Ecco le votazioni della seconda manche!
Claudia
Nel silenzio più assordante, la mente non può fare a meno di correre da un pensiero ad un altro, che fare? Come fare a fuggire? Le porte sono chiuse, le finestre bloccate, i vetri infrangibili, tutto in questa casa è stato studiato per non far uscire chi si trova al suo interno. Non può essere una cosa improvvisata, c’è della preparazione. Quanto tempo avrà impiegato a costruire questa trappola? Un’organizzazione maniacale, machiavellica ed anche sadica con tanti piccoli oggetti pronti a dare speranza, per poi toglierla in un lampo, come il telefono che in realtà non funziona o le chiavi della macchina, la sua macchina, appese li ad un gancio accanto alla porta, ancora con il portachiavi che l’anno scorso, durante le vacanze in Puglia, aveva comprato insieme alla sua amica. Quelle chiavi sono lì, pronte ad essere prese ed utilizzate, se solo riuscisse ad aprire una porta, una maledettissima porta!
Deve rassegnarsi, non c’è via di fuga, tutto in questa casa la sbeffeggia, tutto le ricorda che lui a breve tornerà a casa e ricomincerà a torturarla… ogni porta, ogni finestra, tutto sembra deriderla, perfino il pavimento che cigola, cigola, cigola un po’ troppo in questo punto… le assi si muovono, si sollevano, c’è posto per strisciare sotto le fondamenta, c’è una possibilità!
Con il cuore che esplode nel petto, si infila nello spazio ricavato e struscia tra le ragnatele, tra gli insetti, tra gli escrementi dei topi, striscia destra, a sinistra, nel buio più pesto, ma da nessuna parte trova uno spiragli, una via d’uscita, riesce però a sentire qualcosa, dei passi… i suoi passi! È tornato!Ma lei non si farà trovare, preferisce rimanere li sotto al buio, piuttosto che nel degrado della luce al piano di sopra. In preda al panico inizia a procedere all’inverso, striscia indietro fino alle assi e le riposiziona sopra la sua testa, le sembra quasi di rivedere il momento in cui un coperchio rinchiudeva per sempre il debole corpo di sua madre, il volto risucchiato dall’oscurità e reso eternamente inaccessibile dai chiodi e dai colpi di martello che risuonano ancora nella sua memoria, solo che oggi è lei a chiudersi sotto del legno con la speranza che per lei quel legno non sia simbolo di morte ma di rinascita, aspetterà li sotto, finché lui non la troverà o lei non riuscirà a coglierlo di sorpresa e togliergli quelle maledette chiavi, che al momento sembrano quasi le chiavi del paradiso. È entrato! È qui, i suoi passi risuonano nel silenzio della casa, la sta chiamando, la chiama e ride. È pronto per abusare di lei, ma non questa volta, non oggi. Tra poco il silenzio finirà, lui accenderà quel dannato stereo e la voce di Liza Minnelli risuonerà nell’appartamento. Perché proprio Cabaret? Per lui è solo uno show? Nulla di più? Non conta niente la vita che trema e ansima sotto delle travi di legno?
Non la trova, il suo passo accelera, si sposta da una stanza all’altra, la chiama, prima piano, poi inizia a gridare, a correre, non la trova, non la trova! Possibile che non sappia? Possibile che abbia lasciato una falla? Non sa di questo rifugio sotto il pavimento? O la sta solo prendendo in giro? Come il telefono, come le chiavi… continua a correre, sale le scale, scende, è sopra di lei, deve trattenere il respiro, non può essere proprio lei a rivelargli il suo nascondiglio, deve calmarsi e respirare tranquillamente. È ripartita Cabaret, non è mai stata così felice di sentire quella canzone come in questo momento, forse potrebbe coprire il rumore della sua paura!
Lui sta piangendo! Ma che assurdità, è lei che dovrebbe piangere e invece deve stare rannicchiata li sotto, con le mani strette alla bocca per non emettere fiato. Non può essere lui quello a soffrire, è lei la vittima! Il suo viso si infiamma, la collera comincia a crescere, ma non può fare altro che star li sotto ad aspettare… ma aspettare cosa? Non ha un piano, si è solo nascosta, sta ritardando il momento che prima o poi arriverà, non c’è via di fuga la sotto, prima o poi la sete o la fame la staneranno, e allora perché sta li sotto? Cosa deve fare? Cosa deve fare?
