Questo romanzo è il quinto del ciclo "Il romanzo di Ferrara"
Scritto nel 1968 valse all'autore il premio Campiello.
Dalla IV di copertina
Scritto in terza persona, con crudo minimalismo L'Airone racconta una giornata di caccia di Edgardo Limenari. Siano nell'inverno del 1947, nelle nebbie della Bassa, il risveglio di Edgardo è all'insegna del fastidio per ogni cosa. Il romanzo accompagna Edgardo nei suoi spostamenti in quella che è l'ultima giornata della sua vita, indugiando nel descrivere con tecnica cinematografica i suoi gesti, anche minimi. Tra Ferrara, Codigoro e le rarefatte atmosfere del Po di Volano, Bassani, dopo la città e la campagna circostante descrive una terra che vive sulle acque , in quello che è forse il suo lavoro più esistenzialista. L'airone è il romanzo del dolore definitivo, di un malessere esistenziale onnicomprensivo che pervade ogni aspetto della realtà: l'individuo , i suoi affetti, le cose, la natura.
Edgardo si alza alla mattina presto per andare a caccia, da Ferrara al Volano lo aspetta un uomo che lo deve portare con una barca nelle al luogo di appostamento per la caccia alle anatre, folaghe ed altri pennuti.
Ma già appena alzato si sente fiacco, disgustato anche di se stesso:
" Intanto si osservava nello specchio. Quel viso era il suo; e tuttavia lui stava lì, a fissarlo come se fosse un altro, come se neanche il proprio viso gli appartenesse.......omissis ..... Come era meschino e antipatico anche il suo viso, come era assurdo."
La vicinanza della moglie avida e volgare gli dà fastidio, non trova sollievo neppure dalla bambina sua figlia, anche la madre smemorata e vecchia lo infastidisce. Non c'è un pensiero che lo rallegra.
Durante il viaggio da Ferrara verso il luogo dell'appuntamento con chi lo deve accompagnare sull'acqua Edgardo fa di tutto per perdere tempo, si ferma a Codigoro, si intrattiene con un padrone di un albergo - ristorante ex fascista, e arriva in ritardo all'appuntamento, ma Gavino, così si chiama l'incaricato che lo deve aiutare per la caccia, lo ha aspettato e così inizia una battura di caccia veramente vomitoria per me. Edgardo non spara neppure un colpo e lascia il suo fucile migliore a Gavino che compie una vera strage di volatili, almeno una quarantina di animali vengono uccisi.
Ma al dì là del capitolo della battuta di caccia, che comprende un capitolo breve, in questo romanzo ho ritrovato anche una paesaggio che mi è ben noto e che adoro, Codigoro, l'Abbazia di Pomposa , la strada Romea con a fianco il suo canale d'acqua, il Bosco della Mesola, cupo ed antico, con gli alberi pieni di muschio, e poi il Lido del volano nella sacca di Goro, e le valli del delta del Po. Paesaggi struggenti, in inverno, e lucenti e splendenti in primavera, rimasti antichi, non rovinati dall'urbanistica moderna.
Bassani è un grandissimo scrittore, anche in questo romanzo dimostra la sua bravura nella descrizione delle persone, dei loro stati d'animo. Come è capace di entrare nell'animo umano di una persona disgustata della vita, immersa in "un cupo pozzo di tristezza accidiosa", qualsiasi cosa gli provoca "il consueto, amaro senso di estraneità, quasi di repulsione"
Come sono vere queste parole!
"Come diventava stupida, ridicola, grottesca, la vita, la famosa vita......E come ci si sentiva bene, immediatamente, al solo pensiero di piantarla con tutto quel monotono su e giù di mangiare e defecare, di bere e di orinare, di dormire e di vegliare, di andare in giro e stare, in cui la vita consisteva!"
Ecco per chi volesse capire cosa prova una persona depressa si legga questa ultima giornata di Edgardo che Bassani descrive senza sensazionalismi, senza parole ridondanti, senza tragedia. Un grande, grandissimo scrittore che ha vissuto la vita da dentro senza passarle accanto.
"ESSERE! ESSERE E' NIENTE. ESSERE E' FARSI".
(Da "Come tu mi vuoi" di Pirandello)