SINOSSI

«L'altra sera s'hann arrubbato 'o televisore». Comincia così questa storia, con una sparizione, proprio mentre Pippo Baudo riempiva lo schermo. Le stanze, di colpo, «si sono messe tutte a sudare», e all'improvviso è scoppiato il silenzio. A raccontarlo a un commissario, nella sua lingua sgrammaticata, un misto sporco tra pugliese e campano, è Giuda o Giudarie?, un vecchio che abita nel mezzo di un paese qualunque del meridione, Merulana. Oltre che con quel televisore, Giuda condivide la sua solitudine con Ammonio, un gatto dalla vescica ballerina, e con il fantasma del padre, che è ancora arrabbiato con lui e non perde occasione per terrorizzarlo. Era stato proprio questo padre, sempre manesco e sregolato, a cambiargli l'anagrafe, compromettendone l'esistenza e imprimendogli a sangue questa nuova e infamante identità da delatore. Ora, a cinquant'anni di distanza, il furto del Mivar restituisce Giuda alla stessa strada della sua infanzia e ai suoi traffici eterni, agli insulti e alle compassioni, alla sua umanità violenta, derelitta e disperata. Da qui inizierà la sua discesa nel regno delle anime notturne e soltanto alla fine di questo lungo viaggio, cantato con amara ironia nell'epica popolare del dialetto, il protagonista potrà finalmente recuperare, a un prezzo altissimo, un po' della sua dignità usurpata e il nome di battesimo.

RECENSIONE

Romanzo d'esordio dello scrittore pugliese Graziano Gala, Sangue di Giuda racconta le vicende di Giuda, il protagonista, uomo solo, emarginato e povero, che in un paese del sud immaginario, Merulana, racconta nella sua lingua sgrammaticata e autentica, soprusi e peripezie subite dopo il furto del suo televisore. La storia si apre proprio con il furto del suo Mivàr, dal quale segue costantemente le trasmissioni di Pippo Baudo, e le pareti della sua casa, nella quale è piombato un silenzio che fa rumore, hanno iniziato a "sudare": Pippo Baudo, fedele alleato di Giuda, non può più distrarre il fantasma del padre che, a tradimento, fa tremare i mobili della casa del protagonista e lo minaccia di percosse, terrorizzandolo, costringendolo ad abbandonare la sua abitazione e a camminare per le strade di Merulana. Giuda arriverà a "scomodare la specie peggiore del creato", ovvero i suoi parenti, pur di ritrovare la pace che Pippo Baudo tramite un televisore può donargli, ma la figlia Rosita negherà all'uomo l'aiuto che le chiede. Giuda, tra un malinteso e l'altro, si ritroverà suo malgrado in guai ben più grossi di quelli che un uomo come lui è pronto ad affrontare, tra l'ostilità dei suoi compaesani; un viaggio che gli permetterà di riappropriarsi della sua vita e del suo nome ormai dimenticato. La figura di Pippo Baudo qui è emblematica. Tutti noi siamo sempre alla ricerca di un padre: putativo, genetico o simbolico. Il padre di Giuda fa paura, appartiene ad un campionario tremendo non meridionale ma di provincia in cui il padre era il padrone - come dice Ledda - della vita dei figli. Ci sono stati padri tremendi, irrespirabili. Ma per fortuna quella società sta crollando. Pippo Baudo è il riferimento buono per questa bambino canuto, il padre che Giuda avrebbe voluto, la garanzia di sicurezza. Pippo Baudo che sventa un suicidio in diretta, vero o falso che fosse, è la salvaguardia, la carezza della mano buona. Il vero nome del protagonista non è Giuda Iscariota: questo è il nome che suo padre in primis gli ha affibbiato e che il paese ha ripetuto a pappagallo un numero di volte talmente elevato che il protagonista arriva a dimenticare il suo nome vero. Giuda viene trattato come lo scemo del paese, il matto, l’ultimo fra gli ultimi: tutti a Merulana lo deridono, si prendono gioco di lui ed è qui che si stabilisce la prima dicotomia del romanzo, tra Giuda e gli altri. Giuda è in ognuno di noi: in ogni persona che ha subito un trauma, in ogni persona che cerca di dimenticare e, infine, di fare pace con il proprio passato e andare avanti. Quello che colpisce già dalla prima pagina di questo romanzo (che è diviso in quattro parti) è il linguaggio di Giuda: un mix tra dialetto salentino e campano, una lingua che appare sporca a chi la legge, ma che è immediata e reale. L'autore ne spiega alcune espressioni nel finale, nella sezione "'A lingua ca me port 'appress". Un dialetto qui rappresenta un'urgenza, una lingua dell'immediatezza. Il lessico è sincero, lontano da qualsiasi diplomazia. Questa è una storia di emarginazione e povertà. L'autore accosta il suo protagonista agli "spasulati" del suo paese natale, agli ultimi, a quelli che devono sempre cambiare marciapiede con vergogna per strada. Nell'incipit infatti si fa riferimento alla vicenda di cronaca di Cosimo Antonio Stano, morto per mano delle vessazioni e della violenza di un gruppo di bulletti. Ai senzadio, ai reietti, Graziano Gala dedica un libro intenso e ironicamente malinconico. A loro, ai dimenticati, restituisce dignità e ribellione. Forse, anche un nome.

[RECENSIONE A CURA DI GIOIAPERILIBRI]

Autore Graziano Gala
Editore Minimum Fax
Pagine 176
Anno edizione 2021
Collana Nichel
ISBN-10(13) 9788833891811
Prezzo di copertina 16,00 €
Prezzo e-book 8,99 €
Categoria Contemporaneo - Attualità - Sociale - Psicologico