La prima parte del libro si svolge nell’arco temporale di un giorno ed una notte, un breve periodo in cui la protagonista nonché voce narrante riceve la visita della sorella e della nipote dodicenne. La Mawakami indaga con rapide pennellate lo stato d’animo dei tre personaggi di questa storia tutta al femminile. Ne analizza gli intimi turbamenti: la protagonista che insegue da sempre il sogno di diventare scrittrice ma fatica a pagare l’affitto e come la sorella lavora come “hostess” in locali serali, la sorella maggiore che ha l’ossessione per il proprio seno piccolo e rovinato dall’allattamento e l’adolescente Midoriko che da sei mesi comunica con la madre soltanto attraverso degli appunti su carta ed affida ad un quaderno i suoi pensieri. La figura centrale della prima parte potrebbe essere proprio la dodicenne Midoriko che si sente estranea rispetto alle sue coetanee in quanto non ha ancora avuto per la prima volta il ciclo mestruale, non comprende la scelta della madre di ricorrere ad un intervento di mastoplastica additiva ma, soprattutto, intuisce il dolore materno e si sente impotente di fronte ad esso. La stessa ragazza scriverà nei suoi appunti “fa molto male vedere qualcuno soffrire, la sofferenza è una delle cose più atroci che esistano al mondo”.
Il racconto prende una svolta in quella che potrebbe essere definita la “scena delle uova”, come in un altro suo romanzo “Heaven” (scena che si svolge in palestra), l’autrice inserisce tutti i protagonisti in un ambiente chiuso dove si svolge l’atto che racchiude il senso del tutto. Simbolica la rottura delle uova da parte di madre e figlia: uovo che rappresenta l’ovulo femminile fecondato di cui la ragazza parla nel suo diario, uovo che raffigura la maternità ed il legame genitoriale. Il rompersi delle uova sui volti, il colare dell’albume su pelle e capelli, infrangono la barriera che si era creata tra Makiko e Midoriko. Spettatrice silenziosa la voce narrante, altra figura femminile legata tramite legame di sangue, tramite un ovulo-uovo, a madre e figlia. Sullo sfondo i ricordi della madre delle due sorelle e la nonna, nessun uomo è protagonista di questa storia in quanto trattasi di un mero strumento per il concepimento.
La seconda parte del libro si snoda otto anni dopo ed è, inizialmente, meno scorrevole della parte precedente in quanto indaga maggiormente l’animo della protagonista alle prese con una scelta che le cambierebbe la vita: avere un figlio tramite fecondazione artificiale. Natsuko osservandosi nuda allo specchio dice di sé stessa “quella ero io, e quello era il mio corpo di carne che chissà da dove veniva e dove sarebbe finito”. Ormai vive di scrittura e si potrebbe pensare che abbia raggiunto il suo sogno ma in realtà il suo nuovo romanzo è in punto si stallo ed un grande “ma” riecheggia nella sua mente:
A poco a poco, riflettendo, a quel grande “ma” ero riuscita a collegare diversi pensieri. Pensieri che spesso assumevano sembianze concrete e mi osservavano da lontano. Sguardi fissi e opprimenti, che ormai da tempo mi costringevano a trascorrere le mie giornate in uno stato d’animo negativo, un misto sconosciuto di ansia, rabbia e sconforto.
Potrebbe un figlio darle effettivamente una ragione per cui vivere? Natsuko ha avuto un solo fidanzato all’età di vent’anni, era convinta che bisognasse a tutti i costi soddisfare il desiderio sessuale degli uomini.
Era come una convinzione istintiva, qualcosa che aveva preso forma dentro di me senza che me ne accorgessi. Era come se pensassi che fosse un mio dovere di donna dare piacere e appagare il desiderio dell’uomo che amavo.
Mentre cerca risposte, Natsuko conosce molte persone con cui si confronta su temi come la maternità, la solitudine, le relazioni tra uomo e donna e la condizione femminile nella società giapponese. I dilemmi etici nei confronti della fecondazione assistita occupano un bel po' di spazio, ma non sono il tema centrale: più che chiederci se sia giusto o sbagliato usare questa tecnica, la Kawakami vuole farci riflettere su cosa significhi venire al mondo, sul perché si decida di generare una nuova vita, e se ne valga la pena. Ci sono una miriade di altri temi, però: i rapporti tra donne nella stessa famiglia, tra luci e ombre, gli standard di bellezza e gli effetti che producono sui corpi non conformi, la difficoltà di crescere povere, l'asessualità.
È innegabile che siano molti i casi in cui il padre resta ignoto, almeno all’inizio. I bambini concepiti tramite fecondazione assistita non sono gli unici a non conoscere le loro radici. Basta citare il caso dei figli adottivi, o ancor di più quello dei neonati abbandonati. E comunque non è detto che le persone nate e cresciute in questi modi “alternativi” debbano per forza essere infelici.
Vorrei concludere il mio resoconto con questa frase in cui, secondo me, è racchiuso tutto il significato di questo libro profondo ed intimo: “alle 4.50 del mattino. Il primo vagito di un bambino è risuonato in questo mondo”.
"Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma"
(Cesare Pavese, Il mestiere di vivere)