Il 24 Ottobre il gruppo di Caserta "Una Reggia Di Libri" si è incontrato per discutere il libro intitolato "Il Morbo di Haggard"; letto da alcuni, solo pizzicato dai più, la discussione ha coinvolto anche l'opinione di chi non ha avuto modo di visionarlo, senza nemmeno troppa derisione né hanno dovuto pagare il conto per tutti (si scherza, tutti sono stati i benvenuti).
L'opera scaturisce dalla storia raccontata in prima persona dal/del Dottor Haggard, di professione medico, che mostra con la sua traduzione la città ove si è trasferito più di recente, nonché stralci del suo passato, in un eloquio ascoltato tanto da sé stesso, quanto da un uomo figlio di un suo amore passato. Il primo punto su cui più o meno si è stati d'accordo è la scorrevolezza dell'opera, la sua capacità di coinvolgere al punto da non badare alla punteggiatura, la creatività nella descrizione degli ambienti con cui ogni cosa vista dal protagonista è mostrata come viva, probabilmente anche per la morfina assunta (ma non da noi, dal protagonista si intende). Altro argomento di discussione è stato la storia in sé, un amore vissuto come estremamente passionale dal medico, molto meno dalla donna in questione, ma abbastanza da portare i protagonisti a mutare insieme al divenire stesso dei ricordi del protagonista; alcuni hanno fatto notare una passione non già vissuta con senso di colpa, tesi che poteva essere giustificata da una signora già sposata, quanto piuttosto vissuta con fissazione, a far pensare che il morbo indicato nel titolo fosse proprio inerente il processo di trasformazione succedutosi con il continuo ricordo di queste esperienze amorose travagliate, non più raggiungibili, ma ancora esageratamente desiderate, un morbo che, per le sue note molto "viscerali", rende l'opera "psicologica", e non è stato il laureato in Psicologia a dirlo. Il discusso si è orientato infine verso cifre stilistiche, metafore osservate, considerazioni su come la narrazione stessa ricalchi la metamorfosi del personaggio principale attraverso il cambiamento continuo del punto di vista temporale (qualità dell'opera non da tutti apprezzata), considerazioni sui personaggi in generale; ha fatto parte della cosa che la studentessa di medicina chiedesse al gruppo se qualcuno si è fatto venire attacchi di ipocondria durante la lettura, visto che nel libro si fanno riferimenti vari a malattie di varia natura: nessuno ha risposto positivamente ma non sappiamo quanti poi siano andati all'ospedale per una visita (i primi sospetti sono stati quelli de "io ho parcheggiato lontano"). Sono stati relativamente pochi i confronti con altre opere, con l'attualità, o con concetti non direttamente trattati nell'opera: si è rimasti per lo più "nel libro", sugli accadimenti, sul loro perché, su come andasse diviso il conto (si è fatto "alla romana" nonostante non ci fossero romani).
Volendo riassumere in estrema sintesi un'opinione dell'opera, visti i commenti principali fatti, possiamo descriverla come una narrazione in prima persona fatta molto bene, con città vive e coerenza spaziale ma non temporale, impostata come una biografia parziale di un uomo ossessionato da un amore fatuo con una donna sposata, annoiata eppure complice, ed infine pentita delle sue scelte di vita, che da un lato ha finito per ravvivarlo, e così lui vedeva infine la città quanto il circondario, ma dall'altro lo ha ammorbato, finanche a danneggiare psichicamente lui e chi le è stato attorno; è stato fatto notare l'ossimoro di un medico desideroso di fare della cura "un'arte", che ha poi scelto una donna maliziosa di cui innamorarsi in modo ambiguo e devastante, facendosi causa dei suoi mali.