SINOSSI
Brillante studentessa di provincia vincitrice del soggiorno offerto da una rivista di moda, a New York Esther si sente «come un cavallo da corsa in un mondo senza piste». Intorno a lei, l'America spietata, borghese e maccartista degli anni Cinquanta: una vera e propria campana di vetro che nel proteggerla le toglie a poco a poco l'aria. L'alternativa sarà abbandonarsi al fascino soave della morte o lasciarsi invadere la mente dalle onde azzurre dell'elettroshock. Fortemente autobiografico, La campana di vetro narra con agghiacciante semplicità le insipienze, le crudeltà incoscienti, gli assurdi tabù che spezzano un'adolescenza presa nell'ingranaggio stritolante della normalità che ignora la realtà. Include sei poesie da Ariel.
RECENSIONE
Che non si incorra nella malsana e ottusa opinione di inserire gli scrittori dentro una cerchia univoca, come se tutti fossero capaci di scrivere qualunque cosa e cimentarsi in qualunque genere. Se vogliamo parlare di impronta, alla base delle tante variabili possibili, esistono scrittori destinati alla prosa e scrittori destinati alla poesia. Sylvia Plath è una poetessa. E lo è perché per lei non c'è nulla da inventare nella scrittura, con essa cerca soltanto di essere il traduttore più fedele di se stessa, avendo il dono di trasferire l'epifania, il sacro parto della mente, su fogli destinati ad essere squarciati dal suo crudo ed emozionante realismo. Ho sempre pensato che le più belle poesie non possano prendere forma fisica, che la loro nobiltà stia nel fluttuare dalla mente al corpo, destinate ad essere intrappolate nella voce misterica di una conchiglia, ma fortunatamente mi sbaglio e qualcuna ci riesce. Sylvia Plath è la folgorazione, oserei tingere questa parola nel colore storico-letterale e storico-letterario, nelle particelle universali e immense, nella femminilità tenera, tremenda e tremante. Se partiamo da tutto questo, allora io credo che la poesia di Sylvia Plath sia di più quanto sliricato ci possa essere perchè striscia insieme alla scrittrice sotto il fango del suo corpo, come un verme che cerca il buco della terra per entrare nelle sue stesse viscere. La forma del contenuto poetico diventa solenne perché nobili sono i suoi sentimenti, ma la scrittrice è investita dal fango, è macchiata dalla sua primigenia forma di bruco ed è solo un inesorabile ciclo naturale a far diventare le sue poesie divine farfalle, non esiste nessuna menzogna, non esiste nessun artificio retorico. Questo romanzo mi ha stravolto perché mi ha fatto capire come la Plath non si sia mai sentita farfalla nella sua vita, neanche per un attimo, e mi commuove molto pensare a che capolavori riesca a creare il dolore di un bruco. Ho conosciuto Sylvia Plath leggendo prima i suoi Diari e poi le sue poesie, più o meno tre anni fa in questo periodo. A quel tempo la cercai perché iniziava l'estate e io avevo bisogno di un riparo dalla presunzione del sole. Adesso l'ho ricercata perché volevo la compagnia di una donna vera, qualcuno che mi sorridesse debolmente, con il corpo sporco di una terribile umanità e che avesse capito che nella vita si parla di "vuoto" solo per dissimulare e non sentire la vertigine che apre al terremoto psichico della tenerezza.
La campana di vetro è una solitudine che stramazza. Ha una razionalità raggelante e, nel mio soggettivo e debole parere, credo che la scrittrice volesse cercare la verità più profonda del suo dolore. La scrittura è da intendere come archeologia, mentre il romanzo non è nient'altro che emergenza, un'esigenza carnale, non c'è sperimentalismo, nessuna prova di narratività; penso davvero sia nato soltanto dall'urgenza del caso. Se volessi prelevare un segmento, solo un piccolo pezzettino di tutto questo romanzo, cercando di ricostruire un quadro filologico che potesse poi rispondere alla totalità del testo, io farei affidamento all'entfremdung (alienazione, straniamento): tema concepito nell'800, ma protagonista indiscusso del Novecento e che in Sylvia Plath sembra quasi aver preso struttura ossea in quel dualismo cartesiano che non trova pace. Questo tema è diventato un vero e proprio catalizzatore letterario di dispersione quando gli scrittori hanno cominciato ad avere fede nell'abbandono e ad intraprendere questa nuova via di pellegrinaggio. La nausea, tra tutte, è forse la sensazione più forte che la scrittrice mi abbia trasmesso. In questo romanzo l'autrice cambia prospettiva e prova a guardare, questa volta, l'interno dall'esterno, intenta a scavare spiegazioni su spiegazioni, con una ferocia animalesca e una naturalezza selvaggia di chi, con le parole, sta cercando terra.
[RECENSIONE A CURA DI MIRIAM DI MICELI]
Autore | Sylvia Plath |
Editore | Mondadori |
Pagine | 228 |
Anno edizione | 2017 |
Collana | Oscar moderni |
ISBN-10(13) | 9788804670339 |
Prezzo di copertina | 12,50 € |
Prezzo e-book | 6,99 € |
Categoria | Realistico - Cronaca - Saggi - Biografia |
Commenti
Ciao, grazie mille, mi fa molto piacere che ti sia piaciuta. Mi rendo conto di quanto possa essere difficile approcciarsi a questa autrice, devi sceglierla, non arriva da sola. Se mi permetti ti consiglierei lo stesso percorso letterario che ho intrapreso io, esclusivamente per entraci dentro il più possibile, quindi, se hai voglia, prima leggi i Diari, poi qualche poesia e per ultimo buttati su questo romanzo. Ma è solo un mio consiglio, anche un processo inverso non cambia nulla, il puzzle lo componi lo stesso. Buone letture allora e grazie ancora