SINOSSI

«Non è un uomo, è un commediante. Valeva la pena di dedicare un romanzo a un simile individuo? Sì, perché il commediante diventa l'esponente, quasi il simbolo di un regime burattinesco, falso, assurdo. Nel regno dei bugiardi e degli spostati il mimo trionfa.» Scritto nel 1936 durante l'esilio in Olanda e pubblicato in Germania solo nel 1956, Mephisto ripercorre la carriera di Hendrik Höfgen in un'opera d'invenzione che però manifestamente s'ispira alla vita dell'attore Gustaf Gründgens. Ex marito della sorella dell'autore, Erika, Gründgens fu il pupillo di Hermann Göring, consigliere di stato nazista e intendente generale dello Staatstheater di Berlino: figura carismatica e ambigua, in lui Mann riconosce una metafora esemplare dell'inquietante rapporto tra arte e potere.

RECENSIONE

Colpisce come in questo libro ci sia un'analisi lucidissima degli anni ’20 e ’30 in Germania. Notevole, considerato che il libro è del 1936. Le ipotesi sono due: o Mann possedeva una sfera di cristallo, oppure siamo noi contemporanei ad avere un'idea distorta di certe consapevolezze diffuse (anche se magari taciute) già negli anni '30. Forse sono parzialmente vere entrambe. Il testo suggerisce un parallelo con I giganti della montagna, opera teatrale scritta da Pirandello, che parla proprio dell'arte teatrale, della sua decadenza dovuta ad un pubblico cieco e rozzo. I personaggi sono tutti personaggi teatrali, dai caratteri tipici delle maschere, esagerati nelle loro reazioni, estremi e quasi farseschi. In questa opera, l'arte alla fine si sacrifica, immolandosi, pur di non perdere la sua essenza profonda, pur di non snaturarsi. Lo stesso clima decadente (anche se un po' meno farsesco e allegorico) si ritrova nel Mephisto: anche nel libro tutti i personaggi sono tratteggiati teatralmente. Sembra che la Germania degli anni '20 e '30 si sia trasformata in un grande palcoscenico pieno di maschere, le cui reazioni risultano spesso caricaturali e i cui comportamenti sembrano seguire un copione. Infatti, dall'inizio del libro, sembra di poter intuire il destino già scritto di ognuno di loro: l'attore megalomane, egocentrico, divorato dal desiderio di una brillante ascesa; l'attricetta di provincia consumata dall'amore verso il narcisista per eccellenza; l'amante del potente che gioca a recitare sul palcoscenico perché "lei può tutto" e così via. Eppure, in questa danza macabra di maschere non ci si annoia. Forse, in fondo, si spera per tutto il libro in una redenzione? Difficile dirlo, ma è un testo ipnotico, anche per l'eleganza dello stile, per il sarcasmo graffiante e sempre azzeccato delle descrizioni. Tornando al paragone con l'opera pirandelliana: le due opere sono una l'antitesi dell'altra, ma la conclusione è la stessa. La morte dell'arte (teatrale, in entrambi i casi). Da una parte per mano del pubblico, dall'altra per mano del potere. Il tentativo, miseramente fallito, di Hendrik di recitare il personaggio di Amleto suggerisce, però, una rivincita della cultura in quest’opera: quanto partorisce di più intenso, profondo ed elevato, non è veramente corruttibile. Perché per corrompere la natura di un'opera devi arrivare al suo nocciolo e contaminarlo, ma per far questo serve una comprensione profonda e intima che uno spirito mediocre, come quello del protagonista, non riesce nemmeno a sfiorare. La metafora del Mephisto è perfetta per questo testo: l'artista che si vende l'anima per fare carriera. Anche se forse l'attore si sarebbe dovuto chiamare Faust e non Mephisto. Su questo si può ipotizzare che il protagonista sia associato a Mephisto e non al Dottor Faust perché c'è uno sdoppiamento nel personaggio: Hendrik, recitando, si trasforma nel Mephisto e incarna così un'idea di arte corrotta, che seduce e travia l'attore stesso che si trasforma così in Faust.

 [RECENSIONE A CURA DI FOGLIADIQUERCIA]

Autore Klaus Mann
Editore Garzanti Libri
Pagine 432
Anno edizione 2021
Collana I grandi libri
ISBN-10(13) 9788811814153
Prezzo di copertina 14,00 €
Categoria Contemporaneo - Attualità - Sociale - Psicologico