Ho finito la lettura di questo romanzo di più di ottocento pagine.
Molto difficile parlarne senza incorrere in banalità. ci provo e già mi scuso.
I demoni sono dentro agli innumerevoli personaggi del sottosuolo. Ognuno ha i suoi, ognuno deve farci i conti. Non è possibile qui descriverli tutti, ognuno con le loro peculiarità. Dostoevskij ancora una volta vuol fare i conti con se stesso, con i suoi innumerevoli problemi esistenziali che spaziano dal suo conflitto religioso: ateismo e credenza in Dio. Moralità o amoralità, pazzia mentale o coscienza di sè.
Su questo argomenti Dostoevskij crea e fa agire i suoi personaggi e non risparmia nessuno.
E' a Nilolaj, uno dei personaggi più inquietanti, che l'autore incarica di svelare un segreto che è proprio di Dostoevskij, "lo stupro" lo chiameremo oggi, di una ragazzina adolescente.
Nikolaj si reca a fare la sua confessione presso Tichon, un santone che vive in un monastero. Importante la nota in testa al capitolo: "Questo capitolo non compare nell'edizione a puntate (1871 - 1872) su il Messaggero russo, perchè l'editore si rifiutò di pubblicarlo. Il capitolo che venne poi ritrovato fra le carte dello scrittore nel 1922 venne subito pubblicato. e lo si reinserisce considerata la sua centralità dell'opera, nella posizione in cui lo stesso Dostoevskij aveva intenzione di metterlo.
Alcuni critici hanno considerato questo fatto come realmente accaduto all'autore.
Nicolaj confessa i suoi "delitti" le suo depravazioni e lo fa attraverso fogli scritti da lui e portati alla lettura di Tichon. Nicolaj però non accetta in consiglio di Tichon, cioè di ritirarsi in un concento e farsi monaco per espiare. Egli preferisce restare nella società e subire il disprezzo degli uomini pubblicando quei fogli. Ma e questa è la risposta di Tichon:
"Prima di aver pubblicato quei fogli, prima del gran passo, vi precipiterete a compiere un nuovo crimine come unica via d'uscita per evitare di rendere pubblici quei fogli".
Nel romanzo c'è anche un capitolo molto spassoso che riguarda la "festa" nella cittadina e che il nostro cronista riporta con abbondanza di particolari e minuziosa descrizione. Mi ha ricordato il Maestro e Margherita, all'inizio quando Woland compare in teatro.
Dostoevskij pone ancora una volta, come in altri suoi romanzi, la differenza fra la pazzia o lo stato di coscienza dei suoi personaggi. Da cosa sono spinti nelle loro azioni peggiori? Qui Nicolaj è pienamente cosciente e si riconosce ahimè per quello che è, anche mal sopportandosi.
Qui non c'è il pentimento di Rascolnikov, ne la sua voglia di espiazione. Non tocca a Nikolaj personaggio negativo il perdono che non chiede. Neppure a Petr Stefanovic, il sobillatore bugiardo, cinico e crudele che molta colpa ha dei fatti disgraziati che accadono in questo racconto, toccherà la pena. Egli scompare e di lui il lettore non sa più nulla.
Con questo romanzo io concludo la mia conoscenza con l'autore, del quale ho letto quasi tutto. Mi manca ancora Memoria di una casa dei morti, e qualche altro romanzo breve.
Ma ad ogni nuova lettura ritrovo sempre questo grande uomo attraversato da enormi conflitti irrisolti, che lui a differenza di noi aveva il coraggio di pensare e di mettere per iscritto in un modo romanzato perfetto.
"ESSERE! ESSERE E' NIENTE. ESSERE E' FARSI".
(Da "Come tu mi vuoi" di Pirandello)