Ma perché quel giorno ha deciso di uscire? Se lei non avesse avuto voglia di gelato non lo avrebbe mai incontrato, non avrebbe mai incrociato il suo sguardo e lui non avrebbe mai scelto lei per il suo sadico gioco. Ora è li, parla da solo al piano di sopra, si ripete che lei deve essere li da qualche parte, perché è impossibile uscire, deve solo cercare meglio. Ad un certo punto si sente un piccolo ghigno, prima lieve, poi cresce, cresce, fino a diventare una grande risata, lui sa che lei è li dentro e come un lampo prende una decisione, corre verso la porta, prende le chiavi dal gancio, apre il cofano della macchina e tira fuori due grandi taniche, se non potrà più averla lui non la avrà nessuno! Inizia a gettare benzina per tutta la casa, lei inizialmente non capisce quello che sta succedendo fiche quell’odore non l’aggredisce, prima colpendole il naso e poi inizia a farle male la testa e infine il liquido inizia a colarle addosso, l’orrore l’assale, vuole bruciare la casa, sa che lei è dentro, non sa dove ma sa che non sarebbe potuta uscire e ha deciso di far si che non ne esca mai, sarà per sempre sua prigioniera, nessuno saprà mai dov’è il suo corpo, non le importa neanche più di morire ma non vuole che lui sia il solo a sapere dov’è . Inizia a spingere le assi con tutta la forza, ma le assi non si muovono, sono bloccate, possibile che si siano incastrate? No! Non è possibile, lui ha sempre saputo dove lei fosse, ha giocato con lei fino alla fine e ora, stanco del gioco, lo seppellisce per sempre sotto detriti anneriti dal fumo.
Bibi
A SUD-EST CI SARA' DI CERTO IL MARE
Seconda parte
Era enorme, scuro, sporco.
Le lunghe braccia ciondolavano vicino ai fianchi e le gambe, massicce ma veloci, avanzavano a grandi falcate, spostando la sabbia, che spinta dal vento aleggiava nell’aria.
Camminava svelto e si voltava spesso in dietro.
“Non mi ha ancora vista”. Disse.
Il modo in cui il mondo stava precipitando in situazioni terribili le faceva temere ogni cosa. Aveva preso l’abitudine, quando usciva di casa, di portarsi dietro un oggetto che in qualche modo, in caso di pericolo, avrebbe potuto salvarle la vita.
Era un cacciavite sottile. Invisibile se inserito nella cintura dei pantaloni.
Non l’aveva mai utilizzato, non le era mai servito, grazie al cielo.
Intuiva però che quel giorno aveva fatto bene a non lasciarlo a casa.
Vide l’uomo fermarsi, aguzzare la vista, coprirsi gli occhi dal sole con le mani, per individuare meglio l’oggetto.
“Per individuarmi meglio.” Pensò.
Vide l’uomo precipitarsi di corsa verso di lei.
Afferrò il cacciavite, rimase immobile in attesa di un segnale da parte del suo istinto di sopravvivenza.
Che fai?
Quando cominci a percepire la velocità con cui il sangue intraprende - come un fiume in piena - ogni capillare, vena, arteria, del tuo corpo. Che sembra quasi investa i muscoli e trapassi le ossa.
Cosa fai, quando poi, senti proprio sotto la pelle, quella sensazione di tremore?
Quando ti accorgi che tutto parte dalla bocca dello stomaco. Come un’esplosione silenziosa che si espande velocemente in ogni centimetro del tuo essere.
Ti prende l’anima e te la scuote.
Ti prende il cuore e te lo scuote.
Ti toglie l’aria.
Ti secca la bocca.
Ti appanna la vista.
Quando ti stringe la gola e poi scappa, tu, che fai?
“Corri”.
Abbandonò tutto dietro di se, anche la bicicletta che era troppo vicina a quello che, ormai ne era certa, sarebbe stata l’ultima persona che i suoi occhi avrebbero visto.
