Complice la giornata odierna passata a letto malata, ho iniziato questo breve libro, con capitoli corti che incalzano la lettura; purtroppo ho una traduzione vecchissima, l'italiano è quasi incomprensibile, e questo unito al fatto che la narrazione è un lungo monologo mi rende la lettura meno scorrevole di quanto altrimenti sarebbe. Sicuramente si sente però tutta la disperazione del protagonista, disperazione che cambia di giorno in giorno: se infatti all'inizio gli sembra che il bagno penale sia una punizione ben maggiore che la ghigliottina, una volta che si avvicina il giorno farebbe di tutto per evitare la sua sorte. È un discorso che abbiamo affrontato anche con il libro del mese di novembre, ovvero di quanto l'ergastolo in realtà è una colpa ben più pesante della condanna a morte: nel primo caso passi la vita a scontare tutti i giorni la pena con la privazione della libertà e spesso ai limiti dell'umanità, nel secondo la pena si sconta nei pochi giorni d'attesa e nei pochi minuti dell'azione. Tuttavia la questione è ovviamente più complessa: come si fa a sentirsi in diritto a togliere la vita a qualcuno? E tutti i casi in cui innocenti vengono condannati a morte e aspettano anni, a volte con un esito negativo venendo effettivamente giustiziati, a volte con esito positivo, ma ormai che vita ti rimane dopo che hai passato anni nel braccio della morte? A questo proposito consiglio il nuovo libro-inchiesta di Grisham
"Incastrati. Storie vere e incredibili di condanne ingiuste
", ma da leggere a piccole dosi.
Comunque, per Hugo il tema della pena era molto importante, lo abbiamo visto anche leggendo insieme I miserabili, dove lo scrittore si sofferma molto sugli anni al bagno penale scontati dal protagonista e di come quel periodo abbia segnato la sua vita, visto che come viene detto anche qui, anche una volta scontata la pena dovevi continuare a mostrare in tutte le occasioni il documento che diceva che sei un ex-carcerato. Torna quindi anche qui, come anche nella discussione sul libro di novembre, il quesito sul ruolo educativo e punitivo della condannata: i lavori forzati mi sembra che di educativo non avessero nulla, lo scopo era umiliare il più possibile chi avesse commesso anche piccoli furti, avendo come conseguenza che questi poi diventavano veri criminali, dopo aver commesso furti a causa di una situazione di indigenza in cui erano e avere subito una pena non commisurata all'atto, rimarcando le ingiustizie sociali.