Premetto che non si tratta di un piatto ma di un bicchiere di champagne, però riporto questa pagina di Pierre e Jean di Maupassant perché descrive benissimo quei sentimenti di tentazione, senso di colpa, piacere, vergogna e infine dolce abbandono che accomuna tutti i vizi, soprattutto il peccato di gola.
Si è a cena, e il figlio del signor Roland, il medico Pierre, prima dice al padre di non bere perché gli fa male, poi, visto che si stava celebrando un avvenimento che non svelerò, gli dice di fare come preferisce.
Ma papà Roland non beveva. Guardava il suo bicchiere colmo di vino luminoso e limpido, la cui anima leggera, pura e inebriante saliva dal fondo in bollicine rapide e fitte che evaporavano in superficie. Lo guardava con una diffidenza da volpe che trovi una gallina morta e sospetti una trappola.
[C'è uno scambio di battute in cui alla fine il figlio con indulgenza dà l'ok al padre]
Allora papà Roland alzò il bicchiere senza decidersi ancora a portarlo alle labbra. Lo contemplava dolorosamente, con desiderio e con timore; poi lo annusò, lo assaggiò, lo bevve a piccoli sorsi, assaporandolo, con il cuore pieno d'angoscia, di debolezza e di golosità, e infine di rimpianto, non appena fu vuoto.
[...]
Intanto papà Roland, di nuovo turbato dai fumi del vino, dimenticava già i consigli del figlio e guardava con occhio obliquo e tenero una bottiglia di champagne ancora quasi piena, accanto al suo piatto. Non osava toccarla per paura di nuovi rimproveri e cercava una malizia, una scusa per prenderla senza provocare nuove osservazioni di Pierre. Alla fine escogitò una semplicissima astuzia: prese con disinvoltura la bottiglia e tenendola per il fondo allungò un braccio attraverso la tavola; riempì per primo il bicchiere di Pierre che era vuoto, poi fece il giro degli altri e quando venne il suo turno si servì cominciando a parlare a voce molto alta, così se versò qualcosa nel suo bicchiere chiunque avrebbe giurato che aveva compiuto quel gesto inavvertitamente. Del resto nessuno vi badò.
Pierre, senza pensarci, beveva molto. Nervoso e irritato, portava di continuo alle labbra il lungo calice di cristallo dove si vedevano correre le bollicine del liquido vivo e trasparente. Lo beveva lentamente per sentire il fresco e leggero sapore del gas evaporare sulla lingua. A poco a poco lo invase un dolce calore: saliva dallo stomaco come un fuoco e invadeva le membra diffondendosi in tutto il corpo come un'ondata tiepida e benefica che dava gioia. Si sentiva meglio, più tranquillo e meno arrabbiato e l'idea di parlare al fratello quella sera stessa non gli sembrava più così urgente, non perché pensasse di rinunciarvi ma non voleva turbare subito il benessere che sentiva.