Mercoledì, 31 Dicembre 2025

Febbraio 2023 - L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello

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02/02/2023 07:51 - 02/02/2023 07:52 #62188 da silviArki
Continuo nella lettura e, pur non amando i saggi ed essendo partita un po’ disorientata per l’argomento di cui trattava, mi sto appassionando sempre più grazie anche alla scrittura fluida e semplice dell’autore.
Mi hanno colpita molto due definizioni di cui ritengo si potrebbe parlare per ore.
La prima è relativa al pensiero del filosofo Hume, il quale afferma: “la grottesca riduzione di un uomo a puro flusso incoerente di mutamenti non collegati” potrebbe essere applicata, come afferma lo stesso autore, a queste persone che dimenticano anni della loro vita e vivono nel passato? Secondo me si, in fondo in alcuni momenti della nostra vita, anche senza amnesia, noi siamo semplicemente degli esser che vengono “trasportati” dal quello che ci succede senza possibilità di azione.
Il secondo pensiero che mi vorrei riportare è quello del russo Lurija, il quale afferma che “un uomo non consiste di sola memoria. Ha sentimento, volontà, sensibilità, coscienza morale... È in queste cose... che lei può toccarlo e vedere un profondo cambiamento”. Nei primi due racconti si percepisce come questi “pazienti”, nonostante vivano nel passato o comunque non abbiamo una reale percezione della realtà che li circonda, ma possono trovare un loro equilibrio tenendo la mente occupata su quello che maggiormente tocca la loro sensibilità e provoca in loro delle emozioni (nei primi due racconti arte e musica).

"Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma"

(Cesare Pavese, Il mestiere di vivere)
Ultima Modifica 02/02/2023 07:52 da silviArki. Motivo: aggiunto caporiga
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02/02/2023 16:27 #62193 da pescanoce
Buongiorno a tutti, sono nuova e mi permetto di infilarmi nella discussione. Ero da tempo incuriosita dal titolo di questo libro e sono contenta di aver trovato con voi lo stimolo per leggerlo. Anche io tendo un po' a sottovalutate la saggistica perché parto dal pregiudizio che sia troppo difficile da affrontare dopo una giornata di lavoro.
e inoltre pure io, da brava ipocondriaca, devo concentrarmi per evitare farmi prendere dalla paura delle malattie!
Apprezzo molto l'approccio di fondo e la scelta dell'autore di parlare del malato più che della malattia, dell'individuo più che del "caso di studio". Tempo fa avevo sentito parlare di "medicina narrativa" e forse si tratta proprio di questo filone di ricerca e di divulgazione. 
Trovo molto affascinante questo matrimonio tra scienza dura e filosofia che fa l'autore. Sono proprio queste malattie che toccano la coscienza di sé che non possono che farci chiedere "chi sono? Chi siamo?". Sacks non mi sembra che ci dia risposte ma che piuttosto ci inviti a interrogarci senza mai scendere nel riduzionismo né indulgere troppo nel metafisico. 
Ho per adesso letto la prima parte. Non ho potuto non pensare all'aforisma di Gabriel Marcel "je suis mon corps "... chi sono io però se io non sento più il mio corpo, se io non sono più il mio corpo?

 
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03/02/2023 04:38 - 03/02/2023 04:46 #62198 da Francis

silviArki post=62188 userid=6944
La prima è relativa al pensiero del filosofo Hume, il quale afferma: “la grottesca riduzione di un uomo a puro flusso incoerente di mutamenti non collegati” potrebbe essere applicata, come afferma lo stesso autore, a queste persone che dimenticano anni della loro vita e vivono nel passato? Secondo me si, in fondo in alcuni momenti della nostra vita, anche senza amnesia, noi siamo semplicemente degli esser che vengono “trasportati” dal quello che ci succede senza possibilità di azione.
 

