Anch'io ho finito da qualche giorno la lettura e mi sono preso del tempo per riflettere sulla personale esperienza che l'autore ha voluto condividere con i propri lettori. Debbo dire che qui l'autore è riuscito a prendermi per mano e accompagnarmi un po' alla volta nel cuore delle sue vicende e in questo viaggio così personale e intimo ho vissuto da spettatore le esperienze dolorose. L'ho trovato a tratti commovente. Qualche citazione non sembra però del tutto originale, senza comunque togliere spessore all'insieme. Un esempio fra tutti il richiamo a elementi noti: "siamo nani su spalle di giganti...per questo riusciamo a vedere più lontano di loro", una citazione che, usando parole di Elena, direi di newtoniana memoria.
Il tema del suicidio si fa strada lentamente in modo lucido, razionale, senza orpelli emotivi che ne enfatizzino gli aspetti, lasciando al lettore intatta la propria immagine costruita dei fatti narrati.
Sono d'accordo con @petre sulla libera scelta di andarsene. Credo che sia un gesto estremo di profonda coerenza con se stessi se la vita non offre altro che pura sopravvivenza a un tormento interiore che non ha pace. Certo, il gesto in sé stride con il valore della sacralità della vita al quale la maggior parte si ispira ma non posso anteporlo al valore che reputo più alto di autodeterminare la propria esistenza e porvi fine se le condizioni estreme della vita non offrono altra scelta. In questo caso sono io che scelgo e non altri. C'è una bella differenza.
Il termine sopravvivenza lo considero distinto dal termine vivere, riconoscendo al primo un'accezione passiva, omologante alla vita, una sorta di appiattimento, un continuare a campare e non come atto creativo, intenso, emotivo a opera di soggetti pienamente senzienti che associo invece al secondo, ed è per questa ragione che non vedo quel cinismo di cui parla @Mattia p, al contrario, credo che la consapevolezza del dolore vissuto dall'autore attraverso il dramma della madre lo abbia indotto comprensibilmente ad afferrare il significato del termine sopravvivenza nel senso che qui ho richiamato. Egli tenta di superare il dolore, che la vicenda familiare gli procura, con distacco emotivo per ridurne il peso e soprattutto quell'eredità materna racchiusa nelle poche righe dove egli è chiamato in causa:
Voglio, invece, che tutti sappiano CHE HO SCELTO IL IL MOMENTO: è l'ultima vanità, di pavesiana memoria; Roberto mi capirà.
Nonostante gli sforzi l'autore non riesce però a svuotarsi del tutto da questa amara eredità come se la madre lo avesse in essa bloccato; non raggiunge nemmeno la catarsi tanto auspicata ma sospende per il momento quell'autoconvincimento del comune destino che lo attende per amore del figlio e per la vita che scorre riflessa nei suoi occhi dove il mondo riesce per lui ancora una volta a ridipingersi. Questo credo sia un tentativo forte di riaggrapparsi alla vita, non certamente uno sguardo indifferente su di essa, pur se distaccato per le dolorose vicende vissute.
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