Letta la prefazione e il prologo e mi son già segnata varie cose, la storia di Virginia Woolf per me rappresenta sempre un grande fascino, come evidentemente anche per Cunningham!
Nella prefazione mi è piaciuto molto come riesce a creare parallelismi tra la vita di Virginia Woolf, la storia della signora Dalloway, e il momento attuale, dimostrando l'universalità delle storie e di come la storia di ciascuno possa in realtà essere un romanzo:
Il libro che avevo in mente voleva raccontare l'inclinazione umana, che si sia gay, etero e in qualunque momento della storia ci si trovi, a dare feste mentre il resto del mondo lotta per sopravvivere a una guerra, a un'epidemia o a qualsiasi altra catastrofe [..].
Ma mentre invecchiamo, continuiamo a desiderare e sperare, continuiamo ad andare alle feste, anche se fuori stanno ripulendo le macerie di un guerra, anche se uomini e ragazzi si sposano dalle piste da ballo alle corsie degli ospedali.
Sarebbe potuto essere, pensavo, un libro sul tentativo di vivere le nostre vite anche di fronte alla finitezza, in qualsiasi forma essa si presenti.
Nella signora Dalloway si sente secondo me infatti forte questo bisogno di offrire una festa e al contempo il contrasto con i problemi esterni, e Cunningham riassume bene in queste righe questa contrapposizione di sentimenti.
Poi si passa al vero punto della questione: Clarissa Dalloway è figlia della sua società? O è possibile cogliere parallelismi tra lei e donne nella società attuale? Clarissa sarebbe diversa se fosse vissuta nella seconda metà del Novecento? Cunnigham dà una risposto molto convincente, argomentata, e in cui mi ritrovo, ma sono curiosa voi che siete fresche di lettura come avete percepito Clarissa: pensate sia un personaggio attuale o troppo inserito della borghesia londinese degli anni Venti e un po' troppo forzato? E se pensate che una Virginia Woolf del 2024 scrivesse ora La signora Dalloway, in cosa sarebbe diversa Clarissa?
Sempre nella prefazione, racconta poi come Woolf fosse severissima con se stessa: mi ha ricordato molto la lettura di
"Diario di una scrittrice"
, un libro meraviglioso e potententissimo, in cui si sente tutta la sua disperazione nel non sentirsi all'altezza, di non riuscire a dare la giusta voce a tutte le storie che ha in testa. Impegnativo, ma che straconsiglio, ho intenzione di prendere come abitudine di risvogliarne ogni tanto alcune parti.
Quando parla del parallelismo tra sua mamma e Clarissa ho apprezzato molto il punto in cui dice "Ricordo di averla immaginata come un'amazzone che era stata catturata nella giungla e portata a vivere in una stanza oltremodo piccola per lei da persone erroneamente convinte che avrebbe preferito la sicurezza alla libertà". Mi è piaciuta quest'ultima parte perchè penso sia il nocciolo della questione femminista: non c'é niente di sbagliato a voler fare la casalinga, il problema diventa quando qualcuno pensa che questo è quello che vuoi tu e che sia questa la cosa migliore per te.
Mi piace infine come dice che le tre donne si perleranno nel libro, ci capiranno, si riconosceranno l'una nell'altra, nonostante le epoche e i luoghi diversi, che è un po'il motivo per cui nel 2024 leggiamo ancora classici ottocentesci oppure libri di culture lontanissime, che però riescono a parlarci.
Il prologo vabeh, per me è sempre una stretta al cuore leggere un qualsiasi testo che parla di quel pomeriggio, leggere la famosa lettera che lascia a Leonard. Sono contenta che abbia deciso di aprire il libro così, perchè purtroppo quel pomeriggio dice tantissimo sulla complessità di Woolf ma anche dell'universalità di quel che provava e pensava.