Ciao a tutti!
Sono al 44%
Sicuramente una lettura gradevole che ha anche modo di far riflettere su molteplici temi. Per esempio, sugli affetti familiari e sulla loro importanza. Si percepisce come l'autore sia stato segnato da una esperienza familiare non facile con la separazione dei genitori prima e con la scomparsa della madre poi.
Il susseguirsi di quadretti sentimentali conferma la teoria di Tolstoj: ogni famiglia felice è uguale alle altre, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo. Le famiglie felici sono troppo noiose per essere oggetto di interesse narrativo.
Un autore di cui apprezzo l'ironia e la sicilianità che però a volte mi lascia un pò l'amaro in bocca per il macabro, freddo cinismo.
Per capire cosa intendo si veda questo passaggio:
La sopravvivenza in sé non è un valore. A essere desiderabile è un punto di equilibrio fra longevità e dignità. Non me ne faccio niente di dieci anni di vita in più senza garanzie. Diceva Woody Allen, di nuovo lui: ho smesso di fumare, vivrò tre settimane più a lungo. E in quelle settimane pioverà sempre.
o peggio ancora:
L’odore di zio Eduardo però è rimasto ugualmente nel mio archivio di memoria olfattiva. Lo risentirò anni dopo, andando a trovare nonna Doretta nella casa di riposo dove è finita nell’ultimo periodo, una struttura modello, sempre pulitissima e deodorata. Ma anche lì, persino lì: l’odore di carne vecchia risulta invincibile.
Sicuramente da spazio a riflessioni interessanti quali il fine vita, l'età pensionabile, le risorse sociali per l'età avanzata, ecc.
Alajmo è netto sull'argomento:
Diventiamo titolari di una vecchiaia prorogata all’estremo, oltre ogni vergogna dell’individuo e dei suoi familiari. E dobbiamo pure far finta di essere contenti.
Da un lato condivido l'idea che si debbano migliorare le condizioni di vita in età avanzata, ma non condivido l'idea che una vecchiaia segnata da malattia, difficoltà o disagio sia meno degna di una più fortunata. L'autore mi sembra voler dire che la vita è degna solo se mi da certe
garanzie. Ma la vita è imprevedibile e ciò che possiamo fare è solo cercare di viverla al meglio: e quella che in parte ci costruiamo e quella che inevitabilmente ci capita.
Poi comunque mi piace molto come l'autore entra in quelle intime dinamiche familiari tra padre e figlio (vedi l'episodio a Firenze e le pratiche di
grattatina).
Con Arturo – poi, fino a tutt’oggi – il rituale prevede che a un certo punto della giornata arrivi il tempo della grattatina. Posso cominciare io o lui, indifferentemente. Non c’è bisogno di parole, ci si alza la maglietta sulla schiena e senza nemmeno smettere di leggere o di guardare la tv, l’altro sa quel che gli tocca fare. Lo gratto nei punti che so essere particolarmente sensibili, perché sono anche i miei, quelli dove da soli non riusciamo ad arrivare. Poi le parti si invertono, e la stessa perspicacia possiedono le sue unghie: sia nell’individuazione dei punti cruciali, sia per l’intensità, sia per la forza che ci mette. Fra persone ormai entrambe adulte non c’è motivo di sprecare parole. Si comunica così. Il grattamento fra maschi deve possedere una particolare incisività senza però trascendere nel graffio, né va confuso col solletico.
Mi ha ricordato pratiche infantili che avevo completamente rimosso. Mi madre talvolta chiedeva che le si grattasse la schiena, non come pratica usuale, ma in condizioni di emergenza perchè non ci arrivava e altrimenti avrebbe dovuto fare come l'orso! Vi era invece più frequente la richiesta, sia da mamma che da zia, del solletico al braccio

. Io, dal canto mio, ho sempre odiato tutte le forme di solletico.
Continuo la lettura con piacere...