Eccomi! Ho iniziato anche io ieri e ho letto tutti i vostri post saltellando da una parte all’altra per evitare spoiler
Sono al capitolo 4 (da iniziare), quando il gruppo di viaggiatrici si sta formando.
Mi piace molto l’idea del viaggio terapeutico, in questo caso come cura dell’infelicità.
Viaggiamo per tante ragioni e per motivi diversi durante l’intero arco della nostra vita.
Ad oggi non mi è mai capitato di partire per curarmi dall’infelicità ma lo trovo molto sensato perché riconosco anche io il potere rigenerante, arricchente, stimolante e perché no, anche curativo dei viaggi.
Interessante anche lo spunto di riflessione che emerge già dai primi capitoli in merito al legame tra bontà e infelicità.
L’aver dedicato tutta la vita alla famiglia, al marito, ai lavori domestici, ai poveri, ecc. e quindi aver adempiuto a quelli che la società di quel tempo considerava i doveri di una donna (o presunti tali), non ha veramente permesso ad una delle protagoniste di dedicare del tempo a sé stessa, soprattutto considerando le vicissitudini familiari affrontate. E questo ha generato infelicità.
Questo mettere sempre gli altri davanti ai nostri interessi può diventare un problema.
Ad esempio, sul lavoro, a me capita spesso di passare l’intera giornata ad aiutare altri a risolvere criticità e problemi, o semplicemente a fare coaching/mentoring ma al termine della giornata, dovrei avere almeno un’altra mezza giornata di tempo per fare le mie attività. Questo mi porta in certi casi a dover fare due/tre ore di straordinari… Riflettendo su me stesso e sulla gestione del mio tempo, mi rendo conto che non è possibile essere sempre disponibili per gli altri ignorando i propri bisogni e le proprie necessità perché alla lunga davvero rischiamo di essere infelici. Imparare a dire no, gestire meglio il proprio tempo, è una cosa su cui credo sia importante lavorare in casi come questi. Gradualmente lo sto facendo e quando ci riesco mi sento più sereno. Questo però non basta e spesso ci ricasco… work in progress…
Altro aspetto particolare che ho notato è che spendere i soldi risparmiati per soddisfare un desiderio di viaggio per sé stessa genera un senso di colpa in una delle protagoniste.
Questo senso di colpa è parzialmente mitigato dal fatto che i soldi che spenderà, il marito li ha guadagnati scrivendo storie scandalose per quei tempi

Al netto di questa particolarità divertente, a voi è mai capitato di sentirvi in colpa nell’acquistare qualcosa che desideravate fortemente? Se sì, perché?
Prima di acquistarlo intendo. Dopo l’acquisto ci sta, sarà capitato a tutti almeno una volta. Si chiama incauto acquisto