una cosa troppo grande anche per lei.»
Lei non capiva. Continuava a fissare l’uomo con gli occhi interrogativi, aspettando una spiegazione. Una storia.
«Tu sai che, a volte, capita che anche le persone migliori del mondo si ammalano di un male incurabile. Anche quelli che sono sempre stati attenti a tutto, che non hanno mai rischiato, che non hanno mai avuto una vita sregolata.»
Lei annuì senza fiatare.
«Tu conosci anche la nostra terra, la nostra meravigliosa isola. Sai quant’è bella e quante risorse abbia, eppure si è ammalata pure lei. L’hanno sporcata di un macchia indelebile.»
Lei annuì di nuovo, consapevole del grande male che macchiava da sempre il suo triangolo sul Mediterraneo.
«Quando avevo la tua età, anch’io come la nostra terra, mi lasciai sporcare dal male. A poco, a poco, in punta di piedi, si prese tutto, anche quello che non volevo dargli. E quando dai qualcosa controvoglia a qualcuno, vuol dire che quel qualcuno domina la tua vita in modo onnipotente.»
Per qualche minuto il silenzio fu il protagonista sovrano, mentre le menti di entrambi ruzzolavano verso i sensi di colpa, verso tutte le loro singole azioni che avevano influito ad oscurare il bel nome della loro terra, allo stesso modo in cui il cucciolo ruzzolava fra le loro ginocchia incrociate.
«Però attorno alla nostra terra c’è il mare» ricominciò l’uomo, rivolgendosi a lei con gli occhi e il sorriso inondati di speranza e dolore. «E lo sporco se ne va solo se ci si versa sopra una grande quantità d’acqua. Continuamente. Incessantemente. Eternamente.»
Sorrise anche lei sorpresa dal modo in cui quell’uomo era in grado di regalare speranze.
«E lei» si riferiva alla madre del cucciolo, alla sua compagna d’avventura degli ultimi anni, «è stata la mia acqua. Il mio mare. Mi ha regalato un’opportunità, triste, vero, disonesta, ma meno sporca. La latitanza è tremenda, ma lei da quando mi sono rifugiato in queste viuzze non mi ha mai lasciato. Non mi conosceva eppure si è affidata a me, ha vegliato su di me è ha ripulito una parte della mia macchia enorme finché essa stessa, oggi, non l’ha portata via.»
«Finisci il suo lavoro. Finisci di lavare via la macchia. SI è presa la pallottola che era destinata a te. Ti ha dato un’altra possibilità di vita. Rendile onore. Finisci il lavoro che lei con amore aveva iniziato. Continua ad essere mare.»
L’uomo la guardò con i suoi grandi occhi neri pieni di lacrime soppresse incastrate fra le ciglia. Si guardò attorno, assaporò l’odore del gelsomino che investiva la piccola abitazione, respirò a fondo quell’odore, come se dovesse imprimerselo per bene fra i ricordi.
«Qui senza di lei non posso più restare.» silenzio. Prese il cucciolo che provava a ribellarsi in tutta la furia del suo squillante e sottile abbaio da cucciolo e lo piazzò fa le braccia di lei, che nel giro di pochi secondi cominciò a subire una gran quantità di baci sulle orecchie e sul naso. «Promettimi che insieme a lui sarete mare. Mare in tempesta se è necessario. Mare furibondo contro il più piccolo dei mali.»
Dal cestino della bicicletta il cucciolo guardava spaventato la grande strada delimitata a tratti da alberi e immense pianure gialle bruciate dal sole della stagione precedente.
Lei piangeva.
Piangeva perché adesso doveva prendersi cura del cucciolo e lei non ne aveva mai avuto uno.
Piangeva perché non era certa di volerlo. Ma che importava? Non voleva tradire quell’uomo.
Piangeva perché in realtà ne era già innamorata, e sapeva che separarsi da lui sarebbe stato un dolore catastrofico.
Mentre le lacrime le annebbiavano la vista e il cucciolo abbaiava al vento che gli scompigliava le orecchie una volante della polizia viene dal senso opposto della grande strada. I due mezzi, così diversi, si passano accanto, osservandosi per un millesimo di secondo, raccontandosi a vicenda la fine e l’inizio di una storia che entrambi avrebbero ricordato.
La discesa per arrivare in città era lì davanti a loro.
Lei si fermò a respirare, a schioccare un grande bacio sulla testa del suo cucciolo. Lui la guardò con i suo grandi occhi e ricambiò col suo squillante ruggito da cucciolo.
«Ho trovato il mare.» sussurro a se stessa, poi sorrise al cielo, si diete una grande spinta con i piedi.
Gli occhi socchiusi dal vento freddo e umidi di lacrime, le braccia ferme sul manubrio, le gambe aperte contro la velocità della discesa. I capelli spazzati all’indietro e il sorriso stampato sulle labbra ma prima ancora negli occhi e nel cuore.
«Ho trovato il mare!» Urlò.
FINE