SINOSSI
Doveva avere sette anni, forse nove, non lo ricorda con esattezza Neige quando il suo patrigno ha cominciato ad abusare di lei. A parte il momento esatto in cui tutto ha avuto inizio (il trauma ha alterato per sempre la cronologia dei fatti), i ricordi sono perfettamente incisi nella mente e nel corpo della donna che Neige è diventata. La decisione a diciannove anni di rompere il silenzio, la denuncia, il processo pubblico, il carcere per lo stupratore, la vita nuova molto lontano dalla Francia. E quella donna si è interrogata a lungo se scrivere il libro che stringete tra le mani, perché trovava solo motivi per non farlo. Fino al giorno in cui il passato l’ha raggiunta e l’impossibilità di scrivere è diventata impossibilità di non scrivere. Questa che leggerete non è «soltanto» la storia di una bambina che è stata violentata per anni da un adulto; è la ricerca pervicace degli strumenti per dire di quell’altro luogo, il paese delle tenebre dove vivono tutti quelli come Neige; è il rifiuto netto della retorica delle vittime (nessuna resilienza, nessun oblio, nessun perdono); è la necessità di trovare semplici parole precise che dichiarino l’irreparabilità del danno; è l’urgenza di rendere testimonianza, sì, ma collettiva. Perché l’abuso si consuma in una dimensione separata di omertà e solitudine, una dimensione che è fisicamente la stessa in cui si svolge il resto della vita, ma che si sovrappone come un doppio di intollerabile nitore. Triste tigre è il viaggio in questa dimensione, è il dialogo necessario con i grandi della letteratura che questa dimensione l’hanno interrogata, e che hanno fornito all’autrice gli strumenti per tutto questo.
RECENSIONE
Ho pensato a lungo se pubblicare questa recensione. Prima di tutto per il tema delicato, ovviamente; un tema che potrebbe turbare la sensibilità di molti. Una recensione di Triste tigre è necessariamente forte: Neige Sinno parla in modo aperto e a tratti esplicito della sua terribile esperienza, non nascondendo assolutamente nulla. Parliamo di un libro difficile da leggere, com’è difficile accettare che certi orrori possano capitare davvero. Ma la mia remora principale era un’altra: l’idea di come l’autrice avrebbe potuto vedere una possibile recensione sulla sua storia. Questa motivazione potrebbe sembrare ridicola: in fondo ogni scrittore si aspetta una recensione del proprio libro, no? È praticamente impossibile che ciò non accada. Eppure ci ho dovuto pensare. In una parte del libro, in cui Neige Sinno riporta tutti gli stralci di giornale in cui è comparso il suo nome, scrive: "Fa effetto vedere il proprio nome stampato, anche se sulla stampa locale. Dà l’impressione di non essere mai soltanto se stessi. Tutto ciò che si è appartiene anche al gruppo sociale […]. Ci si ritrova esposti, con i riflettori puntati addosso e, paradossalmente, cancellati, perché la persona rappresentata non è esattamente quel sé che si conosce, è un sé mozzo, trasformato dallo sguardo e dall’interpretazione degli altri". È da qui che nascono i miei dubbi: una recensione è una descrizione esterna di un qualcosa che ho letto ma non ho vissuto; esprimo un giudizio su pezzi di vita altrui messi nero su bianco; anche io interpreto la storia di qualcun altro, restituendone pareri falsati, che magari non corrispondono affatto né al sentire né alle intenzioni della scrittrice. Perché allora questa recensione? Scrive la stessa Sinno: "Non c’è mai un happy end per chi è stato abusato durante l’infanzia. È un errore e una fonte di angoscia credere al mito del sopravvissuto così come viene descritto nei film americani. Fa credere che il tempo sia lineare, che esista una progressione: prima vittima poi denunciante poi sopravvissuto poi contento. In realtà, come già sapevano le civiltà precolombiane o gli antichi Greci, […] il tempo è ciclico, va e viene e ritorna eternamente. […] Dunque non stupitevi se siete un sopravvissuto, una sopravvissuta, se magari avete fatto anche il vostro pezzetto di strada e ne siete usciti tutto sommato bene, […] e comunque non siete contenti. Se non provate quella sensazione di pace che prova l’attrice che interpreta il mio ruolo, seduta sulla sedia accanto a mia figlia […]. E un motivo c’è, perché è chiaro che nemmeno io la provo, quella dannata sensazione di lieto fine. Perché non è finita. […] E finché un solo bambino sulla Terra vivrà questo, non sarà mai finita, per nessuno di noi".
