SINOSSI

Potente atto conclusivo di un viaggio nelle pieghe più profonde dell'Ucraina orientale, Il convitto dispiega davanti ai nostri occhi una guerra che l'Europa ha già dimenticato. Un giovane insegnante vuole riportare a casa il nipote tredicenne che vive in un convitto. Il fronte si avvicina e la scuola in cui la sorella ha lasciato il ragazzo non è più sicura. Attraversare la città richiede un'intera giornata e il ritorno diviene un'odissea rabbiosa scandita dai posti di blocco e dai fuochi gialli che lampeggiano all'orizzonte. Le mitragliatrici rantolano, le mine esplodono. Truppe paramilitari, cani randagi che appaiono come fantasmi tra le macerie, un'umanità apatica che brancola disorientata in un paesaggio urbano apocalittico, dove ogni gesto di malinconica fratellanza e il senso di responsabilità si stagliano con luminosità commovente.

RECENSIONE

Gli avvenimenti tragici che stanno interessando l'Ucraina in queste ultime settimane non sono certo quelli che l'autore e attivista Serhij Žadan sperava per il suo paese quando, nel finale de Il convitto, lo consegna metaforicamente nelle mani del ragazzino Saša, simbolo speranzoso di una nuova e promettente generazione. Pubblicato originariamente nel 2017 ed uscito in Italia nel 2020, Il convitto è ambientato nel Donbas, una regione dell'Ucraina orientale, durante la guerra separatista del 2014. In esso Paša, un giovane insegnante statale, intraprende un viaggio attraverso il fronte devastato e pericoloso della guerra, nella zona occupata dai separatisti e dalle truppe russe che li appoggiano. L'obiettivo è quello di recuperare il nipote Saša che risiede in un collegio presso il quale la madre, sorella di Paša, lo ha collocato. Ne Il convitto Žadan, che ha vissuto questi avvenimenti in prima persona, ci fornisce una prospettiva autentica della sofferenza della guerra attraverso le esperienze di personaggi che, se pure fittizi, esprimono alcune delle sue idee. L'intento è quello di cercare di comprendere e dare un senso alle dinamiche sociali, politiche e motivazioni psicologiche che hanno portato alla terribile situazione in cui la popolazione di questa regione si trova coinvolta. Non si tratta tuttavia di un romanzo di propaganda o di accusa (né i separatisti del Donbas né le truppe russe che li appoggiano vengono mai identificati o nominati direttamente) ma, ad un livello che trascende il contesto storico immediato, questo libro coglie anche e rappresenta, in maniera efficace, la tragicità delle relazioni umane che intercorrono tra le persone durante un avvenimento così devastante come quello della guerra. "Entrando" nella mente di Paša e degli altri protagonisti viviamo, da dentro, l'angoscia di essere partecipi di tanta distruzione e sofferenza. Allo stesso tempo, però, siamo anche esposti a spiragli di umanità e di conforto, dimostrati da alcuni personaggi che ci portano a sperare in un futuro migliore e a convincerci che, forse, non tutto è perduto quando intorno è solo desolazione e distruzione. Tre generazioni si relazionano in questo romanzo e la tensione che ne scaturisce costituisce uno dei fili conduttori della storia. La prima generazione, impersonificata dal padre di Paša, simboleggia quella parte della popolazione ucraina che ha vissuto sotto il dominio dell'Unione Sovietica. È una generazione confusa che ha difficoltà a comprendere gli avvenimenti che stanno interessando il paese. La seconda è rappresentata invece da Paša. Una generazione "perduta" questa, cresciuta dopo la caduta del comunismo e impegnata per lo più a sopravvivere e indifferente e rassegnata alla situazione politica e sociale che li circonda. Infine troviamo il ragazzino Saša, esponente di quella gioventù alla quale Žadan sembra invece voler affidare fiduciosamente la rinascita del paese. E non è un caso che la prospettiva attraverso la quale il romanzo è narrato cambia improvvisamente negli ultimi paragrafi, passando da Paša al nipote adolescente. Come se fosse Saša a diventare consapevole di una realtà che lui e la sua generazione dovranno ora portare avanti e realizzare. Da un punto di vista stilistico, il ritmo incalzante delle prime pagine è seguito da un rallentamento quasi sospeso che evoca un senso di rassegnazione. Poi, verso la fine, il passo riaccelera e ci accompagna fino alla conclusione del romanzo, connotata da un tono speranzoso e positivo. L'autore dimostra una notevole creatività espressiva nel rendere un sentimento o un'emozione attraverso la rappresentazione di un ambiente. Molto spesso i luoghi sono descritti con frasi scarne e concise ma efficacemente evocative, da cui traspare un senso continuo di urgenza. Žadan è anche molto abile nell'alternare considerazioni esistenziali profonde a realtà concrete e difficili dovute alla guerra. Le descrizioni di distruzione e sofferenza che fanno da sfondo all’intera storia proiettano sul tutto un'atmosfera di sconfitta e rassegnazione, concludendosi tuttavia con un tono positivo e speranzoso. Si tratta di una realtà, quella descritta ne Il convitto, che in diverse occasioni è stata paragonata a quella post apocalittica immaginata ne La strada da Cormac McCarthy ma che, infelicemente, nel libro di Žadan è più reale e attuale che mai.

[RECENSIONE A CURA DI MARCOATL]

Autore Serhij Zadan
Editore Voland
Pagine 320
Anno edizione 2020
Collana Sírin
ISBN-10(13) 9788862434089
Prezzo di copertina € 7,99 €
Prezzo e-book 7,99 €
Categoria Contemporaneo - Attualità - Sociale - Psicologico