“Corri, corri, corri”.
Affanno.
Assassino.
Acqua.
“Corri”.
Controllo.
Cacciavite.
Cielo.
“Corri”.
Sudore.
Sangue.
Sabbia.
“Corri”.
Sorpresa.
Salvezza.
Scogliera.
“Salta”.
L’acqua era gelida. Il mare era stato clemente e non era agitato.
Lentamente ricominciava a prendere fiato, rimanendo rifugiata nell’acqua.
Respirava e tremava, per il freddo e per la paura.
In lontananza, vide l’uomo frugare nel suo zaino. Lei sapeva che non avrebbe trovato niente di valore e non se ne preoccupò.
Lo vide scartare il suo panino, abbandonarsi sulla sabbia, e mangiare.
Decise di uscire dall’acqua e avvicinarsi. Doveva tornare a casa, era bagnata fradicia, di certo si sarebbe presa una bronchite.
Decise d’ignorare l’uomo - che non sembrava pericoloso mentre mangiava- , d’ignorare lo zaino, di prendere la bicicletta e tornare a casa. Il tutto sempre mantenendo il cacciavite nel suo pugno stretto.
«Dove stai andando?» Disse l’uomo con voce ferma, senza alzare lo sguardo.
Lei non rispose, continuava a camminare dritta verso la sua bicicletta.
«Ho detto, dove stai andando!» L’uomo si alzò in piedi, quasi urlava.
Lei si fermò, si voltò a guardarlo. Aveva il pugno ben in vista, lui si accorse del cacciavite, lo guardò per qualche secondo ma non disse nulla.
«Torno a casa.»
«Sei bagnata, ti beccherai un raffreddore. Devi asciugarti.»
Cominciava a pensare che forse quell’uomo non voleva farle del male.
Cominciò a pensare a quanto fosse subdola la paura.
Cos’è la paura, se non una distorsione della realtà? Pensava.
Nella realtà quello era solo un uomo che correva verso la sua direzione, ma la paura le faceva vedere un assassino che correva verso la sua direzione.
«Non volevo spaventarti, cercavo aiuto. Non mangio da giorni.»
«Perché?»
«E’ una storia dura da raccontare a una ragazzina giovane come te.»
«L’hai visto il mondo? C’è qualcosa più duro del mondo?» Nelle sue parole non c’era rabbia ma rassegnazione. «Me ne vado! Buona fortuna!»
«Aspetta, vado a prenderti qualcosa di asciutto!»
L’uomo cominciò a correre come una furia verso le abitazioni balneari che scorgevano in lontananza. Sembrava quasi felice nel compiere quell’azione gentile verso un’altro essere umano.
Qualcosa dentro di lei le diceva di aspettare, forse era un rischio, ma aveva messo in conto anche quello. Era uscita per cercare una storia, e quell’uomo ne portava una dentro di sé.
“Aspetterò”. Disse.
Si accovacciò su uno scoglio piatto che il sole aveva riscaldato.
Le battevano i denti, aveva il corpo in preda agli spasmi del freddo ma sapeva che il suo compito adesso era aspettare.
E come ogni volta che si trovava da sola cominciò a parlare a se stessa con la voce del suo pensiero.
So di essere una di quelle persone destinate ad aspettare. So di avere una pazienza inesauribile camuffata da un piede che traballa a terra.
Quella non è impazienza o fretta; è “continuare a muoversi così ti ricordi che sei ancora in vita”.
Che se resti immobile, così, ad aspettare c’è il rischio che tu muoia.
E non importa di quale morte. Noia. Fame. Dolore. Preoccupazione. Amore.
Non è importante, davvero.
L’importante è non morire. Aggrapparsi con tutti se stessi a un piede tremolante che ondeggia ritmicamente.
E finché lui sarà lì a tenere il ritmo, tu puoi esser sicuro di essere ancora in vita.
E niente, davvero, niente può farti paura.
Era tutto silenzio, tranne che per il rumore delle onde sulla battigia, il suono silenzioso del vento, il pigolio degli uccelli… Poi urla, spari, lamenti.
