SINOSSI
La giovanissima Effi sposa un antico spasimante della madre, lo tradisce – più per noia che per passione –, ma presto torna a essere una sposa devota e fedele. Dopo anni di serena vita coniugale, però, il marito scopre il fatto... Tra i grandi romanzi europei sull'adulterio accanto a Madame Bovary e ad Anna Karenina, Effi Briest (1895) narra con tocco delicato e profonda compassione umana la vicenda di un'indimenticabile figura di donna e offre una lucida quanto spietata denuncia dell'inesorabilità e della crudeltà delle leggi della cosiddetta “buona società”.
RECENSIONE
Effi è una giovane diciassettenne di famiglia aristocratica che, in ossequio alle convenzioni sociali dell'Europa di fine Ottocento, viene data in sposa al barone Innstetten, più vecchio di lei di una ventina d'anni. Per nulla turbata, in apparenza, da questa svolta radicale, Effi finisce tuttavia per invaghirsi del maggiore Crampas, con il quale ha una fugace relazione. Trasferitasi a Berlino in conseguenza dell'ascesa politica del marito, tutto pare risolto e dimenticato, fino al giorno in cui, sei anni dopo, il barone trova casualmente alcune lettere inequivocabili. Per tutta risposta, egli sfida a duello l'amante della moglie, lo uccide, ripudia la consorte e le sottrae la custodia della figlia. Sola ed emarginata, Effi rientra infine presso la sua famiglia d'origine, poco prima di morire di tisi.
Effi Briest, capolavoro di Theodor Fontane, è un romanzo complesso, nel quale il non detto e il sottinteso acquistano un ruolo fondamentale. L'aspetto centrale è l'impossibilità dell'espiazione per Effi, condannata in modo irreversibile da una società che non può perdonare la sua colpa in nessun modo. Non c'è alcuna possibilità di redenzione. Effi è come stretta in una morsa, soffocata da un senso di colpa che trae origine più che dall'adulterio in sé, dalle menzogne ad esso connesse. Più commenti, anche autorevoli, sottolineano che la protagonista tradisce per noia, e non tanto per un intimo desiderio di evasione o per passione. A questa considerazione - corretta, ma forse un tantino banale - è lecito aggiungere una riflessione sul fatto che Fontane esprime una condanna piuttosto netta delle rigide convenzioni sociali del suo tempo, e lo fa presentando il tradimento di Effi come un qualcosa di assolutamente prevedibile, ovvio, inevitabile. Detto altrimenti, cos'altro avrebbe potuto fare una giovane donna di nemmeno vent'anni in quelle assurde condizioni? Su chi è giusto che ricada la colpa, se ammettiamo l'irragionevolezza di un'unione tra un uomo maturo e una ragazzina poco più che adolescente? Il romanzo, pertanto, è allo stesso tempo un atto di accusa e un invito alla tolleranza. Ne è prova la constatazione che ogni personaggio, alla fine, avverte il peso di una responsabilità che può dirsi condivisa. Innstetten è infelice, vittima anch'egli di una convenzione sociale che gli ha imposto un gesto tutt'altro che necessario; il padre sente di avere fatto mancare l'amore che un genitore deve a una figlia; e infine anche la madre, la più rigida e calcolatrice dei tre, ammette "che forse avremmo dovuto educarla in modo diverso" (p. 308). La sconfitta è totale, da parte di tutti. E la fine di Effi - spentasi lentamente e mestamente di tisi - non ha nulla di eroico o ribelle: è semplicemente l'inevitabile, tragico epilogo di una vicenda meschina. Fontane, in definitiva, lancia un grido di allarme con il quale invita a riflettere sul peso schiacciante che la società esercita sul singolo individuo. Dal momento che l'identità non ci è data per natura ma è, per l'appunto, un dono sociale, se la comunità ci marchia con le stimmate dell'infamia e dell'immoralità, il danno è irreversibile. E quindi Effi è vittima di un destino atroce ma ineluttabile. La tragicità del romanzo è racchiusa nel senso di impotenza della protagonista, travolta da una concatenazione di avvenimenti che sfuggono al suo controllo. Tutti gli attori del dramma paiono eterodiretti: è come se la volontà collettiva della società prevalesse sulla libertà individuale. Ad Effi, Innstetten e ai coniugi Briest non è concessa un'iniziativa realmente autonoma e indipendente. La società trascina il singolo nell'abisso, trovandolo del tutto inerme e impreparato. L'impossibilità del riscatto individuale rende cupa l'intera atmosfera del romanzo. La speranza di un futuro di salvezza è negata sin dal principio. Ne esce un'opera per certi versi angosciante, tremenda, radicale nella sua schiettezza. Il tutto senza che, apertamente, Fontane dica nulla: persino l'adulterio emerge dal contesto, non è esplicitato, e diverrà palese solo al rinvenimento delle lettere compromettenti da parte di Innstetten. Fontane non pronuncia una sola parola di biasimo per il mondo brutale che condanna la sua Effi: lascia che sia il lettore a colmare i vuoti. Nell'empatia che si prova per la giovane protagonista è racchiuso il senso ultimo dell'opera. Quell'amaro in bocca che rimane una volta sfogliata l'ultima pagina, il senso di rabbia e frustrazione che la vicenda lascia dietro di sé, rappresentano il vero guanto di sfida gettato in faccia alla società.
[RECENSIONE A CURA DI GIGIMALA]
| Autore | Theodor Fontane |
| Editore | Mondadori |
| Pagine | 336 |
| Anno edizione | 2021 |
| Collana | Nuovi oscar classici |
| ISBN-10(13) | 9788804746720 |
| Prezzo di copertina | 10,00 € |
| Prezzo e-book | 2,99 € |
| Categoria | Classico - D'ambiente - Storico |

