Questo mese, dopo un anno e mezzo di tentativi, ad essere prescelto è un libro proposto da me, “Homo sacer – il potere sovrano e la nuda vita” di Giorgio Agamben. Un ripescato: non aveva superato la selezione di settembre ma, credendo fortemente nel suo potenziale, l’ho riproposto; una mia celata attività corruttiva, che qui confesso e nego al tempo stesso, e un generalizzato sentimento di pietà nei miei confronti hanno fatto il resto. Nei quindici giorni precedenti all’incontro non ho ancora iniziato, la spedizione del libro è in ritardo, e nel gruppo whatsapp girano non consueti commenti scomposti, irritazioni generali, suppongo anche virus (chiedere conferma a qualcuno): mi guardo intorno per scaricare la colpa della scelta, ma sono solo. Poi la nostra punta, Ciro, arriva a definirlo “chiummu” e “lettura complessa per l’arzigogolato argomentare”: mi sento con le spalle al muro, se Ciro si pronuncia in questo modo non posso uscirne vivo, sarò giustiziato senza processo. Leggo le prime 20 pagine e, invaso da una ritrovata inquietudine giovanile, amaramente mi confesso analfabeta funzionale. Continuo a tentoni, alla cieca, e continuo a non capire; mi fermo, cerco e ricerco, rielaboro un minimo, mi illumino e mi spengo, alla fine faccio quadrato, o meglio quadratino: c’è l’idea di fondo, quella luce che ti sorprende quando al liceo inizi a capire la lezione di filosofia, sei uscito fuori dalla caverna di Platone, però ti tocca studiarla per bene per saperne parlare. Il tempo per studiarla non c’è, sono le 21 del 27 ottobre e l’aria in camera è ferma, apro appena la finestra e inizia la nostra riunione, in videochiamata. Ci sono Ciro, Giuseppe, Alberto e Roberta, che vedo per la prima volta; dopo si unisce a noi anche Alessandro. Il tempo di rapidissimi saluti e subito, senza alcuna introduzione, mi mettono al bando. Ad attaccare è Roberta, che assume indiscutibilmente le vesti del potere sovrano: aspra critica sulla scelta con una potente vis polemica, una frase interrogativa volitiva – che non ammette una reale risposta - sul fatto di leggere le trame prima di proporre un libro. Bang, steso a terra in un angolo, senza possibilità di contraddittorio! All’orecchio il saggio Agamben mi sussurra: “caro mio, questo è il potere sovrano di cui ho provato a parlarti: non si esercita solo attraverso la creazione di leggi, ma principalmente attraverso la decisione che sospende le leggi, facendo dell’eccezione la sua vera regola; include in questo la “nuda vita o zoé” dell’individuo, la mera esistenza biologica, e la rende così soggetta al potere politico”. Mi sento indifeso, logoro, privo del mio appartenere alla comunità di questo club, anzi soggetto al volere indiscriminato dei suoi membri; non mi esprimo più come “bíos” (vita qualificata, politica, fatti di relazioni): sono un homo sacer, uccidibile senza che l’uccisore sia punibile e insacrificabile, non utile nemmeno come sacrificio in un rito religioso. Sempre lui: “sei nello stato di eccezione, un banale e scioccherello stato di eccezione. Questo rapporto tra sovranità e nuda vita, che stai patendo, è diventato, come ho provato a spiegarti nel mio testo, il paradigma biopolitico dominante nella modernità, di cui i campi di concentramento nazisti rappresentano il culmine”. La ringrazio, professore, ma non è di aiuto. In mio soccorso arriva Ciro che, rievocando la sua natura di principe del foro, indirettamente mi fornisce una difesa d’ufficio iniziando a riassumere il contenuto del libro. Dopo la sua esposizione e la mia, diverse le riflessioni avanzate, sia strettamente legate ad alcune parti del testo sia generalizzate sulla considerazione che abbiamo dei diritti inviolabili dell’uomo, sanciti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Faccio mea culpa reiterato per la scelta fatta e prometto di astenermi dal proporre libri per almeno un altro anno. I ragazzi mi risvegliano dal torpore filosofico, per fortuna non sono “nuda vita”; ci salutiamo programmando di rivederci, questa volta dal vivo, giorno 29 novembre. Intanto la nottola di Minerva, in volo tra Palermo e Zurigo, ci suggerisce che una scelta così tecnica non era sostenibile per un gruppo di lettura.
Un saluto dai gattopardi.