Un cane ulula, un uomo urla, un automobile si allontana in fretta.
[CONTINUA]
PierBusa
Caro Manilo,
è vero che le cose che ti vorrei dire sono tante ed è vero che mi piacerebbe dirtele tutte, solo sento che la maggior parte di esse le devo conservare gelosamente dentro di me.
Io ero il fratello maggiore ed in quanto tale mi toccava richiamarti alle tue responsabilità, cercare di portarti ad un ragionamento più razionale.
Tu non eri una persona facile da imbrigliare e costringere in dei ruoli: "Non posso essere un buon padre, marito, fratello, figlio se non sono realizzato innanzi tutto come persona...". Questa cosa me l'hai ripetuta tante volte e tante volte ti ricordavo il concetto di responsabilità unito al concetto di scelte responsabili.
Tu appartenevi però ad un altro mondo fatto di poesia di libertà e voglia di vivere secondo le proprie attitudini ed aspirazioni. Non accettavi di essere imbrigliato neanche quando scrivevi, rifiutavi persino di aderire al canone comune che si scrive per farsi capire, e lo mettesti in chiaro agli albori del tuo blog: "Sta nell'ordine delle cose che tutto abbia un senso, magari celato e trasparente o profondo e irraggiungibile. Da oggi ho deciso, e sfido un contraddittorio, che questo blog mai riveli concetti coerenti e progettualità. Lo voglio libero come chi non ha mai conosciuto la libertà per non averla mai avuta negata".
Tu volevi essere libero come chi non ha mai conosciuto la libertà perché non gli è mai stata negata.
Non accettavo io questo modo di porsi lo ritenevo un modo di atteggiarsi di darsi delle arie. Capisco solo ora che non era così. Tu eri fatto in quel modo e in quel modo sei voluto morire. Ed io solo un essere inadeguato a cogliere il senso profondo delle cose...
Le scelte conseguenti alla tua malattia le hai affrontate in solitudine perché pochi le hanno capite e meno ancora accettate. Ci adeguavamo questo si ma era un soffrire in silenzio non una piena accettazione. E nessuna certezza che facendo altre scelte ti saresti salvato e nessuna certezza che la tua salvezza sarebbe coincisa con un modo di vivere coerente con la tua volontà.
Caro Manilo, mi manchi e mi mancherai per il resto della mia vita. E la domanda che mi faccio, tu dove sei ?, la ripeterò sempre finché un giorno non avrò trovato una risposta.
Mi dicono che devo trovare consolazione nella fede, non ci riesco proprio almeno per il momento. Se la fede è un dono a me non è stato dato o è stato tolto. Vorrei poter prendere dio per il bavero estirparlo dal suo trono lassù nei cieli portarlo sulla terra e fargli vedere tutto il male, l'ipocrisia e l'ingiustizia di questo mondo...e quella della tua storia compresa!
Mi dovrei consolare perché c'è la resurrezione dei morti... io ti vorrei qui ora adesso in questa vita, avrei voluto che i tuoi due meravigliosi figli avessero potuto crescere con un padre, che la tua compagna non rimanesse da sola...che nostra madre e nostro padre non avessero patito la profonda ingiustizia di piangere per un figlio morto.
Dovrei pregare per chiedere la salvezza della tua anima. E' dio che deve pregare per non dover affrontare la mia rabbia e la mia ira. E' lui che deve chiedere perdono a tutta l'umanità per averci creato a sua immagine e somiglianza. Che si vergogni!
Ma dio non esiste. E la consolazione la dobbiamo cercare in altre cose.
Un giorno, sono convinto, vedrai non so quando e non so come ci rincontreremo ed allora continueremo a prenderci in giro come facevamo sempre tu per le mie scarpe fuori moda ed io per la tue manie perfezioniste.
"Ma non voglio dir solo nero; tra porte e soffi s’adagiò anche garbo e ruolo, aria vibrante d’ottoni e fiato; che quel indice non fu per il suo sorriso, ma spada triste di riga. Qui finisce anno e intento. Agito una mano; e voi?"
Addio Manilo. Alla prossima...
Un libro dev'essere un'ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi.