Oggi mentre correvo ho ripensato a questo libro e alla conversazione avuta con Bruno durante il raduno di Firenze (sì... mentre correvo...

è incredibile quante cose mi vengono alla mente mentre corro... mi ritrovo a ragionare su argomenti di tutti i tipi... oggi è stato il turno di "Tenilo acceso"

)
Voglio partire da questo estratto del libro, che ho riportato anche in un mio precedente post, e poi spiegarvi su cosa ho ragionato:
"Regole e spegnere sono proposte come unica soluzione percorribile a tutte le dinamiche fin qui analizzate che, di fatto, hanno una caratteristica comune: ci parlano di disfunzioni sociali sulle quali la tecnologia digitale svolge un inquietante ruolo di potenziamento, al punto che in molti finiscono per scambiarla con l'origine del problema, dimenticando che è solo un mezzo attraverso cui quel problema si manifesta[...] Spegnendo gli smartphone abbiamo la sensazione di poter controllare la dimensione on line, relegandola e contenendola il più possibile, come a non permetterle di debordare nelle nostre vite. [...] Se per trent'anni ci siamo focalizzati su sane pratiche di spegnimento, è arrivato il momento di occuparsi di tutto quello che succede da quando si accende in poi. Bisogna affrettarsi a costruire una cultura delle relazioni digitali, perché siamo in ritardo.".
Pensavo a quando Bruno ci ha raccontato
dell'importanza di "tenerlo acceso", sia il cervello (utilizzando la metafora che dà il nome al libro) ma anche lo smartphone.
Quest'ultimo suggerimento si trova in contrapposizione a quello di chi invece, riferendosi ai possibili danni che lo strumento potrebbe fare sui più piccoli e sugli adolescenti in caso di cattivo utilizzo di social e siti web, suggerisce invece di "spegnerlo". Atteggiamento che io sentii di paragonare a quello dello struzzo che mette la testa sotto terra.
Ricordo comunque che Bruno ci parlava proprio di due scuole di pensiero distinte.
Quella di chi dice che è meglio allontanare dalla tecnologia i ragazzi sino a quando non saranno in grado di gestirla e/o comunque fino a quanto saranno più grandi (quindi quelli a favore dello "spegnimento") e quella di chi pensa invece che si debba
insegnare ai ragazzi a "tenerlo acceso", vivendo correttamente un'esperienza on line che inevitabilmente al giorno d'oggi ci coinvolge tutti, includendo la necessità di imparare a riconoscere i rischi che ciò comporta e come interagire con le persone on line, dato che ormai "
virtuale è reale".
Ecco, ricordo che Mastroianni indicò quest'ultima strada come quella maestra secondo la sua opinione e quella di Vera, anche se la più difficile perché presuppone dedicare del tempo ai ragazzi mediante l'insegnamento e l'analisi di ciò che ci circonda on line. La lettura stessa del libro oggetto di questo topic è stata infatti suggerita in molte scuole e molte sono le presentazioni che gli autori hanno fatto negli istituti.
Arrivo dunque alla mia riflessione.
Chi avrebbe immaginato di dover vivere una pandemia globale? Quale genitore era preparato a dover chiudere in casa i propri figli senza che essi potessero avere interazioni con i loro amici, con i loro insegnanti, ecc.? Chi pensava che ad un certo punto le parole "didattica a distanza" e "smart working" sarebbero entrate prepotentemente nel nostro vocabolario quotidiano? Credo nessuno.
Ecco che, secondo me, la scelta della
disconnessione, ovvero la scelta di "spegnere" i dispositivi allontanando i ragazzi da quel mondo (o quanto meno ritardando il loro approccio con esso), in questo caso particolare
si ritorce doppiamente contro al genitore o all'insegnante che ha promosso la strada della disconnessione, scegliendo di non dedicare il giusto tempo a questo aspetto particolare della vita dei ragazzi di questo nuovo millennio iperconnesso.
Si ritorce contro perché secondo me ci ritroviamo adesso a vivere un momento della vita in cui questa iperconnessione,
se ben utilizzata, ci permette di restare in contatto con amici e parenti, ci permette di studiare e lavorare, ci permette di capire cosa sta succedendo nel mondo, di approfondire, di capire cosa sta accadendo là fuori mentre per la nostra sicurezza siamo sigillati in casa. La tecnologia in questo momento ci sta dando la possibilità di non restare isolati.
Dunque, sempre secondo me, aver scelto la strada dello "spegnimento" può aver sortito un effetto assolutamente negativo in un momento come quello che stiamo vivendo, in cui invece gli aspetti positivi dell'iperconnessione potrebbero essere sfruttati positivamente (ma sempre con attenzione, è ovvio).
Peraltro, togliere l'accesso ad Internet, ai social, ecc. ai ragazzi non vuol dire che non lo avranno mai. Prima o poi dovranno approcciarsi a tali strumenti e aver "spento" li rende impreparati all'inevitabile contatto con quello che ormai è il nostro quotidiano.
Se però quest'ultimo era un aspetto negativo chiaro già prima della pandemia (tant'è che nel libro Vera e Bruno lo evidenziano), ciò che stiamo vivendo oggi secondo me può aver aggravato la situazione perché chi ha deciso di allontanare i ragazzi dal quel mondo, oggi si ritrova con dei ragazzi che sono davvero isolati, con possibili risvolti psicologici a mio modo di vedere non trascurabili.
Voi cosa ne pensate? Io credo che questa pandemia stia dimostrando ancora di più la necessità e l'importanza di un approccio finalizzato a "tenerlo acceso" ma dedicando costantemente del tempo ai ragazzi per aiutarli a capire tutte le sfaccettature di un mondo che inevitabilmente si troveranno a dover conoscere, senza paura di doverlo affrontare e nel quale, purtroppo, in questo momento sono stati catapultati improvvisamente.
Ovviamente mi interessa l'apporto di chiunque desideri prendere parte alla discussione ma in particolar modo sarei curioso di avere il parere di chi è genitore e/o insegnante (coloro il cui compito è "formare alla vita" ciascuno di noi). Grazie!