L'argomento Hume mi punge sul vivo!
Al liceo fu una delle discussioni peggiori con il mio (bravissimo) prof di Filosofia, alla fine della quale lui mi consigliò, se avessi studiato materie umanistiche all'Università (com'è stato), di scegliere percorsi che prevedessero il minor numero possibile di esami di filosofia, appunto! 
Questo perché io non ero solito accogliere i filosofi nell'idea di "percorso", di "storia della Filosofia", ma li dovevo per forza contestare confrontandoli con l'attualità e con il mio modo di pensare. 
Però sono molto lieto che Oliver Sacks la pensi esattamente come me!
Riprende l'idea del fascio di impressioni di Hume nel capitolo XIV, che ho letto proprio ieri. E scrive: 
"Questo naturalmente non vale per un essere umano normale, poiché egli possiede le proprie percezioni. Esse non sono un semplice flusso, sono sue, unite da un'individualità duratura, o ".
Io dicevo al mio prof, a scuola: "Ma se io sono qui al liceo, la mia casa dove c'è la mia famiglia non scompare solo perché non la percepisco. Intanto il concetto di "realtà" è al di fuori di noi. Quando ritorno a casa, dopo la scuola, quella è lì. Io non sono un fascio di impressioni e percezioni di quello che mi circonda nell'aula di un liceo, ma sono un individuo fatto anche di memoria e ricordi (l'individualità di Sacks), perché la realtà esiste fuori da noi e a prescindere da noi. Se fossi solo un fascio di prcezioni, perché allora poi tornerei a casa ogni giorno, quali sarebbero i collegamenti che mi rendono individuo?"
Cioè, Hume parlava dell'essere come esistenza fisica nel momento attuale: io adesso esisto perché percepisco il computer, la sedia, il mio studio, il Forum del Club... Ma non si può non tenere conto di tutte le componenti che costituiscono una persona.
"Noi siamo la nostra storia", come dice Sacks in un altro capitolo poco prima del XIV. 
 

...in medio stat virtus...
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03/02/2023 13:11 #62201 da bibbagood
Ho letto la prefazione e la parte introduttiva alla prima parte e mi ha ricordato un tema affrontato con trasporto all'ultimo incontro del gruppo di Cosenza, dove, a partire dalla discussione sul libro di Tolstoj "La morte di Ivan Il'ic", abbiamo a lungo parlato di come ancora oggi spesso le malattie "silenti" non siano ancora propriamente considderate, spesso gli stessi medici non prendono sul serio i sintomi, perchè la malattia non si rispecchia in sintomi evidenti o in valori sballati; e qui Sacks ci spiega come infatti la neuropsicologia sia incredibilmente una scienza molto recente, proprio perchè prima non si dedicava attenzione o non si avevano elementi per affrontare questo tipo di malattie. Mi ha fatto anche pensare quando dice che nell'Ottocento si faceva più attenzione al caso clinico e alla storia del paziente, mentre nel 900 negli articoli di medicina, nei progetti di ricerca, sono importanti solamente i numeri, per ptoer fare grafiici e statistiche. Sacks dice che questa tendenza sta di nuovo un po' cambiando (quando scriveva), ma non so, è un argomento di icui avevamo parlato anche al gruppo di lettura e in realtà a noi sembra che per vari motivi (tra cui la responsabilità legale) i medici continuino a preferire dedicarsi a malattie o casi dove è abbastanza chiaro qual è il problema, mentre per casi meno chiari continua a esserci spesso la tendenza che il paziente non viene creduto o in generale si preferisce fare tentativi un po' alla cieca, invece di prendersi del tempo per analizzare per bene la storia del paziente.

"Il solo mezzo di sopportare l'esistenza è di stordirsi di letteratura" Gustave Flaubert
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03/02/2023 18:18 #62207 da Giami23
Credo che la tua osservazione Bea non si discosti molto da ciò che accade, purtroppo.
Come in ogni cosa e in ogni campo anche nella medicina tutto ruota intorno al denaro. Le risorse sono fondamentali per la ricerca per cui per decidere dove si necessita di maggior investimenti bisogna guardare ai numeri e alle statistiche. E inevitabilmente, nonostante a chi lavora in questo campo si insegna che non bisogna mai ridurre il paziente né a un numero né ad una patologia, la realtà poi è ben diversa. 
Ormai anche gli ospedali, gli enti di ricerca ( e ovviamente le case farmaceutiche) ragionano come aziende e nell'ottica dell'ottimizzazione dei centri di costo si investe poco sulla ricerca e sul servizio di alta qualità specifica.
Più quantità. È questo che mi sento chiedere ogni giorno a lavoro. Ormai i pazienti non sono altro che numeri o meglio valuta ( chi lavora in questo campo sa bene come negli ultimi anni si è incrementato il numero di ore settimanali con attività in libera professione per arrotondare lo stipendio a mio parere magro. Che dire poi dei famosi gettonisti che rendono spesso un servizio scarso ed incompetente con turnistica al limite della legalità.). Poco importa se questo comporta minor tempo da dedicare al paziente,  errori e disattenzione, esami con qualità ridotta a rischio di cure o diagnosi insufficienti o inappropriate. Per non parlare che si richiede di più a un organico ridotto con rischio per gli operatori di sviluppare cinismo e bern out. Figurarsi se c'è spazio per accurati studi in casi clinici particolari con sindromi difficili da inquadrare spesso per questo rimbalzati da uno specialista all'altro o da un ospedale all'altro.
Non fraintendetemi non è tutto così. Ci sono cose che funzionano e anche molto bene, operatori dotati di grande empatia e professionalità in qualsiasi circostanza. Ma quando i problemi si affrontano nella maniera sbagliata il risultato è che tendono a dilagare e a generarne di nuovi.
È normale e giusto dover ottimizzare le risorse, il problema è che non c'è ottimizzazione se si mina la qualità e si sperperano i fondi lì dove non si dovrebbe. 
Si finisce per spersonalizzare il paziente.
Sicuramente bisognerebbe unire alle statistiche (indispensabili per lo studio di patologie note,  dubbie, di rara insorgenza o misconosciute) l'attenzione e l'ascolto che l'essere umano merita. Ma a determinate condizioni è un equilibrio complicato da trovare e mantenere.

