Il 28 Luglio 2025, Una Reggia di libri si è incontrata per comparare ognuno le proprie impressioni e riflessioni sul libro “Cecità” di José Saramago.Un libro che a prima vista lascia basiti per lo stile di scrittura completamente fuori dalla norma, dalla totale assenza di punteggiatura e formattazione comune dei dialoghi, ad eccezion fatta per virgole, punti e maiuscole: per qualcuno sono servite alcune pagine per abituarsi, altri hanno dovuto impiegare molto sforzo per leggerlo. “Cecità” catapulta il lettore nella società che viviamo tutti i giorni per poi spogliarla di ogni strato superficiale, con l’ausilio di una epidemia che definirà “cecità bianca, come un mare di latte”, fino a rivelare un atteggiamento egoistico insito nella natura umana, dapprima attraverso il percorso dei ciechi e successivamente del Governo. E proprio a detta di ciò, si è discusso come tale scelta di stile narrativo potrebbe aumentare la sensazione nel lettore di smarrimento che stesso i ciechi provano dal momento in cui vengono condotti al manicomio e lasciati abbandonati a loro stessi. Altro punto di riflessione è stata poi la cecità che si presenta di colore bianco, e non nera, come ad alludere ad un accecamento, il rifiutarsi di guardare la realtà.
“Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.”
Una frase emblematica del romanzo che esplica in modo preciso la visione di Saramago sulla società in cui viviamo.In tutto il libro, la cecità porta allo smarrimento fino a sfociare nella violenza egoistica; i personaggi non si chiamano per nome ma per mansioni o tratti caratteristici, come “l’autista del tassì”, “il bambino strabico”, o “il primo cieco”, marcando praticamente la perdita della propria identità soggettiva; l’unico personaggio rimasto immune al contagio dall’inizio alla fine è la moglie dell’oculista: ella si impegna ad aiutare i non vedenti, a dare un minimo di sollievo, una guida per i corridoi del manicomio. Questa donna rappresenta la speranza, quella a fievole luce che rimane nelle profondità d’animo, simboleggiando quelle persone pie che si prodigano ad aiutare il prossimo anche quando tutto intorno a loro sta cadendo in rovina.La vista può esser vista tanto quanto un dono che come una maledizione perché, quando il manicomio andrà a fuoco a causa dei “ciechi malvagi” e saranno costretti ad uscire nel mondo esterno, la moglie del medico sarà circondata dalla visione di una totale devastazione: morti per le strade, gruppi di ciechi che occupano case altrui, persone che si combattono l’un l’altro per appropriarsi di cibo. È interessante notare poi come un cane randagio, citato come “il cane delle lacrime”, rappresenti una consolazione per la moglie del medico che scoppia a piangere: una piccola nota dolce su come un piccolo gesto possa donar rassicurazione a un animo turbato e una sottolineatura al rapporto uomo-animale che spesso si basa su presenza e fedeltà. Nel finale, la cecità scompare esattamente come era comparsa, d’improvviso tutti guariscono senza alcuna spiegazione, e ciò comporta che, in modo inequivocabile, saranno costretti a vedere ed affrontare le conseguenze devastanti delle loro azioni. Alla fine del racconto si è deciso di prendersi una pausa per il mese di Agosto, dove magari ognuno leggerà un libro per sé e poi successivamente raccontarlo, e si è chiacchierato di quanto potrebbe esser interessante, dopo un libro sui ciechi, leggere un giorno un libro scritto da una persona non vedente. Curiosità: di questo libro di Saramago è stato prodotto un film omonimo, con attori interpreti Julianne Moore, Mark Ruffalo, Alice Braga e Gael Garcìa Bernal. A detta dei membri del club che l’hanno visto, rispecchia molto il romanzo.