Ciao a tutti!
Ho appena finito di leggere questo libro per il gdl di Milano e contrariamente a ciò che pensavo mi è piaciuto molto!
A parte le prime 30-40 pagine un po' faticose per via del ritmo troppo lento e dell'argomento non proprio nelle mie corde, il resto del libro (di cui trovate una bellissima recensione
qui
sul sito) scorre veloce, il pathos anche, e il modo in cui è raccontata la storia ti fa scivolare lungo un piano inclinato sempre più ripido fino alla fine.
Non sapevo in quale categoria inserirlo perché non è né un giallo né un horror (anche se vengono descritti alcuni omicidi in maniera molto cruda), forse è più un thriller psicologico, o una via di mezzo tra queste categorie.
Inoltre non è tanto la trama che cattura (in alcuni punti un po' improbabile), ma l'aspetto psicologico di tutta la vicenda, il modo in cui è raccontato e la linearità del pensiero dell'assassino che ti porta quasi ad empatizzare con esso e a giustificarne le azioni.
Senza spoilerare troppo la trama, nel romanzo si racconta che il protagonista è quello che è a causa di una disfunzione dell'amigdala, quella parte del cervello preposta alle emozioni, che in questo caso non gli permette di provare empatia o di definire correttamente i concetti di bene e male.
Da disfunzioni simili, a livelli più o meno accentuati, derivano (come nella realtà - e come in tantissimi altri gialli) psicopatia e sociopatia.
La cosa interessante del romanzo, e che mi fa riflettere, è che nel protagonista questi sintomi vengono riscontrati per caso in giovane età - 7 anni - tramite dei test (il bambino pur mostrando intelligenza, fallisce tutti i test sull'empatia; non è in grado di immedesimarsi in ciò che provano gli altri) e delle sedute di terapia che evidenziano quest'aspetto che mi ha colpito molto: "L'obiettivo della terapia in questo caso non è trasmettergli principi morali. E' impossibile. Non importa quanto si insista a spiegare il concetto di "cattivo", lui non può comprenderlo".
L'aver sottovalutato e ignorato questa sentenza porta ad una serie di esasperazioni che poi esplodono fragorose nei fatti del romanzo.
Al di là del libro però mi chiedo cosa sarebbe giusto fare nella realtà. Sarebbe etico fare dei test simili nelle scuole per individuare in giovane età soggetti con tali predisposizioni? E una volta identificati, premesso che non vi è cura al momento per disfunzioni simili, soprattutto nei casi più gravi (nella stragrande maggioranza pare sia genetico), cosa se ne fa del soggetto? Lungi dall'incolpare il bambino di tale situazione, come andrebbe trattato nella realtà? Non può stare in mezzo agli altri perché pericoloso, né può essere isolato, per non aumentarne l'alienazione e l'odio verso i suoi simili. E come dovrebbe reagire un genitore a cui viene diagnosticata tale disfunzione nel figlio di appena 6-7 anni? Come nel libro?!
Complimenti a You-jeong Jeong.