Il libro del mese di gennaio, con cui abbiamo aperto il nuovo anno, era Il condominio, di J. B. Ballard, scrittore britannico considerato innovativo per i temi trattati nei suoi libri e forse anche "profetico". L'abbiamo letto come sempre separatamente, ognuno coi suoi tempi e i suoi riti di lettura, ma dopo - al solito - ci siamo poi confrontati collegialmente venerdì scorso, 24 gennaio, presso il caffè libreria Kalòs di Palermo. Non eravamo tutti presenti, bloccati dagli impegni di lavoro, famiglia, salute, ma c'eravamo comunque.
Vi piacerebbe abitare in un palazzo dove vi lanciano dal balcone bottiglie di champagne, vi ostruiscono la porta di casa con centinaia di sacchetti di putrescente spazzatura, vi annegano nella piscina comune il cane, vi aggrediscono la moglie uscita per fare la spesa, vi tolgono la luce per ore e ore costringendovi a confidare nei riflessi dei lampioni su strada, vi costringono a girare per le scale armati di bastone per proteggervi dai vicini, vi imbattete in personaggi improbabili che fino a poche settimane prima erano stimati dentisti, esimi cattedratici, noti archistar? Sicuramente no, eppure è questo il mondo protagonista del volume di Ballard, un grattacelo realizzato da un noto architetto, Royal, abitato (e destinato) solo dalla borghesia britannica, ma ben presto trasformatosi in una specie di inferno dantesco, al cui confronto l'originale pare un collegio di educande. Improvvisamente, per un episodio banale, quello che era un altezzoso e ben frequentato condominio di appartenenti alla middle e upper class si ritrova a poco a poco trasformato in una bolgia irredimibile, dove gli abitanti hanno abbandonato tutti i freni inibitori, fino a quel momento ben gestiti dal loro personale Super Io, per lasciarsi dominare dagli istinti bestiali e primordiali di un Es in libera uscita. E' l'anarchia più totale, il trionfo del selvaggio che è in noi, il regresso verso le pulsioni più primitive e ancestrali dell'animale-uomo rimasto sempre sopito, ma mai domo del tutto, nonostante secoli di civiltà e di buona educazione. E così progressivamente accade di tutto in quel condominio, mentre gli abitanti dei piani più bassi cercano di raggiungere faticosamente quelli più elevati, osteggiati dagli abitanti di questi ultimi. E per paradosso l'ascesa fisica dei primi corrisponde all'opposta, contemporanea discesa psicologica e comportamentale degli stessi verso i più bassi e primordiali istinti. Il percorso ascensionale che Wilder o Laing o gli altri personaggi del libro compiono verso i piani più alti, lì dove c'è l'aria più salubre, gli appartamenti sono rimasti integri, la corrente elettrica non manca e le donne sono più affascinanti e sofisticate, è narrato dall'autore con parole e stile tali da farci partecipare a questa fatica ascensionale, immaginata quasi come una salita a spirale su per una montagna infernale, moderni Sisifo costretti a muoversi di continuo verso l'alto, verso un'ascensione che non è solo fisica, ma anche metaforica, verso le classi sociali più elevate, fatta a tutti i costi, anche passando (letteralmente?) sul cadavere dei propri vicini, dei propri colleghi, dei propri amici e, perché no?, dei propri familiari. Il racconto procede a fatica, con angoscia, tornando spesso sulla stessa scena, magari vista da un altro punto di vista; e la fatica che compiamo nella lettura sembra quasi volerci trasmettere la fatica dei personaggi per salire in cima al palazzo.
Il condominio - il vero protagonista del romanzo, essere vivo, pulsante - è in fin dei conti un esperimento sociale, la metafora di una istituzione totalizzante alla Foucault, che ingurgita tutti i suoi abitanti, li mastica e li espelle trasformati in peggio. Essi, che all'inizio uscivano da casa per andare a scuola, al lavoro, a spasso, finiscono dapprima per desiderare di uscire dal palazzo per prendersi un "vacanza" dall'opprimente, fosco ambiente condominiale, per finire quindi per rimanervi invischiati per sempre all'interno, desiderando addirittura di non uscirvi mai più, contenti della scelta fatta.