Ho spesso sentito parlare de L’amante di Lady Chatterley come d’un classico “dell’erotismo” : definizione ch’ora ho capito essere quanto mai riduttiva. E' invece molto di più. Rappresenta infatti anche una profonda e commossa critica ad una distorta concezione del progresso, che in nome d’una sfrenata meccanizzazione abbruttisce l’uomo e deturpa l’ambiente. Per contro, il romanzo propugna una sorta di ritorno alla natura, unica via per ritrovare - attraverso la riscoperta ed il risveglio dei sensi e degli istinti primordiali – una condizione simile a quella di Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre.
Già: ma come fare i conti – dal punto di vista del linguaggio e della scrittura - con questo improvviso risveglio dei sensi? Personalmente, per quanto si possa confidare nel potere evocativo delle parole, credo che questo potere abbia comunque naturalmente dei limiti. Laddove poi si scelga non di evocare, ma di chiamare le cose per nome, il rischio è quello d’essere tacciati d’oscenità (cosa che appunto successe a questo romanzo, sottoposto a censura per decenni). Oppure, secondo il moderno senso del pudore, di ingenuità: quasi imbarazzante, in talune battute o espressioni.
Fatto sta che un secolo separa Jane Austen da D.H. Lawrence (è un paragone che qui m'è parso quasi inevitabile): e se l’una si contentava di seguire le storie d’amore senza mai arrivare alla camera da letto, l’altro decide ch’è ora d'oltrepassarne la soglia, scoprendo così che l’amore non può prescindere da un rapporto e da un’intesa anche carnale. La carne, peraltro, non fa differenze di ceto, cultura o ricchezza: ed è sicuramente questo l’aspetto più “scandaloso” di una relazione – quella tra una Lady ed il suo guardiacaccia – che fece traballare la morale all’epoca imperante e che trasformò la sua eroina in una “icona del femminismo”, almeno secondo l’interpretazione d’una recente trasposizione Netflix (ch’io però non ho visto).
Anche in questo caso andrei tuttavia cauto, nel prendere certe definizioni come oro colato. Non solo per il punto di vista comunque maschile di chi ha creato il personaggio, ma anche per i limiti d’una ribellione che punta comunque a stabilizzare e a legalizzare la relazione, onde evitare d’essere definitivamente messi al bando dalla società civile.
Con le suddette premesse, posso dire che il romanzo a me è piaciuto. “Oscenità” a parte, resta fondamentalmente un classico a tutti gli effetti, con i suoi ritmi lenti e compassati, le lunghe (ed anche belle) pause descrittive e i suoi dialoghi in gran parte allusivi. Eppure - in rapporto alla mole e nonostante un avvio non propriamente scorrevole - lo si legge assai velocemente. In una personale classifica di gradimento non lo inserirei ai primi posti, né penso che possa meritare un ulteriore approfondimento: offre però molteplici spunti di riflessione, e per questo motivo lo riterrei adatto ad essere oggetto d’una lettura in comune.