SINOSSI

Ai limiti del deserto, immersa in una sorta di stregata immobilità, sorge la Fortezza Bastiani, ultimo avamposto dell'Impero affacciato sulla frontiera con il grande Nord. È lì che il tenente Drogo consuma la propria esistenza nella vana attesa del nemico invasore. Che arriverà, ma troppo tardi per lui. Pubblicato nel 1940, Il deserto dei Tartari è "il libro della vita" di Dino Buzzati: nell'esistenza sospesa di Giovanni Drogo, infatti, i riti di un'aristocrazia militare decadente si mischiano a gerarchia, obbedienza e alla cieca osservanza di regolamenti superati e anacronistici. La sua storia è una «sintesi della sorte dell'uomo sulla Terra», il racconto «del destino dell'uomo medio» in attesa di «un'ora di gloria che continua ad allontanarsi», finché, ormai vecchio, si accorgerà «che questa sua aspirazione è andata buca». «Probabilmente» ha rivelato l'autore «tutto è nato nella redazione del "Corriere della Sera", dal 1933 al 1939 ci ho lavorato tutte le notti, ed era un lavoro pesante e monotono, e i mesi passavano, passavano gli anni e io mi chiedevo se sarebbe andata avanti sempre così, se la grande occasione sarebbe venuta o no. Molto spesso avevo l'idea che quel tran-tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inutilmente la vita. La trasposizione di questa idea in un mondo militare fantastico è stata per me quasi istintiva». In questa edizione il testo è accompagnato dalla riproduzione di materiali inediti che permettono di ricostruire la genesi del romanzo e il suo percorso dalla pagina al grande schermo tra cambiamenti e finali diversi.

RECENSIONE

Lo si legge un po' dappertutto: Il deserto dei Tartari è un romanzo sull'attesa, sul logorante scorrere del tempo che, implacabile, risucchia giorni, mesi, anni. L'ufficiale Drogo consuma la propria esistenza in attesa di un evento al contempo simbolico e chiarificatore, in grado di conferire senso al suo cammino terreno. Un senso che tuttavia sfugge a mano a mano che egli invecchia e vede accorciarsi davanti a sé un futuro che non è più sinonimo di alcuna promessa. I Tartari: popolo misterioso, che evoca passate letture, il mito di Gengis Khan e delle sue prodigiose conquiste; ma anche, volendo compiere un piccolo sforzo interpretativo, un monito di morte, giacché Tartaro, nella cultura cristiana, acquisisce nei secoli il significato di inferno. E quindi cosa attende Drogo nei suoi lunghi anni di servizio alla Fortezza Bastiani? Chi sono, per lui, questi Tartari che minacciano il confine settentrionale dell'Impero? Nella riflessione trovo utile prendere spunto dal commento di Lorenzo Viganò (p. 232), che sottolinea quanto Buzzati abbia meditato sul finale del romanzo, persuadendosi infine a modificarlo. Se nel progetto iniziale, infatti, i Tartari non arrivano e la vita del protagonista si spegne senza alcun sussulto, nella versione definitiva e infine pubblicata assistiamo a un paradosso: il nemico giunge finalmente da nord, ma Drogo è ormai consumato dalla malattia e impossibilitato ad affrontarlo. Ricevuto l'ordine di trasferirsi in città, lontano dal fronte, egli non ha nemmeno il tempo di completare il suo ultimo viaggio, e muore, solo, in una locanda a metà del percorso. Qui però -e sono pagine drammatiche - avviene il riscatto che nessuno, nemmeno Drogo, poteva aspettarsi. È l'incontro con la morte, che arriva come un ospite atteso ma che bussa all'improvviso, in anticipo, perché ciascuno di noi è sempre inconsciamente convinto di avere ancora tempo (anche se non è chiaro fino in fondo per cosa). Drogo affronta la prova estrema "da soldato", guardando la morte in faccia con la fierezza di chi sa che, in fin dei conti, ha vissuto onestamente ("Dopo tutto la coscienza non è troppo pesante - pensa in quegli ultimi istanti - e Dio saprà perdonare"); e soprattutto accetta quello che è il destino di ogni creatura vivente senza ribellarsi, senza avvertire più il peso delle frustrazioni terrene. Non si tratta, si badi, di vile rassegnazione: tutt'altro! In quell'istante - ma solo in quell'istante - tutto si chiarisce, e la vita non appare più come una corsa, vana, all'inseguimento di una chimera. Drogo se ne va con dignità, avendo compreso che la vera battaglia non è quella contro i Tartari, giacché il nemico è il tarlo che rode l'anima ingenuamente protesa verso l'evanescente gloria umana. E se il senso della vita fosse la vita stessa? Se la morte è l'implosione di ogni senso, una spugna inumidita che cancella d'un tratto tutto quanto abbiamo scritto sulla lavagna dei progetti, il significato dell'esistenza è racchiuso precisamente nel modo in cui affrontiamo l'ultima prova. Drogo lo fa con un sorriso, pago della propria condotta onesta all'insegna di un istintivo e innato senso del dovere. Il coraggio, quello vero, si misura lì, nell'istante ultimo, quando tutte le meschinità e le ambizioni terrene si rivelano nella loro intrinseca piccolezza. "Ci mise tutto l'animo suo, - scrive Buzzati -in uno slancio disperato, come se partisse all'assalto da solo contro un'armata. E subitamente gli antichi terrori caddero, gli incubi si afflosciarono, la morte perse l'agghiacciante volto, mutandosi in cosa semplice e conforme a natura. Il maggiore Giovanni Drogo, consunto dalla malattia e dagli anni, fece forza contro l'immenso portale nero e si accorse che i battenti cedevano, aprendo il passo alla luce" (pp. 213-214).

[RECENSIONE A CURA DI GIGIMALA]

 

Autore Dino Buzzati
Editore Mondadori
Pagine 300
Anno edizione 2021
Collana Oscar moderni. Cult
ISBN-10(13) 9788804735106
Prezzo di copertina 14,50 €
Prezzo e-book 8,49 €
Prezzo audiolibro 5,56 €
Categoria Contemporaneo - Attualità - Sociale - Psicologico