Bel post Greta, davvero interessante.
Mi soffermo innanzitutto sulla frase di Eraclito e sul successivo discorso dell'impermanenza. Questo è un tema centrale nelle culture orientali, tant'è che la filosofia eraclitea, spesso sintetizzata con la spuria espressione "panta rei", è stata da molti ricondotta a Zoroastro e alle filosofie asiatiche del suo tempo, probabilmente arrivate a lui grazie alle tanti popolazioni nomadi.
I giapponesi sulla impermanenza del tempo, ossia sul costante morire di ogni istante, hanno creato un'espressione che racchiude un intero filone di arti:
Mono no aware. Libri e film sono incentrati su questo concetto, e buona parte della bellissima poesia Haiku. Alcuni dei migliori haiku, mi vengono in mente quelli di Basho, sono proprio legati a questa irreversibilità e perciò alla bellezza dell'istante presente.
Legati a questo concetto sono pure quei disegni geometrici, intricati, meravigliosi, che i monaci buddisti fanno con la sabbia (
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), e che distruggono appena finiti, perché se l'occidente si illude di creare opere eterne e di vincere la morte attraverso il proprio lascito, i buddisti invece hanno capito che è solo questione di tempo e tutto finirà, tutto verrà distrutto, tutti verremo dimenticati. La conclusione è che non si deve fare nulla per raggiungere un risultato ma fare ciò che nel presente ti arricchisce lo spirito.
Sul tema più generale, che come dice Vanna estremamente attuale visto che ormai abbiamo allungato tantissimo la vita, credo che Seneca parli più di suicidio che di eutanasia. Io non sono cristiano, anzi sono un ateo "ortodosso", e quando Mario Monicelli si tolse la vita avevo ancora il mio vecchissimo nonno, che per dieci anni ha vissuto una vita di sofferenze non degna di essere vissuta. Ecco, quando Monicelli si buttò, io pensai e ancora lo penso, che spero di avere la forza necessaria per compiere lo stesso gesto, prima che sia troppo tardi, come invece per mio nonno. Magari lo penso adesso che son giovane, però lo trovo ancora giusto.
Al riguardo può venirci in aiuto Epicuro, il quale nella
Lettera sulla felicità ci ricorda che non bisogna avere paura della morte, perché essendo il nulla, la fine di tutto, è soprattutto la fine delle nostre sofferenze: quando c'è lei, non ci siamo noi, non ci fa nulla, tranquilli.
I buddisti invece hanno un'attitudine differente: il punto di partenza del Budda, come ben descritto da Asvagosa, è la constatazione che la vita include vecchiaia, malattia e morte. Ossia che il momento di piacere e felicità passa in fretta e non torna più. C'è solo un modo per interrompere questo percorso che necessariamente porta a soffrire: riuscire a scollegare completamente lo spirito dal corpo, attraverso l'annullamento del bisogno e del desiderio, così da eliminare alla radice ogni possibilità di sofferenza.
Più facile dirlo che farlo, ma in ogni caso un ragionamento profondissimo e bellissimo.