Il tema del conflitto tra tradizionalismo modernità, nobiltà decadente e borghesia rampante, ammiratrice dei progressi tecnologici e delle innovazioni culturali è tipico della letteratura russa tra Ottocento e Novecento (pensiamo anche a Padri e Figli di Turgenev, o, su un piano più filosofico, ai Demoni di Dostoevskij). Questo romanzo non fa eccezione, la decadenza del ceto aristocratico incarnato dalla figura di Oblomov viene rappresentata, mettendo l'accento sulla sua indolenza, la sua totale goffaggine e disinteresse nei confronti delle attività pragmatiche ed economiche, perché tutta l'attenzione è focalizzata sulla contemplazione e il pensiero, anche se c'è da notare, che anche da quel punto di vista, non si riscontra un'attività coerente con il proprio spirito (legge pochissimo, non è interessato a esprimere i propri pensieri tramite la scrittura). Stolc è il suo contraltare, "l'uomo nuovo", la cui visione dell'esistenza coincide col movimento, il lavoro, la curiosità per ogni novità proveniente dal mondo. Eppure fra Stolc e Oblomov c'è stima reciproca e profondo affetto. Stolc, pur contestando apertamente il modo di vivere dell'amico, lo ammira, ne ammira la bontà, l'onestà, la purezza d'animo, e devo dire che ho apprezzato ciò in quanto smussa una dicotomia che forse avrebbe rischiato di risultare troppo estrema, schematica, caricaturale tra le due visioni del mondo o modi di concepire la vita.
Personalmente ho seguito la storia con molto trasporto e partecipazione perché fortemente immedesimato nella personalità introversa e contemplativa del protagonista, anche se ciò poi ha acuito l'amarezza per il finale (che non riporto nei dettagli onde non spoilerare troppo), in quanto avrei apprezzato il concetto secondo il quale, magari smussando gli aspetti più insani e radicali della sua personalità ma mantenendo la coerenza col suo spirito introspettivo, anche per le nature contemplative esisterebbe la possibilità di, di trovare un loro posto nel mondo, di raggiungere l'obiettivo di un'appagante forma di esistenza. Evidentemente ha prevalso il pessimismo insito nel carattere tragico che pervade la letteratura russa, unito probabilmente al fatto che la volontà di rappresentare il declino di un ceto sociale nella sua generalità, la nobiltà oziosa russa, abbia in qualche modo prevalso rispetto alla "simpatia" verso l'umanità e la profondità del personaggio nella sua singolarità, che invece viene come assorbita nel destino di un'intera classe sociale, condividendo con essa un destino che, come individuo, non avrebbe meritato. Mi sento di formulare un giudizio simile a quello mi son sentito di fare per le Notti Bianche (il mio romanzo preferito in assoluto), straordinariamente bello e coinvolgente, avrei preferito una diversa conclusione.