Era un fresco pomeriggio di pioggia, quello del 12 gennaio, quando il gruppo di lettura La Marcia degli Elefanti si riunì all'Insigne Café per il consueto incontro mensile. Eravamo numerosi al grande tavolo, ormai familiare, del piano superiore del locale: erano presenti molti (purtroppo non tutti) dei pilastri del nostro gruppo e, per la prima volta, tre nuovi compagni di avventure letterarie, Marco, Anna e Danilo.
Giorgia, la nostra amministratrice, chiese proprio a loro di affrontare il classico "momento imbarazzante", cioè quello delle presentazioni. Se i nuovi arrivati, però, provarono imbarazzo nel presentarsi, non lo diedero a vedere. A differenza della sottoscritta: di lì a poco mi sarebbe toccato introdurre il libro di cui avremmo discusso, ed era la prima volta in assoluto.Per l'appunto, finite le tre presentazioni, Giorgia si rivolse a me: - Ok, Alice, introduci il libro di oggi.
Il libro oggetto della discussione era
Casa di bambola (o
Una casa di bambola, a seconda delle edizioni), una
pièce teatrale scritta dal norvegese Henrik Ibsen nel 1879. Una storia, divisa in tre atti, di riscatto femminile e di critica alle ipocrisie della società borghese del tempo. La storia di Nora, una donna in debito con l'avvocato Krogstad: denaro che a lei serviva per salvare il marito, il quale, però, una volta scoperto tutto, rimproverò aspramente la moglie, dopo averla trattata per otto anni come una bambina, una bambola, appunto. Storia che presentai, forse, con eccessivo entusiasmo: - Un libro scritto da un autore maschio dell'Ottocento che critica la condizione di donna subalterna? Wow, doveva essere mio!
Finita l'introduzione, lasciai, naturalmente, la parola al resto di noi. La prima voce che sentimmo fu quella della pioggia, che vedevamo imperversare fuori dalla finestra. Dopo qualche secondo, sentimmo la voce di Matteo. Disse che lo aveva trovato molto attuale perché aveva messo in luce le ipocrisie della società del tempo, come avrebbero concordato in seguito altri, come Antonio, Maria, Danilo e Giuseppe. Quest’ultimo criticò Nora per aver mancato d’altruismo verso la propria amica che le stava raccontando dei suoi momenti difficili: secondo lui sarebbe stato giusto vedere più solidarietà femminile. Paola, che aveva letto la sua prima pièce teatrale, era rimasta delusa dal finale, perché era seguito dallo sviluppo troppo repentino della protagonista. Angelo riteneva la personalità di Nora frutto di un contesto in cui lei era abituata a dover dimostrare di soddisfare determinati canoni, per ricevere, in cambio, amore dal marito.Diversi di noi concordarono sul problema dei tempi ristretti di narrazione. Ciccio ritenne Nora un’ipocrita perché aveva avuto sempre la stessa idea, per poi cambiarla quando le sarebbe convenuto, ovvero dopo la reazione del marito. Lucrezia gli rispose che in realtà Nora si era tenuta questo segreto per proteggere il marito, perché lo credeva un uomo tutto d’un pezzo, ma alla reazione di lui, arrabbiata prima e ipocrita poi - perché in seguito aveva deciso di far finta di nulla, per salvare le apparenze - Nora aveva visto la realtà della sua vita; ma Lucrezia convenne anche che il passaggio troppo breve aveva reso la scena della reazione di Nora poco potente. Francesca aveva trovato irrealistico il fatto che Nora avesse deciso di lasciare i figli all’improvviso, anche dopo aver dimostrato l’affetto per loro, nonostante fosse comprensibile il bisogno di ricominciare da zero. Anche Ezio, a questo proposito, convenne che Nora sembrava proprio non essere interessata a fare la madre, cosa molto moderna, disse lui, per i tempi.
Giorgia concordò con Lucrezia sul comportamento di Nora, che aveva portato avanti il rapporto con il marito perché ne aveva una grande stima. Ci mettemmo a ridere per il suo commento, ovvero sull'infuriarsi pericolosamente se fosse stata al posto di Nora. Giorgia concluse che non le era dispiaciuto il libro, ma nemmeno rimasto impresso. In quel momento, arrivò la risposta appassionata di Emanuele: era colpito dal fatto che un autore norvegese trattasse tematiche vicine a noi, quali la violenza femminile e quella domestica, e che dimostrasse quanto i paesi nordici, ritenuti da noi i più sviluppati e all’avanguardia, non fossero poi così diversi dal nostro. Sentimmo poi, per la prima volta, la voce sicura di Marco, che aveva trovato interessante l’epiteto “allodola” dato a Nora da suo marito, per indicare una creatura sciocca, nonché il fatto che lei fosse “passata” dalle mani del proprio padre a quelle del marito. Secondo Marco, stava proprio a indicare che venisse trattata come un oggetto e che qui la protagonista avesse pienamente realizzato il problema.Emanuele e Vincenth diedero vita a un vivace divario di opinioni: Nora aveva finto, per tutto quel tempo, nel suo ruolo di bambola… oppure no?
Anna e Lucrezia pensavano di sì: secondo loro, Nora aveva fatto tutto appositamente per far piacere al marito, finché non aveva raggiunto la piena consapevolezza di come il suo mondo fosse falso. Lucrezia, in particolare, sosteneva che a Nora interessasse soprattutto ricoprire un determinato ruolo, in quanto avere un ruolo significava far parte della società. Credeva, inoltre, che non era tanto l’amore a spingere Nora nelle sue azioni, quanto un senso di religiosità, ovvero l’immagine perfetta del marito e del mondo che la circondava; una volta crollata quest’immagine, Nora aveva perduto la “fede”. Un concetto davvero interessante, come convenne anche Marco, il quale stava, però, dalla parte di chi riteneva che Nora non fingesse. Marco rifletté che Nora poteva benissimo essere una persona frivola e, allo stesso tempo, provare un tormento per il fatto che lei venisse considerata non in quanto persona nella sua complessità, ma in quanto donna frivola, come se soltanto questo costituisse tutto il suo essere.
Giorgia chiese a Danilo cosa pensasse del testo. Sentimmo allora la voce pacata di Danilo dire che aveva apprezzato il libro, perché rappresentava la l’importanza che viene data al denaro e alla posizione sopra a ogni cosa, anche nella vita di coppia. Qui avvenne un altro dibattito, soprattutto tra Marco, Ciccio, Lucrezia e Giorgia, a proposito delle differenze dei bisogni primari tra la classe borghese e quella popolare. Il dibattito si divise tra chi sosteneva che il ruolo da mantenere e la sua funzione fossero bisogni primari, e chi credeva che invece altri bisogni di base, per la sopravvivenza, fossero tali, a seconda della classe a cui si apparteneva al tempo.
Infine, tutti concordarono che i nomignoli dati a Nora fossero detestabili, e che lei, in ogni caso, aveva dato tutto per il marito, senza che ci fosse un reale confronto tra i due per tutti gli otto anni di matrimonio. Vincenth riassunse il concetto con un’espressione colorita, che strappò una grossa risata a tutti i presenti.Così terminò la nostra riunione, la prima di questo nuovo anno, che, sperai, fosse stato così ben inaugurato con questa lettura. Di sicuro, la sessione di dibattiti e di commenti tutti diversi mi rese appagata e divertita. La prossima lettura, invece, sarebbe stata
Le streghe di Manningtree di A. K. Blakemore, proposta da Giorgia. Dato il titolo, si sarebbe prospettata un incontro magico.