Il libro è interessante soprattutto per i casi. Tendo a leggere molto velocemente gli aspetti più tecnici, sia perché mi annoiano sia perché penso che potrebbero ormai essere superati.
Sì, anche io quei passaggi tendo a scorrerli più velocemente. Da questo punto di vista il libro è stata un po' una delusione, nel senso che mi aspettavo fosse tutto molto appassionante, comprese le parti più tecniche, ma questo è dato dal fatto che le opere di Sacks sono molto osannate e quindi mi aspettavo qualcosa di travolgente dall'inizio alla fine.

Invece mi sembrano articoli scritti non per il comune lettore, ma per una platea di persone più simili a lui, per professione o per una buona preparazione filosofica. Non che mi dispiaccia leggere di filosofia, ma non sono molto ferrata e non gli sto dietro.
I casi sono comunque interessanti e le domande che fanno sorgere pure. In merito al dibattito "conoscenza o ignoranza" io sono un po' della parrocchia di Bea. Secondo me non sempre la conoscenza rende liberi, e lo dico da appassionata di (e lavoratrice della) conoscenza: non smetto mai di leggere né di studiare e credo fortemente nel suo potere. Ma bisogna vedere se sei emotivamente preparato per questa conoscenza, e se questa ti libera o ti paralizza. La conoscenza è il primo passo, e senza non vai da nessuna parte, fin qui sono d'accordo: ma senza azione, la conoscenza è solo conoscenza. Conoscere e non essere in grado di agire può essere molto frustrante e generare un'enorme quantità di infelicità e sofferenza. Penso che dipenda da caso a caso (ora sono curiosa di arrivare al capitolo XV).
Io ho riflettuto molto sull'argomento, avendo avuto uno dei miei nonni con una forma di malattia neurodegenerativa negli ultimi 10 anni di vita. Questi sono i casi più comuni, credo (Alzheimer e simili) e ti costringono a fartele, queste domande. Nel suo caso la malattia era quasi più impattante su chi gli viveva accanto: lui se ne è andato molto lentamente, e in maniera abbastanza pacifica. Mi sorprendeva sempre vederlo con la serenità e la curiosità di un bambino, nei pochi momenti in cui si svegliava per dire qualcosa. Non l'ho mai trovato grottesco, né mi angosciava. Sarà questo che ha influenzato molto la mia opinione a riguardo, che sicuramente è parziale: so per esempio che i farmaci hanno dato un buon contributo a questa sua serenità. Ma di sicuro c'era il fatto che non essendo conscio della sua perdita, non ne soffriva. Inoltre manteneva altre forme di conoscenza, più corporee o affettive (anche se mi salutava tre o quattro volte nel corso della stessa visita, era sempre felice di vedermi, e questo trasmetteva gioia anche a me, non so come spiegarmi).
@elis_ mi spiace che abbandoni la lettura ma lo capisco, ti sei spiegata molto bene. Anche io ci ho trovato un po' meno di quanto speravo ma vabbè, per me è il classico effetto di delusione da troppo hype. Dev'essere un libro che colpisce chi "risuona" particolarmente con l'autore: vedo Francis molto coinvolto nella lettura!