Sto proseguendo in questa illuminante lettura ma attendo ancora un po' nel commentare perché temo di spoilerare senza accorgermene visto che forse sono andata un po' troppo avanti.

“Interrogo i libri e mi rispondono. E parlano e cantano per me. Alcuni mi portano il riso sulle labbra o la
consolazione nel cuore. Altri mi insegnano a conoscere me stesso.”

(Francesco Petrarca)
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04/02/2023 11:00 - 04/02/2023 11:00 #62211 da Francis

Credo che la tua osservazione Bea non si discosti molto da ciò che accade, purtroppo.
Come in ogni cosa e in ogni campo anche nella medicina tutto ruota intorno al denaro. Le risorse sono fondamentali per la ricerca per cui per decidere dove si necessita di maggior investimenti bisogna guardare ai numeri e alle statistiche. E inevitabilmente, nonostante a chi lavora in questo campo si insegna che non bisogna mai ridurre il paziente né a un numero né ad una patologia, la realtà poi è ben diversa. 


 
Lo si insegna, perché è onesto, ma poi non si mette in pratica perché non è conveniente. 
Il discorso lo possiamo riportare su tanti ambiti del sociale. Anche le scuole ormai sono considerate come aziende: la scuola migliore è quella che offre più attività, che fa più numeri ed ha più iscritti, a volte anche a discapito della qualità. "Quantità": è questo il mostro.

Io sono già alla parte terza, perché questo libro mi ha conquistato, però volevo comunque commentare il motivo per cui la paziente del capitolo "Mani" si ritrova a non poter usare appunto gli arti superiori. Lo scrivo in spoiler:

Attenzione: Spoiler!


Incredibile! 

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Ultima Modifica 04/02/2023 11:00 da Francis.
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04/02/2023 11:02 #62212 da Cri_cos
Ho iniziato anche io a rileggere il testo di Oliver Sacks . Mi era stato consigliato mentre seguivo un corso per mediatori familiari  e lo lessi nel 2016 . Lo rileggo volentieri perché mi era piaciuto molto . 
nella nota 1 sotto il secondo racconto l'autore indica un film : prisoner of consciousness,  sapete se è  stato tradotto in italiano ?

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04/02/2023 11:19 #62213 da Giami23
Attenzione: Spoiler!

“Interrogo i libri e mi rispondono. E parlano e cantano per me. Alcuni mi portano il riso sulle labbra o la
consolazione nel cuore. Altri mi insegnano a conoscere me stesso.”

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04/02/2023 11:28 #62214 da pescanoce

L'argomento Hume mi punge sul vivo!
Al liceo fu una delle discussioni peggiori con il mio (bravissimo) prof di Filosofia, alla fine della quale lui mi consigliò, se avessi studiato materie umanistiche all'Università (com'è stato), di scegliere percorsi che prevedessero il minor numero possibile di esami di filosofia, appunto! 


Questo perché io non ero solito accogliere i filosofi nell'idea di "percorso", di "storia della Filosofia", ma li dovevo per forza contestare confrontandoli con l'attualità e con il mio modo di pensare. 
Però sono molto lieto che Oliver Sacks la pensi esattamente come me!
Riprende l'idea del fascio di impressioni di Hume nel capitolo XIV, che ho letto proprio ieri. E scrive: 
"Questo naturalmente non vale per un essere umano normale, poiché egli possiede le proprie percezioni. Esse non sono un semplice flusso, sono sue, unite da un'individualità duratura, o ".
Io dicevo al mio prof, a scuola: "Ma se io sono qui al liceo, la mia casa dove c'è la mia famiglia non scompare solo perché non la percepisco. Intanto il concetto di "realtà" è al di fuori di noi. Quando ritorno a casa, dopo la scuola, quella è lì. Io non sono un fascio di impressioni e percezioni di quello che mi circonda nell'aula di un liceo, ma sono un individuo fatto anche di memoria e ricordi (l'individualità di Sacks), perché la realtà esiste fuori da noi e a prescindere da noi. Se fossi solo un fascio di prcezioni, perché allora poi tornerei a casa ogni giorno, quali sarebbero i collegamenti che mi rendono individuo?"
Cioè, Hume parlava dell'essere come esistenza fisica nel momento attuale: io adesso esisto perché percepisco il computer, la sedia, il mio studio, il Forum del Club... Ma non si può non tenere conto di tutte le componenti che costituiscono una persona.
"Noi siamo la nostra storia", come dice Sacks in un altro capitolo poco prima del XIV. 