Come si fa ad esentarsi dallo scrivere una recensione se questo può portare qualcun altro a leggere Triste tigre? E allora ho raggiunto un compromesso, con me stessa e con la mia morale: mi farò veicolo dei messaggi della scrittrice, cercando di essere più rispettosa possibile, senza lanciarmi in troppe elucubrazioni personali. Non ricordo di aver mai visto una copertina così eloquente come quella di Triste tigre: una ragazza che si immerge in acqua con gli occhi ben aperti, a scrutare fissamente il lettore in modo freddo, inquietante. Leggere Triste tigre è proprio così: immergersi ad occhi aperti in un’acqua intollerabilmente gelida, talmente tanto da non poter far finta di nulla. È la stessa immersione in acqua fredda che ha fatto Neige negli anni per poter ricostruire la sua storia. Nonostante torni spesso sul tema della dissociazione ("Solo così potevo dire che quello che lui faceva non lo faceva a me ma a un oggetto"), la Sinno riporta tutto, anche ciò che non vorremmo mai venire a sapere ma che è necessario raccontare ("Ma per il momento, visto che ho io la parola, visto che mi è stata data o me la sono presa, andrò fino in fondo"). La narrazione di Neige procede in modo discontinuo; rassomiglia a pennellate lievi, sparse, che però unendosi restituiscono un disegno ben preciso e ponderato. Le pennellate sono rappresentate dai molti ritratti delle persone importanti in questa storia, dagli stralci di ciò che ricorda del processo (i documenti sono andati perduti), da alcuni passi presi a prestito da opere letterarie (Lolita, L’avversario, Virginia Wolf). A tratti il libro somiglia più a una dissertazione letteraria che a un racconto autobiografico: troviamo vere e proprie analisi del testo, della trama, dei personaggi di opere famosissime. Eppure non si riesce mai ad astrarsi del tutto; si ha l’impressione di star avendo un dialogo personale con la Sinno, come se si fosse sedute assieme a lei a dissertare di libri e letteratura. Chissà, forse la continua tentazione di trovare collegamenti tra le cose; ma non si può non pensare che la Sinno utilizzi i libri citati come vie esplicative per raccontare ancora la sua storia. D’altronde, è la stessa Neige ad affermare di essere interessata ai punti di vista esterni al proprio. Forse un vedere se stessa attraverso altri occhi? È una possibilità. Neige Sinno ci fornisce a più riprese descrizioni del patrigno e della sua doppia personalità: di fronte alla società appare un uomo forte, vibrante, carismatico, stimato da tutti, capace di prendere in mano la situazione nei momenti critici e quindi adatto a ruoli di leader; in casa, si rivela invece un uomo nervoso, controllante, che ricerca il dominio su ogni membro della famiglia, che vuole imporre la sua presenza e le sue regole ad ogni costo, compresa la violenza. Non desidera che gli altri abbiano spazi personali, al punto da vietare di chiudere persino la porta del bagno. La scrittrice ci fa sapere che la perizia effettuata durante il processo fa emergere nel patrigno tratti narcisistici, con perversione e piacere sadico nel ferire, dominare, distruggere gli altri. Ciò che ha fatto a Neige lo ha fatto per il piacere di spezzarne l’innocenza, anche se più volte tenterà di giustificare le proprie azioni invocando un supposto amore. Come anche Neige sa, le solite motivazioni che ogni pedofilo adduce quando si trova alle strette. Durante il processo, il patrigno confermerà le violenze, ma le giustificherà dichiarando di utilizzare la sessualità come mezzo per avere un contatto con Neige, perché non accettava che lei non avesse simpatia o ammirazione per lui ("Non riusciva ad accettare di essere rifiutato da quella bambina a cui lui dava tutto. Gli infliggeva una ferita narcisistica intollerabile. Lo stupro era una punizione per insegnarmi ad obbedire"). Ma Neige era solo una bambina che non accettava la separazione dei genitori, che desiderava avere ancora vicino il proprio padre biologico e non un suo surrogato che cerca prepotentemente di prenderne il posto, escludendo il resto. Neige si oppone al patrigno con la ribellione della giovinezza, con gli unici mezzi a disposizione di una bambina per comunicare il proprio disagio: non vuole chiamarlo papà, non vuole passare tempo con lui, non vuole dimostrargli affetto. E "[…] in questa configurazione il sesso è innanzitutto uno strumento di dominio". L’abuso è l’estremo atto per riuscire a soggiogare a sé Neige, troppo ribelle per i suoi gusti. Se l’abuso è scioccante, lo è molto di più la ricerca del potere su tutti gli aspetti della vita di Neige. In particolare, mi ha molto turbata un passaggio che riporterò per intero, perché non saprei replicarne l’impatto: "Lui leggeva la mia posta, frugava regolarmente tra le mie cose, controllava i miei vestiti, le mie frequentazioni, le mie uscite, le mie amiche, le mancette. […] A un mio compleanno, per i miei dodici o tredici anni, avevo ricevuto in regalo un bel quadernetto con in copertina la scritta Diario in caratteri gotici. Mi ero detta che poteva essere un bel modo di allenarmi nella scrittura. […] Ho cominciato a farlo, senza pensarci troppo su, senza nemmeno voler annotare chissà che di particolarmente intimo […]. Lo tenevo un po’ nascosto, però, in mezzo ai libri, in modo che il resto della famiglia non lo vedesse. Non lo consideravo un segreto, quel quaderno, soltanto uno spazio mio. Dopo qualche settimana lui mi ha mandata a chiamare. Mi ha fatto capire che leggeva ogni frase, fin dall’inizio, e che quella storia del diario un giorno o l’altro poteva diventare rischiosa per lui. Mi ha anche fatto capire che gli piaceva poter entrare ancora di più nella mia testa grazie alla lettura di quelle pagine […]". Dopo la rivelazione, Neige decide di bruciare il diario nel camino. "Non potevo permettermi di costruire con le mie mani un oggetto che mi rendeva così facilmente accessibile, che mi rendeva ancora più alla mercé di una qualunque mente decisa a controllarmi per nuocermi".
In conclusione, Triste tigre è un libro importante, potente, assolutamente da leggere, ma con la consapevolezza di ciò che vi si troverà all’interno: la ricerca della verità di una donna che rivive continuamente l’incubo nella sua mente, che non si sente salvata, che forse non si sentirà mai salva.
[RECENSIONE A CURA DI SERENAM]
Autore | Neige Sinno |
Editore | Neri Pozza |
Pagine | 240 |
Anno edizione | 2024 |
Collana | Bloom |
ISBN-10(13) | 9788854529656 |
Prezzo di copertina | 18,00 € |
Prezzo e-book | 9,99 € |
Categoria | Realistico - Cronaca - Saggi - Biografia |