* CONTIENE SPOILER *
Ho finito di leggere questo racconto e sono combattuta perché mi sembra difficile da poter trattare adeguatamente e con i mezzi a mia disposizione. Forse il suo grande successo è proprio questo: ognuno di noi può interpretarlo a modo suo, visto che l'autore non è chiaro sulla figura di Bartleby e questo influenza il finale. Melville non è chiaro, secondo me, non perché se ne sia lavato le mani (come fanno alcuni autori) ma per spingerci a riflettere. Del resto è un racconto che ha varie interpretazioni, come ha accennato Emanuele Trevi nell'edizione Garzanti che ho letto (cita un altro curatore, forse Celati per la Feltrinelli, che in una prefazione o saggio aveva trovato circa un centinaio di interpretazioni altrui).
E' un racconto che mi ha fatto provare tre emozioni diverse: all'inizio mi ha suscitato qualche risata, poi mi ha fatto innervosire e, alla fine, mi ha reso triste. Ovviamente fa ridere la descrizione dei tre impiegati e il modo di fare degli stessi, c'è una comicità contagiosa che ho trovato irresistibile e molto educata. La comicità fa posto a una sorta di nervosismo nel lettore (almeno in me!) perché questo impiegato, Bartleby, non vuole fare nulla e il suo lavoro deve essere fatto da altri (da lavoratrice questa cosa mi urta assai), ma il nervoso viene anche per il datore di lavoro, l'avvocato, che si dimostra troppo pacato, troppo accondiscendente, ben poco risoluto e incisivo. Infine, subentra una sorta di senso di colpa, forse voluta dallo stesso Melville, perché iniziamo a capire che abbiamo pensato male dello scrivano e che Bartleby "preferisce di no" non perché voglia vivere alle spalle degli altri, ma perché ha dei problemi psicologici di una certa entità... o almeno così si può supporre visto che non abbiamo la certezza di nulla. E si palesano pietà e drammaticità della vicenda perché questo povero disgraziato di Bartleby non riesce a stare al mondo, nel mondo, si isola, non vuole avere contatti, guarda dalla finestra per vedere il nulla visto che non c'è panorama, insomma è talmente indifferente alla vita da non nutrirsi e lasciarsi morire. La prigione, se da un lato ci sembra giusta perché Bartleby doveva essere cacciato in qualche modo dallo stabile e quindi bisognava chiamare la polizia, diventa moralmente inaccettabile perché persone con disagi psichici vanno curate in luoghi a loro dedicati e con personale adatto. E' un racconto difficile perché non c'è neanche un personaggio che possiamo considerare cattivo, lo stesso proprietario dello stabile chiama la polizia perché non può fare diversamente e non conosce Bartleby; il nostro avvocato le prova tutte e alla fine decide di trasferirsi altrove, ma continua a provarci e riprovarci fino alla fine. Non abbiamo né un cattivo né un eroe.
A leggere il titolo originale "Bartleby: the Scrivener. A story of Wall Street" posso ipotizzare che la soluzione sia da ricercare nella seconda parte del titolo e cioè "Una storia di Wall Street". Forse mi ricollego alla prefazione di Trevi (dovrei rileggerla perché ero un po' distratta ieri), ma può darsi che Melville abbia voluto raccontare la storia di una persona qualunque, uno che a Wall Street neanche notano, il classico impiegatuccio di cui non ricordi la faccia né il nome. Bartleby esiste solo in funzione del suo datore di lavoro (che infatti ci racconta la storia), non esiste un passato dello scrivano e non esiste neanche un futuro. Egli si palesa agli occhi degli altri perché con i suoi rifiuti e i suoi silenzi risulta "eccentrico" ma, se fosse un impiegato classico, sarebbe un invisibile e non esisterebbe perché nessuno ci racconterebbe la sua storia.
Inoltre Bartleby chi è? Che cosa rappresenta? E' solo un povero uomo con dei disturbi o, piuttosto, rappresenta la difficoltà di adattamento che penso tutti nella vita sperimentiamo in merito a qualcosa o, ancora, rappresenta è proprio la chiusura totale di fronte al cambiamento? Lui stesso, alla fine, dice che gli piace stare fermo in un posto.
Tante domande e ben poche risposte, anzi nessuna! Comunque mi è piaciuto moltissimo questo racconto e mi è piaciuto anche lo stile di Melville, conto di leggere con il nuovo anno
Moby Dick per cercare di scoprire qualcosa di più di questo autore.
Una della tante frasi che ho sottolineato:
E' così vero, e anche così terribile, che fino a un certo punto il pensiero o la vista dell'infelicità impegnano i nostri migliori sentimenti, ma, in certi casi speciali, oltre a un certo punto, non succede più. [...] E quando alla fine si intuisce che tale pietà non si traduce in un efficace soccorso, il senso comune impone all'animo di sbarazzarsene.