La terza parte, parlando proprio degli aborigeni, la Davidson riporta una frase che ha sentito dire che trovo molto interessante "essere davvero civilizzati significa contrarre un disagio".
Che ne pensate?
Ottimo spunto di riflessione!
Innanzi tutto penso al concetto di
civilizzazione.
Per civilizzare si intende l'azione di rendere civile, incivilire, portare un popolo a un grado più alto di civiltà, a condizioni di vita sociale, materiale, spirituale più evolute ma anche di renderlo meno rozzo, nel carattere, nei modi, nel comportamento.
Secondo me il processo di civilizzazione può essere
attivo (se una popolazione sente spontaneamente l'esigenza di una maggiore civilizzazione e quindi intraprende autonomamente un percorso socio-culturale che negli anni introduca i cambiamenti di cui sopra) oppure
passivo (cioè imposto da terzi).
Purtroppo la storia ci insegna che in Australia, così come in Africa e in America, le popolazioni autoctone hanno dovuto subire un processo di civilizzazione imposto dagli occidentali o, in generale, dai colonizzatori (pena l'isolamento o peggio ancora la morte).
La domanda che mi sono posto più volte è perché farlo? Perché snaturare popolazioni autoctone abituate da centinaia di anni a vivere in un certo modo, secondo tradizioni, usi e costumi che li caratterizzano profondamente? Perché obbligare loro ad omologarsi al nostro concetto di civiltà?
Probabilmente molte tradizioni, usi e costumi delle popolazioni autoctone ed il particolare modo di vivere a stretto contatto con la natura che li contraddistingue, appaiono incivili ai nostri occhi. Siamo abituati a vivere in modo nettamente diverso. Il loro stile di vita si coniugherebbe/integrerebbe male con la nostra idea di società.
Tuttavia difficilmente si è cercato un confronto con il diverso (anche per ragioni di natura linguistica) scegliendo spesso la via più veloce, quella della forza, che ha portato gli autoctoni a perdere diritti su una terra che hanno abitato per centinaia di anni prima del nostro arrivo.
È così che il concetto di civilizzazione secondo me si lega a quello di
disagio, inteso come quel senso di pena e di inadeguatezza provato principalmente da chi subisce il processo di civilizzazione, per l'incapacità di adattarsi ad un ambiente, ad una situazione, ad un contesto che non gli appartiene ma provato anche da chi, con un minimo di empatia, si cala nei panni delle popolazioni autoctone che hanno visto arrivare uno straniero potente e prepotente a togliergli ogni certezza.
La cosa triste è che spesso la civilizzazione passiva è stata attuata mediante azioni assolutamente incivili. Non è stato accettato il diverso e si è scelto di cambiarlo o peggio ancora di isolarlo.
Forse sarebbe diverso se la volontà di civilizzarsi nascesse dalle popolazioni autoctone, in questo caso dagli aborigeni (civilizzazione attiva).
Tuttavia credo che il disagio rimarrebbe ma potrebbe essere visto come il prezzo da pagare per passare da uno stato di civilizzazione inferiore ad uno superiore, con l'inevitabile perdita di gradi di libertà. Forse è proprio quest'ultima la chiave di lettura che più si avvicina all'idea dell'autrice.