Guido ha scritto:
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Secondo voi, il rapporto tra le pagine di un libro e la quantità di spunti di riflessione che sa generare nel lettore, è una metrica utilizzabile come valutazione dell'eccellenza dello scrittore?>>
Mmm.. la prima risposta che mi viene è che dipende dal target. Faccio un esempio. Io adoro "I turbamenti del giovane Törless" perché lo trovo un libro di grande valore introspettivo, mentre molte persone lo trovano noioso.
Così, se il libro della Ernaux lo leggessero delle persone poco interessate a temi sociali, tipo la casalinga di Vigevano o il sacrestano di Manduria (e chiedo scusa a queste categorie) direbbero che è una boiata pazzesca. Però tu puoi dirmi che queste persone non leggono la Ernaux, e che c'è una selezione a monte. E allora ti rispondo: allora il valore di uno scrittore potrebbe essere misurato in proporzione agli spunti di riflessione che suscita nei lettori, solo se i lettori venissero selezionati in modo random.
Scusami, ho un attacco di pignoleria ma è pur vero che noi (intendo per noi le persone di media cultura, educazione, tenore di vita) commettiamo l'errore di pensare che tutti abbiano idee illuminate, tolleranti, al passo con i tempi.
Una volta, anni fa, tornavo in autobus dall'università, e avevo con me una copia della tesi di laurea che riguardava la violenza sessuale. Seduto accanto a me c'era un signore anziano che conoscevo di vista; occhieggiò il titolo della mia tesi e esclamò: "Vabbè, ma che c'è da dire? Se io ho fame e vedo una bistecca me la mangio!" Io ero agghiacciata, gli risposi solo che non avevo intenzione di discutere contro argomenti così odiosi, scesi dall'autobus e poi non lo salutai mai più. Ma c'è chi la pensa così e non lo dice. Questo vale anche per lo stigma relativo all'aborto. La strada per acquisire nuove convinzioni è ancora tutta in salita.
*
Torniamo al libro della Ernaux.
A parte le mie piccole difficoltà linguistiche con il francese, come ad esempio credere che la protagonista stesse cercando di inserire nell'utero un'anguilla (aiguille nel testo), ho trovato molto realistiche le scene più "tecniche" come
, mentre ho trovato fin troppo minimaliste le considerazioni relative alle angosce della protagonista.
Si intuisce in parte il suo stato d'animo quando lei, durante la vacanza natalizia in montagna, si slancia in evoluzioni pericolose sugli sci, come se volesse farsi del male, come se non avesse quasi più nulla da perdere. Questa è disperazione.
Ma l'incubo, all'epoca, era ben più pesante. Cito le parole di una mia conoscente molto anziana che ha vissuto l'aborto illegale: <<Entravi in quel luogo (dalla mammana) senza sapere se ne saresti uscita viva o saresti finita in qualche bidone della spazzatura>>.
Ecco, dalle parole della mia amica attempata ho capito che, a prescindere dallo stigma, dalla paura dell'illegalità, dal dolore, dalla solitudine, dalla vergogna, la paura enorme era quella della setticemia, della perforazione dell'utero, della morte.
E' possibile che tutto questo bagaglio di esperienze sia stato cancellato dalla possibilità (aleatoria) di abortire in maniera asettica? Non credo, anche perché sembra che il ricorso alla clandestinità possa tornare, se le strutture mancano e la situazione peggiora.
E, cosa ancor più delicata, è possibile che un uomo anche se colto, non sessista, aperto e disponibile, possa comprendere fino in fondo questa angoscia sepolta nel retaggio mentale di ogni donna? Fino in fondo, credo di no.
Per questo apprezzo moltissimo che tu, Guido, dica
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Per un uomo, leggere un libro del genere, in cui viene sviscerato tramite una storia di vita vera l'argomento dell’aborto, credo sia utile per cercare di calarsi lentamente e in punta di piedi verso un mondo di cui conosce veramente poco>>.
Però non è solo quel mondo, che l'uomo conosce poco.
A parte il discorso della contraccezione, che da sempre è stata in massima parte una responsabilità della donna, sono troppe le cose sulle quali l'uomo in genere non si interroga. Perché ogni volta che c'è un gruppo di condivisione di esperienze, un gruppo sulla comunicazione emotiva, una qualunque iniziativa di approfondimento personale, ci sono in media dieci donne e al massimo un uomo?
Adesso mi viene in mente una cosa che forse non accadrà mai: vedere, in una stanza, venti uomini seduti in cerchio a discutere sul tema: "
La mia compagna ha avuto un aborto. Come lo vivo io? Cosa sento?"
Sarebbe possibile, oggi come oggi, in italia?
Ovviamente non è un discorso contro gli uomini, ma è una delle tante facce del problema, che si chiami educazione affettiva o in qualunque altro modo vogliamo chiamarlo.
Ciao da susy