 

Anche io penso che sia giusto parlare discutere e litigare con i filosofi del passato... ovviamente "facevano quello che potevano", nel loro tempo e nel loro contesto, ma questo non significa che pur nella loro alterità non smettono di interrogarci e provocarci. Dal poco che ne so, il disinteresse verso il noumeno e il concentrarsi sul solo fenomeno ha portato, a mano a mano, a pensare che "non esistono i fatti, esistono solo le opinioni". So che qualche filosofo si sta opponendo a questa visione proponendo un "nuovo realismo", i fatti insomma esistono al di là delle mie percezioni. 
Parlando della identità personale, della verità e della realtà di ciò che io sono al di là e sopra il mio flusso incessante e mutevole di impressioni e sensazioni, leggendoti mi viene in mente che io esisto non solo nella mia coscienza ma anche in quella degli altri, nei loro ricordi, in quello che loro sanno di me.  Un me stessi al di fuori di come io percepisco me stesso c'è... certo ciò non toglie la drammaticità di una esperienza soggettiva di perdita di un sé che per tutti gli altri invece permane.

Comunque mi ricordo che anche il mio professore di filosofia amava stimolare discussioni accese... le più incandescenti però erano di argomento calcistico (una era terminata con una sciarpa della Juventus gettata dalla finestra).
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05/02/2023 10:09 #62217 da lettereminute
Ciao! A che punto siete della lettura? Vedo che molti sono molto avanti... in effetti sono casi clinici appassionanti! Io ho letto tutta la prima parte, "Perdite", che sta per essere compensata dalla seguente, "Eccessi". Ho trovato molto interessante il discorso di Sacks sul concetto di "deficit" come criterio-guida della neurologia del Novecento, mentre lui auspica lo sviluppo di una teoria a più dimensioni, che renda conto delle incredibili sfumature che nel suo lavoro incontra.

Un altro passaggio-chiave, che si incontra subito in introduzione, e che mi ha molto guidata nella lettura, è il suo intersse non solo verso la patologia in sé ma verso le forme di adattamento che l'essere umano di volta in volta si inventa, e in maniera del tutto inconscia. Direi che è proprio il caso dell'uomo che scambiò sua moglie per un cappello, che nonostante avesse delle percezioni completamente surreali andava avanti quasi come se niente fosse. E sia nel suo caso, sia in "Mani", come Francis, sono stata colpita dall'incredibile potere dell'arte, in un caso la musica, nell'altra la scultura, che hanno funto sia da àncora per il paziente che da mezzo espressivo, dimostrando come ci sia un'intelligenza vera e propria che le guida.

Mi torna in mente il discorso con Bea sui vari tipi di intelligenza che avevamo affrontato leggendo il "Diario di una scrittrice" di Virginia Woolf, che da donna di lettere puntava tutto su quest'unica arte... perché aveva una spiccata intelligenza linguistica, senza dubbio. Ma le intelligenze sono davvero molteplici e multidimensionali, e se è vero che l'arte si apprende e si perfeziona con la tecnica sembra esserci una sorta di "chiamata" che non possiamo ignorare, una preferenza che ha ragion d'essere perché se rispondi e cominci a praticarla, quest'arte, c'è poi un effetto valanga, come nel caso della donna di "Mani". 

Sul versante "ipocondria portami via", invece, il caso che ad ora mi ha fatto più impressione è quello della "Disincarnata".

Maria Chiara | Redattrice editoriale e per il Web | Social: @lettereminute
Anch'egli sarebbe invecchiato, anch'egli un giorno sarebbe dovuto morire [...]. Ma oggi egli era giovane, era un bambino, il nuovo Siddharta, ed era pieno di gioia. (Siddharta, Herman Hesse)
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Avatar di paolacelio61 paolacelio61 - 29/12/2025 - 11:31

Scusatemi ieri ho sbagliato ed addirittura confuso il giorno l'incontro era il 28 e non il 29. Quindi vorrei prepararmi per il prossimo mi dite dove posso trovare le informazioni, grazie.

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